Il mondo della ricerca americano, soprattutto quello delle grandi Università di Ingegneria, dal MIT nel Massachusetts a Stanford in California, sta vivendo, in questi mesi in cui il paese sta cercando di uscire dalla crisi economica, quello che negli Stati Uniti viene definito un mixed feeling (ovvero quel sentimento provato da chi vede la sua nuova Ferrari cadere in un burrone con la suocera dentro…).
di Alessandro Ovi
Da una parte c’è la preoccupazione che il crollo del valore degli endowments (i fondi che costituiscono la base finanziaria degli Istituti) e delle donazioni private, determini la necessità di tagliare in modo rilevante i costi per il personale, gli investimenti in edifici e attrezzature, le risorse per borse di studio (i presidenti delle maggiori università hanno mandato a tutti i loro dipendenti e studenti lettere dal tono grave che preannunciavano queste misure).
Dall’altra c’è una speranza ben percepibile, quando si parla con loro, che la crisi porti a scelte coraggiose da parte del Governo, in materia di Ricerca e Sviluppo tecnologico.
C’è la sensazione diffusa, condivisa anche a livello popolare, che la via della innovazione sia quella da seguire e che per questo molte cose debbano cambiare.
La gente fatica a capire come mai i CEO di grandi banche percepiscano una retribuzione con la quale si potrebbero pagare 50 full professors del MIT.
Sta facendosi strada l’idea che l’uscita dalla crisi debba necessariamente portare gli Stati Uniti, in modo ben più vigoroso di quanto fatto negli ultimi anni, verso la produzione di intere famiglie di prodotti innovativi nei settori a più grande crescita sul mercato globale e cioè quello dell’energia da fonti rinnovabili e quello della salute.
A proposito del primo parliamo, nella rubrica «Opinioni» di questo numero a pag. 54, del grande piano da 15 milardi di dollari annunciato da Obama e da Susan Hockfield, presidente del MIT, per la Ricerca e lo Sviluppo tecnologico nelle fonti energetiche rinnovabili .
Sul secondo torneremo in un prossimo numero. Anticipiamo, per ora, solo la volontà chiaramente espressa dal presidente americano di iniziare a stimolare il settore, liberalizzando la ricerca in tutte le branche della biotecnologia, lasciando alla coscienza dei singoli ricercatori la scelta delle strade più in sintonia con i vari credo e modelli etici che, nei laboratori del melting pot americano, hanno sempre convissuto.
Salta subito agli occhi una differenza di toni e di interesse che si nota tra l’ambiente americano e quello italiano su questi temi.
La crisi economica più ancora che finanziaria sta colpendo duro anche da noi.
Pochissime voci, però, si levano per chiedere che la necessità del rilancio passi attraverso il potenziamento delle attività della Ricerca e dello Sviluppo, che è alla base di un nuovo grande flusso di innovazione industriale. Quasi che la ricerca italiana avesse rinunciato a far breccia nel cuore della gente per rinchiudersi in un minimo livello di sopravvivenza.
Anche su questo tema torneremo nei prossimi numeri con una serie di interviste ai nostri ricercatori più importanti e di dibattiti aperti anche alla politica, per capire il perché di questa forma di rassegnazione, dalla quale dovremmo assolutamente, e in tempi rapidi, uscire.