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    Possiamo personalizzare i trattamenti contro il cancro, di tumore in tumore

    Ma quale società farmaceutica potrà permettersi di produrre costosi farmaci monouso?

    di Adam Piore

    L’immunoterapia, la terapia che utilizza il sistema immunitario del paziente per combattere i tumori, rappresenta uno dei campi di studi più promettenti della medicina moderna, nonché una delle più grandi scoperte in oncologia. È il risultato di anni di studi, errori e delusioni.

    La prima volta che l’idea di un vaccino anticancro fece la sua comparsa alla Genentech di San Francisco fu nel 2012 e venne categoricamente rifiutata. La proposta di Ira Mellman, allora responsabile della ricerca oncologica in Genentech, prevedeva lo sviluppo di un vaccino capace di educare il sistema immunitario ad attaccare tumori specifici. Se avesse funzionato, il sistema si sarebbe potuto rivelare persino più potente di altre forme di immunoterapia.

    Per portare avanti il progetto, la Genentech, gruppo Roche, non solo avrebbe dovuto abbracciare i più recenti progressi scientifici, ma anche un modello di business completamente nuovo. Il vaccino proposto da Mellman e dalla sua squadra, infatti, sarebbe stato così personalizzato da venire prodotto monodose per ciascun paziente. Non solo, questo genere di farmaci non sarebbero stati disponibili con la semplice emissione di una ricetta: la società avrebbe dovuto organizzare un processo di produzione a più passaggi, distribuito su più località. Ciascun paziente avrebbe dovuto essere sottoposto a biopsia, il genoma del tumore avrebbe dovuto essere sequenziato, analizzato e solo allora gli studiosi avrebbero potuto progettare la formula del singolo vaccino ed avviarlo alla produzione. Tutto questo centinaia di volte alla settimana, il più velocemente possibile. Un semplice errore di distribuzione si sarebbe potuto rivelare fatale per il paziente in attesa.

    Quando la prima proposta fallì, Mellman e collega, Lélia Delamarre, ripresero le proprie ricerche e identificarono obiettivi sulle cellule cancerogene contro cui indirizzare il sistema immunitario. A pochi mesi di distanza, proposero nuovamente l’idea di un vaccino, forti delle ricerche di altri gruppi accademici e di un piano di produzione per la Genenthech. L’idea fu accettata e nel 2016 produsse un accordo da $310 milioni con la tedesca BioNTech, proprietaria di una tecnica per la produzione di vaccini personalizzati contro i tumori. I test clinici in corso stanno lavorando a 10 forme di cancro e coinvolgono 560 pazienti in tutto il mondo. La squadra di Mellman e Delamarre è ora composta di specialisti nella distribuzione, esperti legali, esperti di diagnostica, un’armata di consulenti intenti a ideare un sistema per produrre questi farmaci senza mandare la società in bancarotta.

    La Genentech non è sola nel suo interesse per l’immunoterapia: negli ultimi mesi del 2017, la società biotech Moderna, di Cambridge, Massachusetts, annunciò di aver dato vita ad una collaborazione con il gigante farmaceutico Merck per condurre test clinici su pazienti umani per verificare l’efficacia di un vaccino contro i tumori solidi, mentre nel maggio 2018, la Neon Therapeutics, fondata da ricercatori del Dana Farber Cancer Institute e della Washington University, ha condotto test clinici in fase 1 su di un vaccino simile per cui aveva raccolto investimenti pari a $100 milioni.

    Il cancro è causato da mutazioni del cellulare. I ricercatori si chiedono se sia possibile indirizzare il sistema immunitario contro il cancro sin dagli anni ’40. Filoni di ricerca alternativi prevede la rimozione di cellule T dal corpo  del paziente per modificarle geneticamente in laboratorio e reinserirle nel paziente, dove dovrebbero dare vita ad una reazione immunitaria contro il tumore. Alcuni ricercatori si sono concentrati sullo sviluppo di farmaci capaci di disattivare interferenze molecolari delle cellule T che impediscono loro di partire all’attacco.

    Fino a poco tempo fa, però, non esistevano gli strumenti scientifici per immaginare un approccio sofisticato come quello della Genentech. Il problema principale era identificare le molecole da prendere di mira sulle cellule tumorali, gli antigeni capaci di attirare l’attenzione delle cellule T.  Tutto cambiò con l’avvento delle tecniche di sequenziamento genetico economiche. Nel 2008, a 5 anni dalla pubblicazione del primo genoma umano completo realizzato dal Human Genome Project, venne pubblicato la prima sequenza genetica di una cellula cancerogena. Lo studio comparato tra cellule sane e cellula cancerogena rivelò centina, se non migliaia di mutazioni, quasi tutte proprie al solo tumore specifico.

    Nel 2012, ricercatori tedeschi capeggiati dalla BioNTech, sequenziarono un ceppo di cellule tumorali di topo comunemente utilizzato per la ricerca sul melanoma umano. Il gruppo creò poi un vaccino composto di frammenti di proteine contenenti 50 delle mutazioni identificate. Il sistema immunitario dei topi riuscì ad identificare un terzo delle mutazioni e reagì a 5 di esse. Avendo provato la possibile efficacia di un vaccino anticancro, i ricercatori cercarono la risposta alle domande: come mai il sistema immunitario può essere stimolato ad attaccare alcune mutazioni e non altre? Come possiamo identificare le mutazioni più vulnerabili?

    Per dare risposta a queste domande, Delamarre, nei laboratori della Genentech, studiò le interazioni tra il DNA del cancro ed un componente chiave del sistema immunitario chiamato complesso maggiore di istocompatibilità nei topi, sistema dell’antigene leucocitario (HLA) negli esseri umani. L’HLA si compone di 200 proteine diverse che emergono dalla superficie cellulare e vengono riconosciute dalle cellule del sistema immunitario come amiche o estranee da aggredire. Dalle ricerche di Delamarre risultò che il sistema immunitario attacca più facilmente le mutazioni immediatamente rilevabili sulla superficie delle cellule.

    La Genentech si vide approvare il primo farmaco anticancro nel 1997 e da allora ne ha prodotti 15. I test sui vaccini anticancro stanno mettendo alla prova non solo l’efficaci dei farmaci, ma anche la capacità di Genentech e BioNTech di condurre le proprie operazioni in tutto il mondo. Le due società hanno attualmente sedi in USA, GB, Belgio, Canada e Germania, ma dovranno espandersi in tutto il mondo. La BioNTech è stata in grado di automatizzare alcune delle funzioni necessarie alla produzione dei farmaci, dimezzandone così i tempi di produzione da 3 mesi a 6 settimane e spera di poter ridurre ulteriormente i tempi a 4 settimane. Le previsioni di mercato indicano che la produzione dovrà raggiungere le 10.000-20.000 unità all’anno.

    Non sono mancati gli imprevisti. Inizialmente, per esempio, il contratto dei lavoratori della BioNTech non permetteva che lavorassero nei fine settimana, mettendo a rischio il ricevimento dei campioni di tessuto inviati ad analizzare. I ricercatori sono rimasti sorpresi dai tempi variabili di consegna dei tessuti. Vari fattori si sono rivelati incisivi, come l’assenza di protocolli d’urgenza in alcuni dei laboratori che raccolgono i campioni o la difficoltà dei pazienti stessi nel raggiungere questi centri. Anche consegnare i vaccini ai pazienti è risultato problematico. Almeno un vaccino venne fermato alla dogana di New York City.

    Per ora, il numero limitato di pazienti rende gestibile ogni intoppo, ma il procedimento dovrà essere impeccabile per servirne decine di migliaia. La Genentech non ha ancora saputo calcolare quale sarà il costo di questi vaccini personalizzati. Il costo del sequenziamento del genoma potrebbe calare ulteriormente, la rete produttiva potrebbe farsi più efficiente, altre innovazioni potrebbero affacciarsi all’orizzonte.

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