In occasione del 250mo anniversario della nascita di Ludwig van Beethoven è tornato di attualità il problema dei criteri compositivi della opera beethoveniana, la cui analisi oggi usufruisce anche delle risorse della Intelligenza Artificiale, per quanto concerne sia la interpretazione sia la esecuzione.
di Gian Piero Jacobelli
Nonostante le crescenti preoccupazioni per la perdurante epidemia, ieri le strade di molte città italiane risuonavano della celeberrima bagatella beethoveniana Per Elisa. La si ascoltava non soltanto nei vari canali mediatici, dalla radio alla televisione, ma anche come soneria dei telefoni portatili e come linea melodica molti jingle pubblicitari.
Non c’è da stupirsene. Ieri, 16 dicembre 2020, si è celebrato il 250mo anniversario della nascita – il giorno resta incerto, mentre più certo è il certificato di battesimo in data odierna, 17 dicembre – di Ludwig van Beethoven, il grande compositore tedesco del quale si potrebbe dire, come dicevano Hegel e Bergson per il filosofo Baruch Spinoza, che tutti gli appassionati di musica ascoltano per lo più due compositori: quello che a loro piace di più e Beethoven. Di Beethoven, infatti, nella storia della musica, ma non soltanto, non si può fare a meno.
Diciamo anzitutto che Per Elisa – un breve brano per pianoforte, poco più di due minuti nella versione che ci è pervenuta e che certamente non è stata concertata da Beethoven – non era stato composto ‘per Elisa’. Il titolo risale probabilmente a una erronea trascrizione da parte di Ludwig Nohl, il quale nel 1865 annunciò di avere scoperto a Monaco l’autografo risalente probabilmente al 1810. Si trattava forse di una Therese, la figlia di un commerciante o di un medico viennese.
In proposito, ovviamente, si sono moltiplicate le congetture e le conseguenti attribuzioni che, proprio nel loro stereoscopico sovrapporsi, hanno finito per conferire a questa misteriosa Elisa una presenza quasi mitica, come una sorta di epifania musicale che richiama alla memoria la botticelliana Nascita di Venere.
Questo preambolo, tra biografico e artistico, ci è parso utile a evidenziare la caleidoscopica prospettiva della straordinaria opera beethoveniana, che non soltanto presiede alla rivoluzione della musica ottocentesca, ma lascia presagire la moderna ricerca musicale, proiettando Beethoven, non soltanto in relazione al suo anniversario, nella attualità di un mondo culturale che in quella opera continua a riconoscersi. Dal punto di vista musicale, certo, ma anche da quello ‘tecnologico’, meno scontato, ma per noi anche più interessante.
In effetti, in merito a Beethoven e la tecnologia, nell’occhio magico di Internet emergono numerosi riferimenti che hanno a che vedere con vari dimensioni tecnologiche, in particolare, come prevedibile, con la tecnologia digitale. A cominciare dal doodle interattivo che Google dedicò a Beethoven cinque anni fa, in occasione del suo 240mo anniversario.
Come prevedibile, negli ultimi anni le connessioni tecnologiche beethoveniane si sono moltiplicate. Limitiamoci dunque ad alcuni esempi recentissimi.
Nei primi mesi del 2018 il giovane musicista e informatico Pierre Barreau ha presentato AIVA, la prima Intelligenza Artificiale in grado di comporre musica classica, sinfonica e in generale colonne sonore grazie alla memorizzazione e alla conseguente analisi delle composizioni di grandi musicisti e in particolare di Beethoven.
Nel giugno dello scorso anno alcuni ricercatori del Politecnico di Losanna hanno analizzato con metodi basati sulla statistica e la scienza dei dati le scelte stilistiche dei 16 Quartetti d’archi composti da Beethoven tra la fine del Settecento e il 1826, poco prima della sua morte. Notando una prevalenza degli accordi di dominanza e di tonica, oltre alla presenza di più di mille varianti di questi accordi.
Alla fine dello scorso anno Matthias Röder, del Karajan Institute di Salisburgo, ha presentato i primi risultati di un progetto di Intelligenza Artificiale per “completare”, in coerenza con lo stile beethoveniano, la Decima Sinfonia, rimasta incompiuta, come si sa, alla morte del compositore. Con risultati non convincenti, hanno osservato i critici musicali, ma tant’è: la strada, se non della creatività musicale, quanto meno della conoscenza e della formazione musicale computerizzata, è ormai aperta. E si sa da dove parte, ma non dove arriverà.
D’altronde, il celebre pianista Glenn Gould, preparando, in occasione del 200mo anniversario della nascita di Beethoven, nel 1970, la registrazione della Sonata op. 106 “Hammerklavier”, la “tastiera a martelli” che conferiva al pianoforte una tonalità già vagamente tecnologica, dichiarava di “essersi messo al lavoro per cercare di svelare i suoi misteri insondabili”. Aggiungendo che, “in tutta sincerità, non credo di essere realmente riuscito a risolvere una gran parte di essi; tuttavia ho cercato di affrontarli con dei metodi di analisi sistematica che reputo piuttosto interessanti e pertinenti”. Lo stesso Beethoven, infatti, adottava nel comporre un “assurdo rigore matematico”.
Non convinto dei risultati conseguiti, Gould concludeva di non avere più intenzione “di rompersi la testa un’altra volta sopra questi problemi fino al 2027”. Come dire: lasciamo tempo al tempo. Ne riparleremo un’altra volta. Ovvero, anche in merito alla relazione tra creatività e tecnologia, se sono rose fioriranno.
Poi, se non dovessero fiorire sul versante della composizione, fioriranno certamente su quello della interpretazione multimediale, come dimostra una deliziosa animazione grafica della Quinta Sinfonia beethoveniana, realizzata un paio d’anni fa dallo studente di ingegneria Mark Robbins, presentata sul canale Doodle Chase e ancora disponibile su Google. In poche parole, un nuovo modo, algoritmico, di fare musica.
(gv)