Più di 11.000 scienziati hanno firmato un documento in cui spiegano la necessità di stabilizzare o ridurre gradualmente la crescita demografica mondiale.
di James Temple
Più di 11.000 scienziati, specializzati in una vasta gamma di discipline, hanno firmato un nuovo editoriale in cui si dichiara “l’Emergenza Climatica”. Altri ricercatori hanno immediatamente criticato uno dei rimedi proposti: fermare la crescita demografica.
“L’incremento della popolazione mondiale di circa 80 milioni di persone all’anno, più di 200.000 al giorno, deve essere stabilizzata e gradualmente ridotta”, recita l’articolo pubblicato su BioScience. Gli autori osservano che tra gli strumenti efficaci nella riduzione dei tassi di fertilità ci sono la disponibilità di servizi contraccettivi, l’educazione di ragazze e giovani donne e il sostegno per la parità di genere.
Le nazioni ricche hanno già, generalmente, tassi di natalità piatti o in calo, per cui la proposta sembra in gran parte diretta alle nazioni in rapido sviluppo dell’Africa e dell’Asia. In particolare, le Nazioni Unite prevedono che nove paesi rappresenteranno più della metà della crescita prevista tra oggi e il 2050, tra cui (in ordine decrescente) India, Nigeria, Pakistan, Repubblica democratica del Congo, Etiopia, Repubblica unita di Tanzania, Indonesia , Egitto e Stati Uniti (dove la migrazione rappresenterebbe il principale motore di crescita).
“Un gruppo di bianchi provenienti da paesi sviluppati che promuove la riduzione della crescita demografica è la definizione di un inquadramento imperialista”, ha dichiarato su Twitter Arvind Ravikumar, professore di ingegneria energetica dell’Università di Scienza e Tecnologia di Harrisburg.
Joseph Majkut, climatologo e direttore delle politiche climatiche del Niskanen Center di Washington, DC, trova il suggerimento molto problematico da un punto di vista politico, in quanto alimenterebbe l’idea promossa tra i conservatori secondo cui “la climatologia e le conclusioni delle sue ricerche sono il prodotto di un movimento ideologico”, che dà la priorità alla natura rispetto agli esseri umani.
La logica scientifica a favore di una popolazione mondiale ridotta potrebbe anche venire sfruttata per giustificare tattiche più aggressive del controllo della popolazione o atteggiamenti razzisti nei confronti di paesi in via di sviluppo. Per alcuni, la proposta ha riportato alla memoria periodi oscuri del movimento ambientalista, quando varie organizzazioni e figure avevano promosso opinioni pro-eugenetica e anti-immigrazione.
Secondo le previsioni delle Nazioni Unite, la popolazione globale potrebbe crescere da circa 7,7 miliardi a 9,7 miliardi entro il 2050 e raggiungere un picco di 11 miliardi intorno alla fine del secolo. Un numero ridotto di persone produrrebbe meno emissioni di gas serra, con un diretto effetto sui pericoli dei cambiamenti climatici sul lungo termine. Se la popolazione mondiale raggiungerà i 9, 10 o 11 miliardi di persone, il mondo non potrà che continuare a pompare quantità sempre più rischiose di inquinamento climatico, soprattutto se non apporteremo modifiche sostanziali ai sistemi energetici, di trasporto e di produzione alimentare implicati.
C’è chi punta l’attenzione su apparenti incoerenze nei rimedi proposti dal documento pubblicato su BioScience. In particolare, secondo gli autori, il mondo dovrebbe spostare le priorità economiche dalla crescita del prodotto interno lordo, alla soddisfazione dei bisogni umani di base e la riduzione della disuguaglianza. Tuttavia, la crescita del PIL riflette, in molte parti del mondo, un calo nella disuguaglianza, dichiara Jesse Reynolds, esperto di diritto e politica ambientale dell’Università della California, a Los Angeles. Non solo, almeno nelle prime fasi, lo sviluppo economico è spesso correlato ad un declino nei tassi di natalità, quindi il rallentamento nella crescita del PIL potrebbe interferire con gli sforzi per ridurre la crescita demografica.
James Hansen, professore della Columbia, considerato il padre della climatologia, ha sottoscritto lo studio. Molti nomi di spicco nel mondo delle scienze climatiche, però, non hanno seguito il suo esempio e molti degli scienziati firmatari non operano nel settore del clima e dell’energia. Altre proposte del documento per combattere i cambiamenti climatici sono più condivise, come il passaggio aggressivo a fonti di energia a basse emissioni di anidride carbonica, la riduzione nell’utilizzo di sostanze inquinanti come il metano, la protezione degli ecosistemi naturali e della biodiversità e la riduzione nei consumi di prodotti di origine animale.
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