In occasione della premiazione dei TR35 2019, che MIT Technology Review Italia ha presentato nei giorni scorsi, si è tenuta una tavola rotonda con Romano Prodi, David Rotman, Roberto Battiston, Antonio Intiglietta, Federica Alberti e Adriana Maggi, in cui si è discusso della necessità di rilanciare i processi innovativi nell’ambito di una ricerca maggiormente integrata.
di Gian Piero Jacobelli
Come da programma, lunedì 27 e martedì 28 maggio, a Bologna, nella splendida Villa Guastavillani della Bologna Business School, ha avuto luogo la premiazione dei vincitori dell’annuale selezione dei giovani innovatori italiani (TR35, appunto, avvero che hanno non più di 35 anni), provenienti dal mondo della ricerca sia accademica, sia aziendale.
È stata la nona edizione del Premio promosso da MIT Technology Review Italia nell’ambito di simili iniziative realizzate oggi in 12 paesi del mondo, a partire da quella di MIT Technology Review USA. Nove edizioni sono sufficienti per cominciare a delineare un punto di vista diversificato sull’andamento della ricerca in Italia, con i suoi momenti di forza, ma anche di debolezza, con le sue variazioni sul tema dei rapporti tra i vari contesti della ricerca in Italia, da quelli pubblici a quelli privati, da quelli orientati verso la ricerca di base a quelli orientati verso la ricerca applicata.
In proposito, negli anni passati, nell’ambito di analoghe riflessioni sulle tendenze in atto, avevamo rilevato la progressiva confluenza di ricerca di base e ricerca applicata. Nelle prime edizioni la partecipazione al nostro Premio concerneva soprattutto giovani ricercatori che ancora non si ponevano, se non occasionalmente, il problema di come implementare i risultati delle loro ricerche. Oggi si presentano e vengono premiati giovani ricercatori che per lo più sono anche piccoli o grandi imprenditori, già ampiamente inseriti nei loro rispettivi mercati nazionali e internazionali, in grado di finalizzare al meglio le conoscenze acquisite e le connesse opportunità produttive.
Si tratta di un passaggio, per dirla in termini forse troppo convenzionali, dalla teoria alla pratica, che sta assumendo, nell’abito dei diversi aspetti della ricerca, uno specifico significato di merito e di metodo.
Di merito, perché – come ha sottolineato, introducendo il dibattito, Alessandro Ovi, editore e direttore di MIT Technology Review Italia – questo passaggio comporta un importante e impegnativo spostamento dell’attenzione dai successi della ricerca in sé ai successi delle sue applicazioni in ambito sociale ed economico: in particolare a come le «conoscenze e le tecnologie possano venire proiettate nello scenario di un nuovo welfare».
Di metodo, perché, passando dalla Space Economy agli Open Hubs of Innovation, dalla Translational Science all’artigianato che associa tradizione e la innovazione, si possono cogliere le molte difficoltà in un processo «di cui si è tanto parlato, senza tuttavia arrivare ancora a conclusioni realmente significative». In altre parole, appare necessario accrescere la circolazione della conoscenza anche tra settori lontani, come lo spazio e l’artigianato, senza vincoli all’accesso, per evitare che la ricerca in un ambiente competitivo e orientato al profitto, «faccia i ricchi sempre più ricchi, a fronte di una crescita globale molto bassa se non nulla».
Il filo rosso che collega temi e problemi apparentemente disparati è quello di una “innovazione innovativa”, di una “innovazione della innovazione”, di un approccio alla innovazione caratterizzato non tanto dal bisogno di distinguersi, ma da quello di integrarsi contestualmente e programmaticamente, per originare nuove catene del valore della conoscenza.
Dopo i saluti di Massimo Bergami, Dean della Bologna Business School, aprendo il dibatitto Romano Prodi, Presidente della Foundation World Wide Cooperation e dello Steering Committee Bologna Business School, ha definito questi originali scenari di una innovazione al tempo stesso dinamica e finalizzata come una «seminagione di conoscenze». Alludendo appunto alla esigenza di promuovere tutte le possibilità di interazione e reciproca fecondazione tra aree disciplinari e settori di ricerca in precedenza disparati e separati.
Anche David Rotman, Editor at Large di MIT Technology Review USA, individuando tra le tecnologie più innovative quelle connesse alla ricerca medica, alla produzione industriale e ai nuovi materiali, ha sottolineato come la Intelligenza Artificiale stia trasformando la tecnologia della innovazione tecnologica, reinventando il modo in cui inventiamo, grazie alla possibilità di processare grandi quantità di dati e all’autoapprendimento dei sistemi robotici e digitali.
Al momento, tuttavia, non tutto va per il giusto verso: la crisi economica, ma anche gli orientamenti politici negli Stati Uniti e in buona parte del mondo, stanno provocando un rilevante calo degli investimenti nella ricerca di base, dove ai molti ricercatori fa purtroppo riscontro una carenza di risultati.
Alla reciproca fecondazione della ricerca ha fatto riferimento Roberto Battiston, Former President ASI e Full Professor di UniTrento, soffermandosi sul ruolo della «economia dello spazio nei confronti dell’intero mondo della ricerca»: dai lanciatori, che stanno diventando una sorta di commodity, ai piccoli satelliti a basso costo, dalla possibilità di sperimentare in microgravità alla elaborazione dinamica dei dati, le innovazioni nel trasporto, nella comunicazione, nei nuovi materiali stanno facendo massa critica, connettendo proficuamente ciò che avviene sulla terra a ciò che avviene in cielo.
Analogamente, Antonio Intiglietta, President e CEO della Ge.Fi., a proposito della innovazione nell’artigianato ha parlato di «conservare la tradizione innovandola» per rafforzare e ampliare la propria offerta sul mercato, sia locale, sia globale. Perseguendo il duplice obiettivo di rispettare la natura e di rispettare le persone, da cui scaturisce la questione fondamentale della responsabilità, quale emerge dalla moltiplicazione dei passaggi tra un settore e l’altro, tra un momento e l’altro della ricerca.
Un concreto esempio di questa problematica della responsabilità ha proposto Federica Alberti, Head of Institutional Affairs di Zambon, sottolineando il passaggio negli obiettivi della sua azienda – la Zambon, una ultracentenaria impresa farmacologica che si sta espandendo in Italia e nel mondo – «dalla cura farmacologica alla cura del paziente», «dalla ricerca di nuove molecole alla ricerca di nuove strutture per la salute». Ancora una volta, tutto ciò avviene grazie alle connessioni possibili tra ricercatori e ricercatori, tra ricercatori e operatori, tra ricercatori e investitori.
Non a caso stiamo continuamente facendo riferimento, anche terminologico, al “passaggio”, che Adriana Maggi, Full Professor of Pharmacological Biotechnologies di UniMilano, ha correttamente definito, nel suo campo di ricerca farmacologica, come translational science: vale a dire la ricerca di come sia possibile “passare”, più tempestivamente, più efficacemente, più sicuramente, dalla ricerca di laboratorio al letto del paziente. Oggi la ricerca genetica è chiamata a curare non più i sintomi, ma le patologie, passando dalla ricerca di base alla ricerca preclinica e dalla ricerca clinica alla pratica clinica.
Ma soprattutto, come abbiamo accennato all’inizio, si passa dal merito al metodo: dalla ricerca “molecolare” alla ricerca di principi operativi generali, per promuovere una scienza predittiva, che non concerne il solo settore farmacologico, ma comporta inediti procedimenti di trasferimento, anche disciplinare, accostando le problematiche scientifiche a quelle umanistiche, per rispondere in maniera adeguata alle richieste della società e delle sue diverse componenti, usufruendo di tutte le opportunità offerte dal Sistema Paese.
Nel segno di quella che Adriana Maggi ha definito «la nuova domanda della innovazione», una domanda complessa, intorno a cui si articolano le istanze individuali e quelle collettive della ricerca, si è concluso l’incontro di Bologna, maggiormente orientato, rispetto ai precedenti, non tanto sul cosa, quanto sul come e sul perché del fare ricerca. Quindi, al tempo stesso, come si è già detto, maggiormente predisposto a riflettere sui nuovi orizzonti problematici della responsabilità che, moltiplicandosi i “passaggi” della conoscenza e delle sue implementazioni, rischia di dissociarsi e disperdersi.
Torneremo senza dubbio a discuterne, sulla rivista e nei prossimi appuntamenti con i giovani innovatori di TR35.