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    Quasi il 40% degli islandesi usa un’app, ma non ha aiutato molto

    Il paese ha la più alta penetrazione di qualsiasi altra app di tracciamento automatico dei contatti al mondo, ma una figura di spicco afferma che “non è stato un punto di svolta”.

    di Bobbie Johnson

    Quando l’Islanda ebbe il suo primo caso di covid-19 il 28 febbraio, un intero apparato entrò in azione. Il paese aveva già testato alcune persone ad alto rischio di contrarre il virus, grazie a DeCode, Genetics un’azienda locale di biotecnologie. Una volta che l’arrivo della malattia è stata confermato, si è iniziato rapidamente a implementare test pubblici su scala molto più ampia. Il governo, nel frattempo, ha creato un team di operatori per il tracciamento dei contatti per intervistare chi aveva ricevuto una diagnosi positiva e rintracciare le persone con cui era stato in contatto. 

    Nel giro di poche settimane, anche gli islandesi disponevano di un altro strumento ad alta tecnologia: un’app di tracciamento automatica decisa dal governo. Rakning C-19, che è stata lanciata all’inizio di aprile, è stato accolta come un modo per “rendere più facile la tracciabilità del contagio”. Monitora i dati GPS degli utenti per compilare un registro dei luoghi dove sono stati, consentendo a investigatori autorizzati di verificare se quelli con una diagnosi positiva stiano potenzialmente diffondendo la malattia. 

    Secondo il Covid Tracing Tracker di “MIT Technology Review” americana, questa app ha il più alto tasso di penetrazione di tutti i tracker di contatti al mondo, essendo stata scaricata dal 38 per cento della popolazione islandese, che conta 364.000 abitanti. 

    Ma nonostante questa distribuzione precoce e un uso diffuso, una figura di spicco nella risposta a covid-19 afferma che il reale impatto di Rakning C-19 è stato limitato, rispetto alle tecniche di tracciamento manuale come le telefonate.

    “La tecnologia ha giocato un ruolo minore”, afferma Gestur Pálmason, un ispettore investigativo del servizio di polizia islandese che sta supervisionando le attività di ricerca dei contatti. “E’ solo l’integrazione con gli operatori sul territorio che garantisce dei risultati. Direi che [Rakning] si è rivelata utile in alcuni casi, ma non ha rappresentato un punto di svolta per noi”.

    I limiti tecnologici

    Pálmason si è unito alla squadra di monitoraggio 10 giorni dopo il primo caso registrato, quando ancora il numero complessivo dei contagi si attestava sui sessanta. Ammette che il tracciamento automatico in alcune situazioni è stato utile, ma il contributo reale è stato esagerato da persone desiderose di trovare soluzioni tecnologiche alla pandemia.

    “È comprensibile, perché un’app è qualcosa di semplice da acquistare”, egli afferma. “Ma senza tracciamento manuale serve a poco”. La raccomandazione è importante per quei paesi che sono nelle prime fasi delle loro app autonome o stanno adottando la tecnologia ancora inedita di Apple e Google.

    In molti sperano che l’utilizzo generalizzato della app dei giganti della Silicon Valley permetterà di superare alcuni degli ostacoli sociali e tecnici con i quali ci si è scontrati finora. Ma se una nazione piccola, socialmente coesa e geograficamente isolata come l’Islanda riesce a raggiungere solo il 38 per cento di penetrazione, se ne ricava che i tentativi in altri paesi faranno fatica a raggiungere il livello di adozione richiesto. 

    I fattori sono molti

    Tuttavia, l’Islanda è riuscita ad appiattire la curva del coronavirus e a tenere sotto controllo i focolai. A oggi ha avuto poco più di 1.800 casi confermati e 10 decessi. Le cifre sono rimaste più o meno statiche per diverse settimane e l’ultima morte confermata per covid-19 è stata il 19 aprile.

    Tutto ciò nonostante il fatto che il Paese non abbia messo in atto molte delle drastiche politiche sociali viste altrove, generando peraltro alcune critiche all’interno del paese. Mentre gli spostamenti sono stati limitati e ci sono state restrizioni sulla dimensione dei raduni, le scuole elementari e persino alcuni ristoranti sono rimasti aperti, usando una combinazione di distanza sociale e una strategia “a bolle”, in cui le classi e i luoghi di lavoro sono divisi in unità discrete che non interagiscono tra loro.

    Questo mese ha visto finora solo tre casi di virus confermati. Pálmason sostiene che l’intervento precoce e aggressivo con test, tracciabilità e isolamento sia stata ripagata. “Abbiamo scelto un modello collaborativo con i cittadini”, egli spiega. “Esiste la legge e possiamo fare multe, ma in pratica non ne abbiamo fatte: i cittadini  seguono le linee guida che sono state stabilite e hanno permesso al modello di funzionare in modo fantastico”.

    Immagine: L’Islanda finora ha avuto solo dieci decessi per covid-19. Guilhelm Velut su Flickr

    (rp)

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