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    Trump ha manipolato i risultati di una ricerca del MIT per giustificare l’uscita dagli accordi climatici di Parigi

    Lo scienziato citato da Trump spiega come l’accordo di Parigi doveva essere inteso come un buon primo passo in avanti, ma che sarebbero serviti maggiori tagli alle emissioni, non meno.

    di James Temple

    Giovedì scorso, nel motivare la decisione di ritirarsi dagli accordi climatici di Parigi, il Presidente Trump ha citato una ricerca che sembrava suggerire come i concordati tagli alle emissioni non avrebbero apportato particolari cambiamenti alle temperature globali.

    “Si stima che questi tagli porterebbero ad una riduzione di appena due decimi di grado centigrado entro il 2100”, ha detto durante una conferenza stampa nel giardino delle rose della Casa Bianca. “Un ammontare piccolo, piccolo”.

    Questo, però, non è esattamente quanto veniva descritto all’interno della rilevante ricerca, né la conclusione a cui gli scienziati in questione erano giunti.

    Trump non ha menzionato la fonte di questi dati durante la conferenza stampa con cui ha annunciato che gli Stati Uniti si sarebbero ritirati dallo storico accordo. Reuters ha però riportato http://www.reuters.com/article/us-usa-climatechange-trump-mit-idUSKBN18S6L0 che i documenti citati dalla Casa Bianca risalgono a uno studio condotto nel 2016 dal MIT Joint Program on Science and Policy of Global Change e intitolato “How much of a difference will the Paris Agreement Make?” (Che differenza farà l’accordo di parigi?).

    Di fatto, i “due decimi di grado” sarebbero stati estrapolati da uno studio condotto in precedenza dallo stesso gruppo, nel 2014, ovvero prima che l’accordo di Parigi venisse sancito. Questo studio non includeva tutti gli eventuali impegni volti ad abbattere le emissioni, né considerava la continuazione degli sforzi intrapresi dai vari paesi oltre il 2030, spiega Erwan Monier, co-autore dello studio e principale scienziato ricercatore presso il dipartimento di Scienza Atmosferica e Planetaria della Terra al MIT.

    A quanto pare, la Casa Bianca avrebbe proprio selezionato il valore più basso che potesse trovare fra i vari studi che sono stati condotti per esplorare l’impatto degli accordi climatici.

    Le figure presentate nello studio del 2016, che incorporava tutti gli impegni presi dai paesi partecipanti, si aggirano infatti attorno agli 0.6-1.1 °C. Se un incremento di appena due gradi rispetto alle temperature registrate nell’era preindustriale viene considerato pericoloso, è lecito credere che gli scienziati avrebbero buone ragioni per considerare rilevante una riduzione delle temperature per un valore pari alla metà di tale incremento.

    Oltretutto, i ricercatori non sono mai giunti alla conclusione che non valesse la pena di perseguire gli accordi di Parigi. Fra le notizie comparse all’interno di MIT News a seguito della pubblicazione della ricerca del 2016, Monier è stato citato per aver detto che “l’accordo di Parigi è certamente un passo nella giusta direzione, ma è solamente un primo passo”.

    In una conversazione con MIT Technology Review, Monier ha detto che “l’idea che l’accordo di Parigi abbia un impatto insignificante sul futuro cambiamento climatico non è certamente quanto abbiamo appurato, e non è la conclusione a cui eravamo giunti con il nostro studio. Diciamo chiaramente che, se vogliamo limitare il riscaldamento del pianeta entro 2 °C, dobbiamo fare di più e dovremo continuare a farlo anche dopo il 2030”.

    Il gruppo di ricerca di Monier non sarebbe mai stato contattato da alcun membro dell’amministrazione Trump per poter discutere o spiegare i loro risultati.

    La stima riportata all’interno dello studio è stata solamente una delle tante informazioni fuorvianti o incomprese citate da Trump per giustificare la sua decisione, fra cui anche un rapporto economico commissionato da gruppi aziendali, contestato da diversealtrepubblicazionirapidamentesegnalato.

    (MO)

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