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    Una ragionevole vecchiaia

    L’ipotesi di immortalità di de Grey è suggestiva, ma non ancora a portata di mano

    Spinoza ha affermato che tutte le cose non vorrebbero mai cambiare la loro forma: il desiderio umano di vivere sempre più a lungo è istintivo. I progressi in questa direzione sono considerevoli. L’aspettativa di vita di una persona nata negli Stati Uniti nel 1900 era di 47 anni; per un neonato del 2002 arrivava a 77 anni e qualche mese. Questo considerevole miglioramento è dovuto a un secolo di progressi in campo medico, particolarmente quelli relativi alla cura di gravi infezioni, di lesioni traumatiche e di alcune malattie contagiose. Ma l’aspettativa media di vita è salita in modo estremamente graduale negli ultimi 50 anni. Con la medicina tradizionale gli abitanti delle nazioni ricche sembrano vivere ai limiti delle loro possibilità.

    Ciò accade perché non si è posto rimedio all’invecchiamento o alle malattie dell’invecchiamento. Anche se si gode di buona salute per gran parte della propria vita , evitando incidenti di macchina, una serie di infezioni fatali e varie malattie mortali , l’organismo invecchierà e perirà. Ma il processo di invecchiamento è biologicamente immutabile? La questione è stata sollevata da Aubrey de Grey, un informatico dell’Università di Cambridge, anche biologo autodidatta, che con toni accesi sostiene che non c’è nulla di inevitabile nell’invecchiamento e nella morte (si veda l’articolo Vivere in eterno?, a pag. 26). L’invecchiamento, egli dice, è «ripugnante» e la morte per vecchiaia «primitiva». De Grey, che spesso scrive sull’argomento e tiene numerose conferenze, ritiene che «manipolando» i nostri processi cellulari potremmo vivere migliaia e migliaia di anni. Inoltre, a suo parere, riusciremo a ottenere questo risultato entro un periodo che va dai 25 ai 100 anni.

    è assurdo? Ovviamente lo è. Comunque i recenti progressi nella biologia molecolare e nella genetica hanno dato vita alla biogerontologia, un nuovo settore che promette di spiegare perché gli organismi invecchiano. Per la prima volta, quindi, autorevoli scienziati possono immaginare come modificare questo processo. Il medico Sherwin Nuland è andato a Cambridge, in Inghilterra, a vedere come la visione radicale di de Grey si concilia con il campo di ricerca emergente.

    Sherwin Nuland è uno studioso che si attiene rigorosamente ai fatti e ai ragionamenti scientifici. In effetti è difficile immaginare uno scrittore più qualificato per tracciare un profilo di una personalità eccentrica come de Grey. Professore di chirurgia clinica alla School of Medicine della Yale University, Nuland è anche un esperto di storia della medicina e di bioetica. Ha scritto diversi libri sulla biologia umana, tra cui How We Die, che ha vinto il National Book Award nel 1994. I suoi articoli sono stati pubblicati sul «New Yorker», «the New York Times» e «Time».

    Che cosa pensa Nuland della proposta di immortalità avanzata dal barbuto de Grey? Non è per nulla convinto. Comunque egli presenta de Grey come un irresistibile e brillante idealista che induce gli ascoltatori a riconsiderare ciò che sanno sull’invecchiamento e cosa potrebbe significare estendere radicalmente la durata della vita umana. Nuland conclude che le strategie di de Grey per eliminare l’invecchiamento non funzionano. E, per ragioni di ordine culturale, sociale e medico, egli spiega, si tratta di una buona notizia.

    L’interesse di Nuland per le «avventate» ipotesi di de Grey indica che è arrivato il momento di riflettere sulle implicazioni mediche ed etiche della ricerca anti-invecchiamento. Le comunità mediche e scientifiche dovrebbero spiegare al pubblico le priorità e gli obiettivi di tale ricerca. Chi si interessa di scienza e tecnologia dovrebbe essere in grado di separare le pretese iperboliche di de Grey da quanto la scienza può effettivamente offrire.

    Lasciamo stare le chimere e parliamo di cose reali. Mentre è assai improbabile che l’invecchiamento possa essere permanentemente bloccato a livello cellulare, la scienza anti-invecchiamento potrebbe consentire ai medici di «comprimere la morbosità dei loro pazienti; vale a dire, ridurre la quantità di tempo in cui i pazienti geriatrici soffrono di malattie croniche della vecchiaia come cardiopatie, degenerazione maculare, diabete senile o demenza. Queste terapie potrebbero anche estendere la durata della vita umana, almeno di un po’ di tempo. Le persone vivrebbero più di 80, 90 anni e in condizioni di salute relativamente buone. Anche se non si tratta di immortalità, l’offerta appare più che ragionevole.

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