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    Per un pugno di gradi

    Dall’ultimo report dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) si rileva che il 2016 e il 2019 risultano essere gli anni più caldi della storia mentre il decennio 2010-2019 quello con le temperature medie più alte. E si prevede che questa tendenza continuerà.

    di Fonte ENI

    Il clima del pianeta è cambiato diverse volte nel corso della sua storia. Negli ultimi 650.000 anni ci sono stati sette cicli di grandi glaciazioni, separati fra loro da periodi caldi (cosiddetti interglaciali), in cui i ghiacciai si ritiravano.

    Queste alternanze sono state provocate soprattutto da piccole variazioni della quantità di luce solare che investiva il pianeta, causate a loro volta da minuscoli mutamenti nella sua orbita. Alcune oscillazioni termiche più brevi sono state provocate da periodi di intensa attività solare. Altre dall’immissione negli strati alti dell’atmosfera di grandi quantità di polveri finissime, prodotte da ceneri eruttate dai vulcani e rimaste in sospensione per anni, andando a causare una diminuzione della temperatura globale.

    Storicamente, ogni oscillazione ciclica fra climi estremamente rigidi e climi caldi è sempre stata enormemente graduale, si parla di decine di migliaia di anni. Così, tutti gli ecosistemi del pianeta sono sempre riusciti facilmente a compensare la lentissima variazione di temperatura. L’ultima Era Glaciale è terminata circa settemila anni fa ed è allora che è iniziato il ciclo climatico attuale.

    A partire dalla metà del XIX secolo, il riscaldamento globale ha assunto caratteristiche completamente diverse. Questa volta, secondo l’Istituto Goddard della NASA, l’evento è stato rapidissimo: un aumento di 0,98 gradi centigradi in meno di 40 anni, dal 1880 al 2019. Non sta crescendo dunque solo la temperatura media di terre e oceani, ma anche la velocità del suo innalzamento: quasi ogni anno si registrano picchi di temperature mensili record rispetto alla media storica e aumenti di 0,3 gradi centigradi ogni dieci anni.

    Questi dati sono accettati dall’intera comunità scientifica internazionale e sono verificati ad esempio attraverso il carotaggio di ghiacciai perenni, l’analisi degli anelli di accrescimento di piante secolari o di barriere coralline oltre che tramite misurazioni dirette.
    Cosa è cambiato? Negli ultimi 100-150 anni è intervenuto un nuovo fattore: l’impatto delle civiltà umane. L’industrializzazione, l’urbanizzazione, l’intensificarsi dei commerci su lunghe distanze, come pure l’agricoltura intensiva e l’aumento del benessere nei Paesi più evoluti hanno richiesto e richiedono enormi quantità di energia. Produrle comporta generare emissioni di una quantità massiccia di anidride carbonica: la stessa quantità che si era accumulata nel sottosuolo in centinaia di milioni di anni a partire dal Paleozoico.

    Nella storia della Terra, diminuzioni di temperatura comprese appena fra 5 e 9 centigradi hanno provocato ere glaciali e ricoperto il continente europeo e nordamericano con ghiacciai alti fino a un migliaio di metri. Secondo il gruppo Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), la maggiore autorità internazionale sul cambiamento climatico, l’aumento della temperatura media provoca lo scioglimento di 3 mm di ghiaccio all’anno, compreso l’Artico. Solo nel caldo luglio 2019, tuttavia, se ne è sciolto mezzo millimetro, con un conseguente innalzamento delle acque compreso fra 0,5 e 1 metro entro la fine del secolo.

    Per quanto non facilmente prevedibile e quantificabile, l’impatto sui diversi ecosistemi sarà tutt’altro che trascurabile: dall’aumento di frane, terremoti e tsunami, alla liberazione in atmosfera di grandi quantità di anidride carbonica e metano (finora intrappolati nei fondali oceanici e nei ghiacci permanenti). Dalla migrazione di piante e animali verso le montagne e i poli, all’espansione dei deserti in pianura e nelle zone equatoriali e tropicali. Da una più rapida alternanza tra periodi di grande siccità e di intensa piovosità a una maggiore frequenza e intensità di ondate di calore e cicloni.

    Le società umane sono coinvolte in prima persona, non solo come co-responsabili, ma come vittime. Sia quelle con un minor tasso di sviluppo, che quelle più ricche. In un articolo pubblicato su Nature nel 2019, gli scienziati del Centro Ricerche Ambientali di Lancaster (UK) hanno quantificato il danno per l’economia mondiale causato dallo scioglimento dei ghiacciai intorno ai 70 mila miliardi di $. Per confronto, il prodotto nazionale lordo degli Stati Uniti nel 2019 è stato 21 mila miliardi di $, quello dell’Unione Europea 19 e quello della Cina 14.

    L’aumento del livello delle acque, la diminuzione delle aree coltivabili e la maggiore scarsità di pesci e animali, porterebbero con sé la compromissione di infrastrutture e insediamenti e una riduzione della disponibilità di cibo e acque potabili, e dunque l’aumento dei conflitti sociali e delle azioni violente per accaparrarsi le risorse ancora disponibili e forti ondate migratorie.

    Per evitare che questi scenari si avverino, occorre mettere in atto strategie per il contenimento della produzione dei gas serra (in particolare dell’anidride carbonica) e per mitigare l’impatto delle attività umane sul nostro ecosistema. Come? Investendo nelle energie rinnovabili, in nuove tecnologie e abbattendo le emissioni. Si prospettano scenari con epiloghi molto diversi, come propone uno studio pubblicato il 22 aprile 2020 su Nature. L’emergenza sanitaria da COVID-19 in corso può segnare un nuovo inizio, all’insegna della cooperazione fra le nazioni per evitare un disastro climatico, o una nuova fine. Le alternative ci sono, basta scegliere.

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    (lo)

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