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    USA: dai democratici una nuova spinta agli amici dell’ambiente

    Nella sua intervista in questo numero di «Technology Review», il ministro Mussi, pur senza farne un riferimento esplicito, tocca il tema del difficile compromesso tra policy e politics. Del come, cioè, decisioni basate su analisi economiche e scientifiche (policy), vengano influenzate dalla necessità di un consenso della collettività di natura sostanzialmente politica (politics).

    di Alessandro Ovi

    Questo è vero oggi anche per i grandi temi della ricerca, e per due in modo particolare: quello delle scienze della vita e quello dell’energia. Un esempio, in questo senso, viene dagli Stati Uniti.

    La vittoria dei democratici nelle recenti elezioni americane, un cambiamento di politcs, ha già avviato cambiamenti importanti di policy in entrambi i campi, ma è sul secondo che tutto sembra correre rapidamente . 

    Questo perché nelle recenti elezioni di mezzo termine, dopo l’Iraq, che è stato certamente il fattore più importante per la vittoria dei democratici, ha contato la posizione dei candidati sui problemi dell’ambiente, sulla lotta all’effetto serra, causa del riscaldamento dell’atmosfera e dei cambiamenti del clima.

    Basti pensare alla rimonta di Schwarzenegger che, cavalcando posizioni filoambientaliste, non certo caratteristiche della sua appartenenza repubblicana, ha potuto riconquistare la nomina a governatore della California.

    Oggi si può ben dire che gli Stati Uniti non hanno ratificato il trattato di Kyoto, ma che, comunque, in molti degli Stati si sta correndo nella direzione che Kyoto ha indicato. Lo si sta facendo con le leggi, con i comportamenti delle industrie e con quelli individuali. 

    Il Center for Climate Strategies (SCS) indica che sono già nove gli Stati che hanno messo a punto politiche per ridurre la emissione dei gas serra (tra questi California, Massachusetts, New York) e sei le stanno preparando.

    Ha preso slancio il lavoro del California’s Air Resources Board (CARB), incaricato di preparare il primo programma di regole per ridurre la emissione dei gas a effetto serra in tutti i settori dell’economia. 

    Il suo presidente, Robert Sawyer, della Environmental Protection Agency Californiana, si aspetta che la riduzione delle emissioni di gas serra sarà oggetto di sforzi legislativi importanti.

    Viene considerato particolarmente rilevante il fatto che, al Senato, Barbara Boxer, democratica della California, prenderà il posto di James Inhole, repubblicano dell’Oklahoma come presidente del Comitato Ambiente e Lavori Pubblici.

    Il senatore Inhole infatti si era sempre rifiutato di prendere in considerazione leggi che limitassero le emissionin di CO2 definendo quello del «riscaldamento globale la più gigantesca bolla mediatica sull’ambiente».

    Boxer invece ha sempre definito il «riscaldamento globale uno dei pericoli più gravi per il mondo», e ha espresso l’intenzione di introdurre a livello federale una legislazione simile a quella della California.

    Due sono al momento le linee di azione lungo le quali Sawyer intende procedere. La prima, che riguarda il mondo dell’industria e della produzione di energia viene attuata con l’emission trading (una azienda che riduca il suo livello di emissione al di sotto di un certo obiettivo può vendere il suo surplus ad altre che invece non siano state in grado di farlo). La seconda riguarda il settore dei trasporti, responsabile del 41 per cento delle emissioni di CO2. CARB sta studiando incentivi diretti e misure fiscali, che saranno pronti nel giro di pochi mesi per ridurre il consumo di carburante dei veicoli  

    Ma questi cambiamenti procedono assieme a quelli sul fronte tecnologico e industriale e a quelli delle preferenze e dei comportamenti del largo pubblico.

    Un caso emblematico è il solare fotovoltaico (che, a differenza di quello termico produce direttamente energia elettrica dai pannelli che raccolgono l’energia solare). Emblematico, non perché l’eolico, il geotermico profondo o l’uso delle biomasse per produrre gas o etanolo siano meno importanti, ma perché è quello dove maggiore è il margine di miglioramento, in efficienza e in diminuzione dei costi, grazie al galoppare dell’innovazione tecnologica. 

    Basti pensare che il prezzo dei pannelli fotovoltaici di circa 27 dollari per watt nel 1982 è sceso a 5 dollari e, con l’affermarsi dei film sottili, ci si aspetta che in tre anni il prezzo scenda a 1,75 dollari o addirittura a 1 dollaro. Con questi numeri si comincia già a parlare di «alba dell’energia elettrica solare», anche in assenza di incentivi. 

    è ben evidente che molto della accelerazione nella diffusione del solare, come di tutte le energie rinnovabili, ha a che vedere con l’andamento del prezzo del petrolio e che, a seguito del suo calo, i titoli legati al solare hanno perso il 35 per cento rispetto ai massimi del 2006. Ma la risposta della borsa alle elezioni di mezzo termine è stata una chiara inversione di tendenza per molte società.Tra queste Evergreen Solar, Sun Power Corporation, Spire, Suntech Power, Energy Conversion Devices, solo per citarne alcune. La vittoria dei democratici è una buona notizia anche per agenzie statali quali NYSERDA (New York State Energy and Development Authority) che incoraggia lo sviluppo di incubatori e di reti di nuove imprese nel settore energetico. NYSERDA, con il suo Renewable Energy Technology Options Program, condivide il rischio dello sviluppo tecnologico, della costruzione dei prototipi, delle dimostrazioni di nuovi prodotti, per facilitare l’accesso al mercato di nuove tecnologie per le energie rinnovabili nello Stato di New York.

    Per la costruzione e la gestione di impianti che sfruttano il solare fotovoltaico nascono anche nuove forme «contrattuali». General Motors, per esempio, sta utilizzando energia solare prodotta da società di servizio specializzate. Anche se i pannelli sono installati proprio sui tetti delle sue fabbriche e dei suoi uffici, essa acquista l’energia elettrica esattamente come dalla rete convenzionale. E la società che fornisce l’energia di origine solare, avendo la garanzia di un flusso di cassa costante, è in grado di praticare prezzi in linea con quelli delle utilities che alimentano la rete. Ovviamente l’emission trading gioca un ruolo rilevante. I crediti legati alla riduzione delle emissioni di CO2 vengono venduti ad altre società non in condizione di rientrare nei limiti vigenti in California e il flusso di questi ricavi porta a un bilancio positivo. Il contratto di lungo termine di acquisto dell’energia prevede circa 9 centesimi di dollaro al KWh, con uno sconto cioè rispetto alle tariffe medie praticate dal fornitore tradizionale. I risparmi sono piccoli, dice Kamesh Gupta, direttore della pianificazione di General Motors Energy Services, ma è molto attraente l’idea di creare un sistema così rispettoso dell’ambiente senza nessun bisogno di fare investimenti. La Deers (Developing Energy Efficient Roofs Systems) ha acquistato e installato i componenti solari con fondi forniti da società di private equity con i quali è diventata proprietaria degli impianti stessi. Alcoa sta definendo le condizioni per installare celle solari, secondo lo stesso schema, in alcuni suoi impianti. Whole Food Markets, ha iniziato un progetto con Sun Edison, finanziato da un gruppo di investitori tra cui Goldman Sachs, per produrre il 10 per cento dell’energia elettrica consumata da suoi grandi magazzini. Staples, che ha due grandi centri di distribuzione in California, ricaverà il15 per cento dell’energia elettrica che consuma da pannelli installati da Sun Edison, e sta pianificando un intervento analogo in New Jersey e Connecticut che, è bene notarlo, non hanno la stessa insolazione della California. General Electric ha installato celle solari su 23 scuole di San Diego per coprire il 50 per cento del loro fabbisogno elettrico. In questo contesto è nato Green Power Market Development Group, un consorzio di grandi aziende che operano sotto gli auspici del World Resources Institute, per promuovere l’uso delle energie rinnovabili. Craig Hanson, suo direttore, è convinto che la crescita di questo tipo di servizi sia certa. Entrare nel mondo dei «solari» sta diventando positivo anche dal punto di vista dell’immagine. Come dice Toyota a proposito della Prius, la sua ibrida, motore elettrico-motore a scoppio, «chi compera una Prius non compera solo una automobile che consuma molto poco, ma compera uno statement, una dichiarazione di appartenenza al gruppo crescente degli amici della terra. Lo stesso sta succedendo per il solare che, a differenza delle altre forme di energie rinnovabili, si presta a installazioni anche domestiche. Il suo utilizzo è rapidamente crescente nelle case di lusso, quasi come status symbol. Sono sempre più numerosi i costruttori che offrono la dotazione di pannelli fotovoltaici come optional e gli architetti che li integrano fin dall’inizio nei loro progetti facendone non solo un elemento di innovazione, ma anche di estetica.

    L’effetto NIMBY (not in my back yard), problema grave non solo per le centrali a combustibili fossili e nucleare, ma sempre più anche per gli impianti eolici, per il sole non esiste, anzi , è vero il contrario. Se alla vittoria dei democratici, che certo darà nuovi stimoli e incentivi a tutte le rinnovabili nel loro complesso, si aggiungerà anche il gusto, l’orgoglio, di essere «solari», allora si potrà dire che siamo davvero all’alba del nuovo mondo dell’energia. Forse policy e politics saranno arrivate a convergere. 

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