A corredo del servizio dedicato alla 10 tecnologie che promettono di cambiare il modo di vivere e di convivere, stiamo pubblicando alcune testimonianze previsionali di illustri studiosi: oggi è la volta di Annalee Newitz, saggista e autrice di fantascienza, residente a San Francisco.
di Annalee Newitz
Ogni epoca ha le sue idee sul futuro. Se si torna agli anni ’50, si vedrà che la gente fantasticava sulle macchine volanti. Ora immaginiamo città verdi, attraversate da biciclette, in cui circolano meno automobili, che spesso sono a guida autonoma. Si impongono dunque priorità davvero diverse, su cui deve basarsi la nostra comprensione del futuro.
Gli scrittori di fantascienza non possono attualmente fare previsioni. Penso che la fantascienza comporti un coinvolgimento nelle domande che emergono dal presente. Ma, anche se non possiamo dire cosa accadrà con certezza, possiamo delineare una gamma di scenari che nascono dalla storia.
Ci sono molti miti relativi al futuro, che la gente crede diventeranno realtà proprio ora. A mio avviso, molte persone – non solo scrittori di fantascienza, ma, per esempio, anche quanti stanno lavorando all’apprendimento automatico – credono che relativamente presto avremo a disposizione un cervello equivalente a quello umano, che opera su una sorta di substrato informatico. Una credenza del genere è tanto un riflesso del nostro tempo quanto una ipotesi di ciò che potrebbe effettivamente accadere.
Sembra improbabile che un cervello computerizzato equivalente a quello umano stia proprio dietro l’angolo. Ma viviamo in un’era in cui molti di noi hanno la sensazione di vivere già dentro i computer, per il lavoro e per molte altre cose. Non può sorprendere, quindi, che si moltiplichino fantasie sulla digitalizzazione del nostro cervello e sull’inserzione della nostra coscienza in una macchina o in un robot.
Non sto dicendo che ciò non possa mai accadere. Ma che se ne parli tanto spesso sembra dipendere più dalle nostre fantasie nel presente di quanto non dipendano da una vera e propria svolta tecnologica incipiente.
Sarebbe necessario sviluppare tecnologie molto più affidabili in materia di soccorso in caso di calamità e di risposta alle emergenze, perché vedremo purtroppo molte più inondazioni, incendi, tempeste.
Penso perciò che ci sarà molto lavoro da fare su tecnologie davvero umili, che permettano una autentica partecipazione comunitaria al di fuori della rete ovvero consentano di purificare l’acqua che beviamo. E non parlo di una dimensione inquietante di sopravvivenza; parlo piuttosto di una vita da vivere come la stiamo vivendo ora.
imamgine: Fotografia di Sarah Deragon
(gv)