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    Una visione super ottimistica del futuro

    Il nuovo libro di Azeem Azhar prevede che la straordinaria crescita tecnologica porterà a un’era di abbondanza. La realtà appare molto più complicata.

    di David Rotman

    Forse non era mai scomparso, ma in questi giorni il tecno-ottimismo, che infuriava alla fine degli anni 1990 e all’inizio degli anni 2000 e che poi si è prosciugato e si è trasformato in pessimismo durante l’ultimo decennio, sta ancora una volta ribollendo. Le aspettative negative sull’impatto delle app e dei social media nel mondo reale si sono trasformate nella speranza illimitata, almeno tra l’élite tecnologica e la classe degli investitori di capitale di rischio, che le nuove tecnologie risolvano i nostri problemi. 

    The Exponential Age, dell’investitore tecnologico e scrittore Azeem Azhar, è l’ultima celebrazione dell’impatto che cambia il mondo delle tecnologie informatiche (inclusi l’intelligenza artificiale e i social media), della biotecnologia e delle energie rinnovabili. Azhar presenta il suo caso in modo meticoloso e intelligente, descrivendo la crescita di quelle che chiama tecnologie esponenziali, vale a dire quelle che migliorano rapidamente e costantemente in termini di prezzo e prestazioni ogni anno per diversi decenni. “Le nuove tecnologie”, scrive Azhar, “vengono inventate e scalate a un ritmo sempre più veloce, abbassandone costantemente il prezzo”. 

    Lo scrittore nota debitamente i problemi derivanti dalle rapide trasformazioni provocate da queste tecnologie, in particolare quello che chiama il “gap esponenziale”. Le grandi azienda tecnologiche come Amazon e Google stanno guadagnando ricchezza e potere dalle tecnologie. Ma altre aziende e molte istituzioni e comunità, continua, “possono adattarsi solo a un ritmo incrementale e vengono lasciati indietro”. Eppure il suo entusiasmo rimane evidente.  

    Per Azhar la storia inizia nel 1979, quando era un bambino di sette anni in Zambia e un vicino portò a casa un kit per computer fai-da-te. Lo scrittore racconta nuovamente la storia familiare, ma ancora avvincente, di come quei primi prodotti hanno dato il via alla rivoluzione del PC (una nota a margine interessante è la sua descrizione del Sinclair ZX81, il suo primo computer, acquistato per 69 sterline due anni dopo che la sua famiglia si era trsferita in una piccola città fuori Londra). 

    Il resto lo sappiamo. L’esplosione dei PC —il giovane Azeem e la sua famiglia si sono formati sull’Acorn BBC Master, un popolare micro computer nel Regno Unito — ha portato al World Wide Web, e ora le nostre vite vengono trasformate dall’intelligenza artificiale.

    È difficile contrastare l’argomento che le tecnologie informatiche sono cresciute in modo esponenziale. La legge di Moore ha definito tale crescita per generazioni di tecnologi. Ha significato, come sottolinea Azhar, che nel 2014 il costo di un transistor era solo di pochi miliardesimi di dollaro, contro circa 8 dollari negli anni 1960. Questi cambiamenti hanno alimentato la rapida ascesa di Internet, degli smartphone e dell’intelligenza artificiale.

    Ma Azhar fa riferimento a un insieme molto più ampio di tecnologie quando parla di crescita esponenziale. Gli economisti chiamano “tecnologie di uso generale” i progressi fondamentali che hanno ampi effetti economici, come nei casi del motore a vapore, dell’elettricità o di Internet. Azhar è dell’idea che l’energia solare a basso costo, le tecniche di bioingegneria come la biologia sintetica e la stampa 3D potrebbero essere proprio queste tecnologie.

    Riconosce che alcune di queste tecnologie, in particolare la stampa 3D, sono relativamente immature, ma sostiene che con il calo dei prezzi, la domanda crescerà rapidamente e le tecnologie si evolveranno e troveranno mercati. “In breve”, scrive Aznar, “stiamo entrando in un’era di abbondanza. Il primo periodo della storia umana in cui energia, cibo, calcolo e molte risorse saranno banalmente a buon mercato da produrre. Potremmo soddisfare le attuali esigenze dell’umanità molte volte, a un costo economico in costante calo”.

    Francamente, tale super-ottimismo richiede un grande atto di fede, sia nel potere futuro delle tecnologie che nella nostra capacità di usarle in modo efficace.

    La crescita ha perso di slancio

    Il metodo migliore di misurazione del progresso economico è la crescita della produttività. Nello specifico, la produttività totale dei fattori (TFP) misura il ruolo dell’innovazione, comprese sia le pratiche di gestione sia le nuove tecnologie. Non è un sistema perfetto, ma per ora, è la metrica più avanzata che abbiamo per stimare l’impatto delle tecnologie sulla ricchezza e sul tenore di vita di un paese. 

    A partire dalla metà degli anni 2000, la crescita della TPF è diventata lenta negli Stati Uniti e in molti altri paesi avanzati (è stata particolarmente negativa nel Regno Unito), nonostante l’emergere delle nostre brillanti nuove tecnologie. Questo rallentamento è arrivato dopo uno scatto di crescita pluriennale negli Stati Uniti alla fine degli anni 1990 e all’inizio degli anni 2000, quando i computer e Internet hanno aumentato la produttività. 

    Nessuno sa con certezza cosa stia causando la stasi. Forse le nostre tecnologie non sono così rivoluzionarie come pensiamo, almeno rispetto alle innovazioni precedenti. Il padre del tecno-pessimismo a metà degli anni 2010, l’economista della Northwestern University Robert Gordon, ha mostrato al suo pubblico le immagini di uno smartphone e un bagno: quale preferiresti avere? O forse non cogliamo con precisione i vantaggi economici dei social media e dei servizi online gratuiti.

    Ma la risposta più probabile è semplicemente che molte aziende e istituzioni non stanno adottando le nuove tecnologie, in particolare in settori come l’assistenza sanitaria, la produzione e l’istruzione. Non è necessariamente motivo di pessimismo. Probabilmente ci vorrà solo tempo. 

    Erik Brynjolfsson, economista di Stanford e uno dei massimi esperti di tecnologie digitali, prevede che siamo all’inizio di un “boom di produttività in arrivo”. A suo parere, la maggior parte delle economie avanzate del mondo si trova vicino al fondo di una curva a J della produttività. Molte aziende stanno ancora lottando con le nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale, ma man mano che miglioreranno nel trarre vantaggio dai progressi, la crescita complessiva della produttività decollerà. 

    È una visione ottimistica, anche se lascia trapelare la convinzione che la traiettoria di molte nuove tecnologie non è semplice. La domanda è alta e i mercati sono volubili. E’ necessario capire perché le persone e le aziende vogliono l’innovazione. Si prenda il caso della biologia sintetica. L’idea è tanto semplice quanto convincente: riscrivi il codice genetico dei microrganismi, siano essi batteri o lieviti o alghe, in modo che producano le sostanze chimiche o i materiali che si desiderano. 

    Il sogno non era esattamente nuovo all’epoca, ma nei primi anni 2000 i sostenitori, tra cui Tom Knight, un informatico del MIT diventato biologo, hanno contribuito a renderlo popolare, soprattutto tra gli investitori. Perché non trattare la biologia come una semplice sfida ingegneristica? 

    Con enormi tini di fermentazione di questi microbi programmati, si potrebbero produrre plastica o sostanze chimiche o persino combustibili. Potremmo fare a meno del petrolio. Basta dar loro da mangiare lo zucchero estratto, per esempio, dalla canna da zucchero e si potrebbe produrre in serie tutto ciò di cui si ha bisogno. 

    Alla fine degli anni 2000 diverse startup, tra cui Amyris Biotechnologies e LS9, hanno ingegnerizzato la genetica dei microbi per produrre idrocarburi destinati a sostituire benzina e diesel. Sembrava che la biologia sintetica fosse sul punto di rivoluzionare i trasporti, ma in pochi anni, il sogno è finito. Amyris è ora focalizzata sulla produzione di ingredienti per creme per la pelle e altri prodotti di bellezza di consumo. LS9 ha venduto le sue partecipazioni nel 2014. 

    I problemi di mercato della biologia sintetica perdurano anche oggi. All’inizio di quest’anno, una delle aziende leader nel settore, Zymergen, ha subito una battuta d’arresto finanziaria poiché il suo prodotto, una plastica realizzata per l’uso negli smartphone pieghevoli, non è riuscito a ottenere successo. I suoi clienti, ha affermato l’azienda, stavano avendo “problemi tecnici” nell’integrazione della plastica nei loro processi di produzione esistenti.

    I fallimenti non sono una condanna della biologia sintetica. Qualche prodotto comincia ad apparire. Nonostante gli errori commerciali, il futuro del settore è innegabilmente luminoso. Man mano che la tecnologia migliora, aiutata dai progressi nell’automazione, nell’apprendimento automatico e nell’informatica, i costi per la produzione di massa diminuiranno sicuramente. Ma per ora, la biologia sintetica è lontana dal trasformare l’industria chimica o i combustibili per i trasporti. I suoi progressi negli ultimi due decenni non possono essere definiti una crescita esponenziale. 

    Lezioni di storia

    Ho chiesto a Carlota Perez, una scienziata sociale che ha scritto molto sulle rivoluzioni tecnologiche e che Azhar accredita nel suo libro come “fondamentale” nell’aiutarlo a pensare alla relazione tra tecnologia ed economia, come possiamo avere scoperte tecnologiche così importanti senza una corrispettiva crescita della produttività. 

    La risposta è semplice, afferma Perez: “Tutte le rivoluzioni tecnologiche hanno attraversato due periodi diversi: il primo in cui la crescita della produttività si manifesta nel nuovo settore dell’economia, e il secondo, quando le nuove tecnologie si diffondono in tutta l’economia, generando sinergie e portando aumenti generali di produttività”. 

    Perez dice che ora siamo nel periodo in cui i diversi settori si muovono ognuno per cento suo. “La domanda che mi pongo”, aggiunge, “è come arriviamo al punto in cui la produttività dell’intera economia cresce in modo sinergico?”. La scienziata sociale è un tipo molto diverso dal cosiddetto ottimista tecnologico che ha fiducia assoluta nel libero mercato, come se ne trovano tanti nella Silicon Valley. Per lei, è essenziale che i governi creino i giusti incentivi per incoraggiare l’adozione di nuove tecnologie, comprese quelle più pulite per l’ambiente, utilizzando strumenti come tasse e regolamenti appropriati. 

    “Dipende tutto dal governo”, spiega. “Le aziende non stanno andando nella direzione dello sviluppo verde perché non ne hanno bisogno, perché stanno facendo soldi con quello che stanno facendo. Perché dovrebbero cambiare? È solo quando non si è più redditizi con quello che si sta facendo che si usano le nuove tecnologie per investire e innovare in nuove direzioni”.

    Ma Perez dice che “la quantità di innovazione in gestazione, cioè dietro le quinte, è quasi incredibile”. E ricorda che una volta sollecitate dalle giuste politiche e dal supporto del governo, le rivoluzioni tecnologiche possono avvenire rapidamente. Niente di tutto questo è inevitabile, tuttavia. Non c’è certamente alcuna garanzia che i governi agiranno. 

    Una preoccupazione è l’attuale mancanza di sostegno alla ricerca. Le nostre straordinarie nuove tecnologie potrebbero essere pronte a cambiare l’economia, ma la loro crescita ed espansione devono essere sostenute da idee sempre più nuove e continui progressi tecnologici. Dopotutto, le origini delle tecnologie così presenti in questi giorni, come la biologia sintetica e la stampa 3D, risalgono a decenni fa. La pipeline necessita di un aggiornamento costante. 

    John Van Reenen, economista della London School of Economics e del MIT, e i suoi collaboratori hanno dimostrato che la stessa produttività della ricerca sta rallentando poiché “nuove idee diventano più difficili da trovare”. Allo stesso tempo, negli ultimi decenni gli Stati Uniti e molti altri governi occidentali hanno ridotto il loro sostegno alla R&S in proporzione al PIL; a metà degli anni 1960, il finanziamento federale statunitense per la ricerca e lo sviluppo rispetto al PIL era tre volte superiore a quello attuale. Gli Stati Uniti non devono tornare a livelli così alti, sostiene, “ma restare fermi non è un’opzione perché farebbe ristagnare la crescita della TFP e il progresso economico”.

    Ci sono alcuni segnali che gli Stati Uniti si stanno muovendo nella giusta direzione. Il presidente Biden ha fatto una campagna promettendo di aumentare il sostegno federale per la ricerca e lo sviluppo di centinaia di miliardi durante il suo primo mandato. Ma convincere il Congresso ad abbracciare questa idea è già stata una sfida.  “È una scelta che dobbiamo affrontare”, afferma Van Reenen. “Tutto torna alla politica. Siamo pronti a fare investimenti seri?” 

    Ed è qui che convergono ottimisti riluttanti come Van Reenen e super ottimisti come Azhar. Ho chiesto ad Azhar quanto fosse sicuro della previsione del suo libro di “un’era di abbondanza”. Ha detto: “Sono ottimista sul progresso della tecnologia, ma sono molto più realistico, al limite del pessimismo, riguardo alla governance della tecnologia. Questa è la sfida principale”.

    (rp)

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