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    Policy and Politics

    Policy and politics. Due parole inglesi, in apparenza molto simili, ma dal significato molto diverso.  

    di Alessandro Ovi

    Policy, è il risultato di un insieme di analisi quantitative, razionali, necessarie (o utili) a risolvere problemi complessi che coinvolgono società, economia e tecnologia. Politics, è la ricerca di consensi popolari e la loro aggregazione verso soluzioni non necessariamente ottimali o apparentemente razionali ma socialmente accettabili.

    Il vocabolario italiano ha una parola sola: politica, che molto spesso mette in seconda linea la policy e va direttamente alla politics, dove «credo» e filosofie diversi finiscono spesso per essere un dato a priori.

    Valori e interessi si mescolano e la razionalità è piegata all’esercizio puro e semplice di un potere spesso solo ideologico.

    Difficile uscire dal conflitto se non si riesce a disarticolare ogni singolo problema nelle tre componenti elementari: interessi individuali, interessi collettivi e valori inevitabilmente diversi nell’ambito di una stessa comunità.

    Per provare a spiegare il problema nella sua complessità consideriamo un caso complesso e di grande attualità: il rapporto tra etica e scienza esploso recentemente nel settore delle biotecnologie.

    Non è un problema nuovo, né necessariamente legato all’ambito delle scienze della vita. 

    Basta ricordare Oppenheimer con la sua coraggiosa opposizione all’uso militare della ricerca, le controversie sulle centrali nucleari o sugli organismi geneticamente modificati. 

    Ma oggi nell’applicazione delle biotecnologie allo studio e alla manipolazione delle cellule umane il problema assume aspetti di particolare complessità. 

    Sul tavolo non c’è solo la necessità di valutare l’eticità dell’utilizzo delle nuove conoscenze acquisite, ma anche quella dei processi seguiti per ottenerle .

    Il settore di ricerca più delicato è quello delle staminali, cellule ancora «indifferenziate» che, non avendo ancora assunto le caratteristiche finali dell’organo di cui faranno parte, sono in grado di evolvere in molteplici forme di tessuto e hanno quindi grandi potenzialità di sviluppo nella medicina rigenerativa,

    Esse possono essere ricavate da organismi adulti e in questo caso si tratta di cellule staminali adulte o da embrioni e, allora, si parla di cellule staminali embrionali.

    La ricerca con le prime non pone problemi etici perchè non fa uso di embrioni.

    Le seconde, tuttavia, secondo la gran parte degli scienziati, sono assai più promettenti di quelle adulte, e su di esse si concentrano le risorse per la ricerca. 

    Ma proprio qui nasce il delicato problema etico. Perché, fino ad ora, disporre di cellule staminali embrionali richiede la distruzione di embrioni. 

    Se un embrione sia una forma di vita completa o no è un problema assai più di religione che di scienza. Cristiani, ebrei, mussulmani, buddisti, induisti o atei hanno posizioni diverse in materia. Nel dubbio, tuttavia, esiste un crescente numero di scienziati che preferisce considerarle tali e cerca modi di lavorare eticamente accettabili. 

    Le vie possibili sono in questo caso molteplici, per cui, prima di rigettare completamente ogni forma di ricerca sulle staminali embrionali, occorre considerare ciascuna di loro con molta attenzione.  

    Una prima riflessione va condotta sulla differenza tra natura e stato dell’embrione. Una volta che sia accettata la natura di vita umana dell’embrione, la valutazione dell’eticità del suo utilizzo deve tenere conto di un aspetto ulteriore che è quello del suo stato. 

    Per comprendere meglio occorre ragionare per analogia: un corpo umano, tenuto in vita da una macchina, può a un certo punto, in un quadro di condizioni condivise dalla comunità medica, essere staccato dalla macchina e anche essere oggetto di espianto di organi. Ormai non ci sono più obiezioni serie in materia. 

    Così potrebbe essere per un embrione conservato in un frigorifero (ce ne sono migliaia, i soprannumerari derivanti dalle pratiche di fecondazione in vitro) se la scienza concordasse sul fatto che dopo un cero numero di mesi o di anni non vi è più in lui la capacità di evolvere in un essere vivente. Si tratta di una decisione che a questo punto spetta solo alla scienza come, d’altra parte, è accaduto per quella sull’espianto degli organi.

    Ma il bisogno di essere attenti non finisce qui. Una seconda riflessione riguarda la possibilità di lavorare sull’embrione in formazione, senza danneggiarlo, come si lavora su un qualunque paziente in sala chirurgica. Per questioni legate al rigetto di tessuti costruiti partendo da cellule staminali si stanno mettendo a punto tecnologie (definite politicamente corrette) che permettono di riprodurre il DNA dei pazienti senza passare attraverso la blastocisti umana ovvero quell’insieme di cellule generato dalla divisione cellulare dell’uovo fecondato, o di prelevare il campione di DNA senza interrompere il processo di crescita dell’embrione.  

    è un insieme di tecniche ancora allo studio e sulle quali non tutti concordano, ma il fatto che a porre il problema in questi termini siano anche scienziati cattolici fa pensare che alla scienza e non ad altri dovrebbe essere affidato il compito di definire una policy, che possa evolvere in una politics non di puro confronto ideologico, ma di ricerca di soluzioni razionali condivise. 

    Alla luce di questi argomenti un no aprioristico a ogni forma di ricerca risulterebbe dunque privo di reale motivazione etica perché si può essere totalmente credenti o totalmente atei, persuadendo e non obbligando.

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