Negli Stati Uniti si è iniziata e si è diffusa in tutto il mondo la più grave crisi finanziaria ed economica dai tempi della grande depressione degli anni Trenta del secolo scorso.
di Alessandro Ovi
Una crisi che, oltre alle banche, alle industrie grandi e piccole, ai fondi pensione, ai risparmi in generale, sta facendo danni gravi anche al mondo delle università e a quello del finanziamento alla innovazione.
Si moltiplicano le lettere preoccupate, ai docenti e agli studenti, di presidenti di grandi istituti quali MIT, Harvard, Yale, Columbia, Chicago, Texas, solo per citarne alcuni.
Lettere nelle quali si spiega come le strutture universitarie si stiano organizzando per far fronte ai prossimi difficili anni. Anni, sì anni, dicono tutti, perchè tanti ne dovranno passare prima che i ricchi endowments (fondi di dotazione) delle università possano almeno in parte recuperare le gravi perdite subite negli ultimi tre mesi e possa riprendere il flusso delle donazioni e dei grants.
In pochi si sbilanciano a dare numeri, ma una stima di Moody indica in 30 per cento il calo medio del valore degli endowments con riflessi pesanti su tutti gli aspetti della vita universitaria.
Il senso è quello di un danno molto grave, destinato a durare.
Prendiamo un caso per tutti, quello del MIT, il più vicino alla nostra rivista.
Nella sua lettera a tutto il personale e a tutti gli studenti dell’ Istituto che presiede Susan Hockfield, da una parte, riafferma l’impegno del MIT a continuare a operare ai vertici della eccellenza nell’insegnamento, nella ricerca, nell’innovazione. Dall’altra, annuncia però riduzioni delle spese dell’ordine del 15 per cento per i prossimi due o tre anni almeno.
Attenzione, 15 per cento di diminuzione, in un ambiente che era da tanti anni abituato solo a crescere, non è poco, è tanto, tantissimo ed è un segno di giustificata prudenza in momenti di grande preoccupazione.
Verranno congelati molti investimenti in infrastrutture universitarie, verranno rinviati aumenti al personale e ridotti anche i budget per la ricerca e le borse di studio. I fondi federali e i contratti di ricerca, fonte importante di finanziamento, potranno essere soggetti ai tagli del governo.
Le tuitions (l’equivalente delle nostre tasse universitarie) rimarranno una importante risorsa, ma non potranno essere aumentate, essendo ben chiaro che molti studenti e molte famiglie stanno soffrendo crisi economiche gravi. Ed è molto facile immaginare che a soffrirne sarà tutto il processo che, partendo dalle università, porta all’innovazione.
Più drammatico ancora il problema dei fondi di venture capital, l’altro pilastro della innovazione negli Stati Uniti. Nel suo complesso la raccolta di fondi nel terzo quadrimestre del 2008 è stata del 29 per cento inferiore a quella dello stesso periodo del 2007 e la situazione, nel quarto quadrimestre, è gia molto peggiore.
In Silicon Valley si dice che il sistema di finanziamento delle nuove imprese, linfa vitale di tutta l’area, è sull’orlo del collasso.
Si teme che, nei prossimi diciotto mesi, fino all’ 80 per cento delle nuove società avviate negli ultimi tre anni possano chiudere per mancanza di finanziamenti.
Si tenta un confronto con la crisi delle dot com, la bolla Internet esplosa alla fine degli anni Novanta e che fu molto pesante.
Ma allora era stato un settore solo a essere colpito duramente e la contaminazione verso il resto dell’economia era stata relativamente limitata. Oggi invece è il sistema finanziario nel suo complesso che contamina quello della innovazione e tutti, buoni o cattivi che siano, si sentono in grave pericolo.
La richiesta che viene da Silicon Valley o dalla Route 128 di Boston è che i pacchetti governativi di stimolo alla economia non si fermino alle banche o alle grandi aziende, come quelle dell’automobile, ma diano le risorse necessarie al sistema dell’innovazione.
Perché bruciare decine di miliardi di dollari in un salvataggio forse inutile di General Motors, Ford e Chrisler e non fare arrivare quel centinaio di milioni che permetterebbe a Tesla, la prima a costruire auto elettriche di media taglia, di iniziare la produzione di massa?
Il grande piano di investimenti infrastrutturali, annunciato dal presidente eletto Obama, cita tra i settori al centro della attenzione quello del risparmio energetico, delle fonti rinnovabili e della assistenza sanitaria.
Sono anche quelli dove è stata più intensa negli ultimi anni la attività delle grandi università e degli investimenti di venture capital e dove oggi tutti sono col fiato sospeso.
La speranza è che si arrivi a tempo a fare ripartire il sistema prima che tante risorse intellettuali, oggi “congelate” per mancanza di fondi e in attesa di sapere quale sarà il loro futuro, perdano quanto hanno fino a oggi costruito.