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    Sensori battery-free al lavoro per un museo da visitare

    Fra le tante opere esposte all’interno del museo etnografico, i sensori sono stati installati nell’ambito di un più ampio progetto di monitoraggio microclimatico per la loro conservazione preventiva

    di Fonte ST

    “Secondo il World Economic Forum nel 2025 saranno installati un trilione di sensori in tutto il mondo. Pensiamo davvero di poter cambiare 274 milioni di batterie al giorno?”. A porre la domanda è Roberto La Rosa, ingegnere presso STMicroelectronics da anni impegnato nella progettazione e nello sviluppo di sensori energeticamente autonomi.

    L’Internet of Things e un mondo sempre più interconnesso necessitano di un sempre maggior numero di dispositivi in grado di misurare grandezze fisiche di interesse: temperatura, luminosità, umidità, presenza di gas e via discorrendo. Ma se installarli può sembrare un’operazione banale, lo stesso non si può dire per ciò che riguarda la loro alimentazione, la sostituzione delle batterie e il relativo smaltimento.

    Come Fare?

    Una possibile risposta a questo problema proviene dal museo Etnografico “Nunzio Bruno di Floridia in provincia di Siracusa, dove grazie a un progetto di collaborazione scientifica tra STMicroelectronics, Università degli Studi di Catania e la ditta Leonardo S.r.l. sono stati installati a livello prototipale una serie di sensori senza batteria che traggono energia da sorgente luminosa.

    “Set and forget. Il grande vantaggio è – racconta La Rosa – poter fare a meno della manutenzione, e cioè della manodopera necessaria alla sostituzione delle batterie”. Un doppio risparmio, quindi, sia rispetto ai costi di alimentazione che degli operatori incaricati fisicamente di intervenire sui dispositivi.

    Tecnicamente si chiamano battery-free wireless sensor node, e rappresentano una soluzione relativamente semplice a un problema piuttosto complesso. Grazie alle dimensioni estremamente ridotte – 20 mm x 20 mm x 4 mm – possono essere installati con facilità in ambienti di ogni genere, siano essi lavorativi, espositivi, di pubblico interesse. L’importante è che vi sia una sorgente luminosa di almeno 200 lux, necessaria per poterne garantire l’operatività. “Sono praticamente dei francobolli”, sostiene La Rosa e, per questo motivo, hanno trovato una prima importante applicazione nel settore dei beni culturali.

    In questo campo, infatti,“i sensori devono essere mimetici per questioni legate alla fruizione dell’opera”, come spiega Anna Maria Gueli, docente di Fisica applicata del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Catania che ha preso parte alla collaborazione scientifica. Piccoli e leggeri in modo da non costituire un ostacolo per l’utente museale ma, al tempo stesso, in grado di evitare qualsiasi rischio per le opere sottoposte a misurazione.

    Il comune di Floridia è celebre per la tradizione dei carretti siciliani. Qui, dal XIX secolo, sono stati prodotti gli iconici mezzi a trazione equina adibiti al trasporto merci sull’isola. Fra le tante opere esposte all’interno del museo etnografico, alcuni sensori sono stati installati proprio all’interno dei carretti storici, nell’ambito di un più ampio progetto di monitoraggio microclimatico per la conservazione preventiva.

    “In particolare, stiamo controllando sul lungo periodo – racconta ancora Gueli – le variazioni di temperatura e umidità di due carretti. Uno più recente e uno che ha almeno 300 anni. In questo modo, a parità di condizioni climatiche, possiamo valutarne lo stato di salute in chiave comparata”. Allo stesso modo, i “piccoli francobolli”, sono stati applicati al cantiere di restauro di Palazzo dei Notai a Bologna, storico edificio che si affaccia su Piazza Maggiore.

    “Pensare però che le applicazioni si possano limitare ai beni culturali sarebbe un errore”, avverte Carlo Trigona, docente all’Università di Catania afferente al dipartimento di Ingegneria Elettrica, Elettronica e Informatica. “Siamo di fronte a strumenti con prospettive di operatività endless perché – spiega – le dimensioni ridotte e l’assenza di batterie consentono di posizionarli pressoché ovunque. Dalle città, in riferimento alle necessità delle smart cities, ai campi agricoli, dove ottenere informazioni sullo stato di salute delle piante è centrale per produzione e raccolti”.

    Trigona, impegnato anche nello sviluppo di sistemi per estrarre energia dalle piante ed utilizzarle direttamente come sensori, ricorda come anche in ambito industriale i sensori battery-free rappresentino un vantaggio: “Nel monitoraggio dei sistemi industriali la manutenzione dei sensori comporta spesso il blocco di linee elettriche. Ma con questi dispositivi il problema non si presenta”, riferisce ancora Trigona. Se però i sensori funzionano con la luce, cosa succede quando si fa buio? “Esiste sempre, e lo abbiamo fatto, la possibilità di realizzarli con dispositivi di accumulo ma – ricorda La Rosa – questo da un lato comporta una perdita di miniaturizzazione, dall’altro non è l’obiettivo primario del nostro progetto”.

     L’esempio pratico, in questo caso, può essere un interruttore crepuscolare per abitazioni domestiche. Normalmente, per poter avere un sistema che accenda le luci automaticamente al calar del sole, è necessario un impianto e l’intervento di un elettricista. I sensori di luce ambientale, oltre ad evitare il cablaggio, nel momento in cui non ricevono più luce smettono di comunicare con il relè adibito all’accensione delle luci. Ed è proprio in quel momento, con l’assenza di segnale, che l’interruttore capisce di attivarsi.

    In un futuro che, di fatto, è già presente, la luce solare potrebbe essere sostituita da altri elementi come fonte di energia per i sensori. Dal glucosio contenuto nel sudore umano, applicando così i dispositivi sulla pelle per misurare dati vitali come temperatura e frequenza cardiaca, allo sfruttamento dell’energia prodotta dalle piante per comprenderne rapidamente lo stato di salute.

    La chiave di volta per trovare nuovi sviluppi e applicazioni di sensori battery-free è quindi la multidisciplinarietà. Necessaria, a meno di non volersi trovare a cambiare 274 milioni di batterie al giorno nel giro di tre anni.

    (lo)

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