I residenti di Paradise stanno ricostruendo il paese devastato dall’incendio. Fanno bene?
di James Temple
La mattina dell’8 novembre 2018, nuvole di fumo nero si alzavano sopra la comunità di Paradise, in California e alcuni abitanti scambiarono inizialmente per grandine le braci ardenti che piovevano sul crinale.
Quando Gloria Rodgers e Jim Umenhofer osservarono il cielo oscurarsi dalla loro casa ai margini occidentali della città, capirono che era il momento di caricare in auto tutto il possibile, ma fu l’esplosione dei serbatoi di propano in giro per la città a spingerli a partire lasciando indietro il resto.
A quel punto, migliaia di persone si stavano accalcando sulle poche strade che potevano portare tutti in salvo. La coppia impiegò quasi quattro ore per raggiungere la periferia della città, dove il segnale di benvenuto del Paradiso era ridotto ad un mucchio di polvere. Ora della fine, il Camp Fire aveva distrutto il 90% della cittadina e ucciso 85 persone.
A otto mesi di distanza dal più letale incendio della storia della California, dopo aver vissuto presso amici in una cittadina poco distante, Rodgers e Umenhofer sono pronti a tornare a Paradise. Si rendono conto che il loro terreno, ancora rinfrescato da grandi pini, si è fatto più pericoloso negli ultimi quattro decenni. I cambiamenti climatici hanno reso le estati della California più calde e secche. Le foreste e le praterie tra i colli della Sierra Nevada sono ora una miccia. ” È solo il primo incendio del suo genere”, afferma Rodgers. “Non credo sarà l’ultimo, visto quanto sta succedendo al clima.”
Sono convinti di poter ricostruire in maniera più sicura. La nuova casa verrà progettata su standard più elevati persino di quelli richiesti da ordinanze statali e municipali, con materiali da costruzione in cemento resistenti al fuoco, invece che tegole di legno, e prese d’aria che si chiudono in presenza di alte temperature. “Intendiamo ricostruire”, dichiara Umenhofer. “Ma in maniera più solida.”
Secondo Jody Jones, sindaco di Paradise, l’amministrazione non avrebbe mai messo in dubbio la scelta di ricostruire, concentrandosi piuttosto su di un piano che permettesse di far risorgere Paradise a prova di altri disastri. Non sempre sarà così. I disastri climatici presentano un conto sempre più salato in costi umani, economici e ambientali. La società dovrà farsi più pragmatica sulla scelta tra ricostruire e ritirarsi. Alcuni luoghi diventeranno semplicemente troppo pericolosi per continuare a viverci e la ricostruzione troppo costosa.
Il Camp Fire ha rappresentato l’anno scorso il disastro naturale più costoso del mondo, con una perdita totale stimata a circa $16.5 miliardi, secondo la compagnia di assicurazione tedesca Munich Re. Il Dipartimento forestale e la protezione antincendio della California (Cal Fire) ha speso circa 94 milioni di dollari per combattere il fuoco. Lo stato e l’Agenzia federale di gestione delle emergenze si faranno carico della maggior parte dei costi di pulizia, che potrebbero superare i $3 miliardi.
Il rischio di incendio è sempre maggiore. Negli ultimi decenni, i cambiamenti climatici hanno raddoppiato l’area bruciata dagli incendi boschivi negli Stati Uniti occidentali. Secondo le peggiori stime sulle emissioni di anidride carbonica, i terreni bruciati tra le foreste della California settentrionale potrebbe raddoppiare nuovamente entro il 2085, mentre il rischio di “incendi molto grandi” sarà più che triplicato tra i vasti territori dell’Ovest americano. Ancora più distruttivo rischia di rivelarsi l’innalzamento dei livelli delle acque, secondo alcuni dei peggiori scenari sui cambiamenti climatici. Entro fine secolo, potremmo vedere dislocate più di 13 milioni di persone nei soli Stati Uniti, quasi 200 milioni in tutto il mondo.
La comunità scientifica sta cominciando a sudiare i pericoli incombenti. Come calcolare quando una comunità debba trasferirsi o ricostruire? A chi sta la decisione? E come si può chiedere o costringere un’intera comunità a prendere e andarsene? “Si comincia ad accettare l’inevitabilità della ritirata e della difficoltà di implementarla”, spiega Katharine Mach, ricercatrice senior della Stanford.
Secondo gli studiosi del cosiddetto “ritiro gestito”, la decisione verterà su quattro fattori. I primi tre: se abbiamo i mezzi tecnologici per affrontare i rischi crescenti, se possiamo permetterceli e se il costo della ricostruzione andrà a superare il valore degli edifici, delle strade e di altri beni che altrimenti andrebbero persi. Più difficile da risolvere sarà il quarto fattore: i conflitti sociali e le pressioni pubbliche che si affolleranno su qualsiasi decisione, si tratti di adattarsi o abbandonare il luogo. Le persone lotteranno contro l’innalzamento delle dighe che riduce il valore delle proprietà non meno dell’ingiunzione d’abbandonare la propria casa.
Già le nuove norme antincendio proposte a Paradise stanno provocando tensioni. Nonostante la recente distruzione di 19.000 edifici, c’è stato chi ha protestato. Secondo gli scontenti, le normative statali entrate in vigore nel 2008, quando Paradise era ormai già ben stabilita, sarebbero più che adeguate a garantire per il futuro una maggiore sicurezza antincendio. Tali norme richiedono cose come l’utilizzo di materiali di rivestimento resistenti al fuoco e prese d’aria che impediscono alle braci di entrare in casa. Altre norme statali stabiliscono la necessità di un buon mantenimento e di una distanza minima dalle strutture per piante, alberi e legnaie.
Le nuove normative sono state proposte dalla Urban Design Associates, una società specializzata nella ricostruzione in seguito ad eventi disastrosi che ha iniziato a collaborare con la città in febbraio. Tra le nuove norme proposte, l’obbligo ad avere uno spazio frangiframme di almeno un metro e mezzo attorno a qualsiasi struttura (a discapito di recinzioni in legno che raggiungano la casa); l’eliminazione della maggior parte delle grondaie, fatta eccezione per quelle sopra gli ingressi, e l’obbligo a dotare ogni genere di casa di irrigatori.
Secondo Woody Culleton, direttore di scena del Paradise Performing Arts Center ed ex sindaco della città, queste non dovrebbero essere norme obbligatorie, quanto piuttosto suggerimenti. Gli è stato chiesto perchè, piuttosto non cambia città: “Ho 74 anni ed un mutuo mensile di $550. Dove altro posso andare?”, ha risposto. Durante il dibattito, prima del voto, altri residenti di Paradise si sono preoccupati del fatto che i nuovi standard di sicurezza antincendio sarebbero costati troppo o avrebbero sacrificare parte del fascino della città, costringendo le persone ad abbattere alberi. Alla fine, il consiglio comunale ha respinto 11 dei nuovi standard proposti, ne ha alleggeriti cinque e approvati quattro.
Dopo una serie di stagioni devastanti, la California comincia a dare cenni di affaticamento da fuoco. Nonostante pochi esprimano apertamente il desiderio di abbandonare le città in massa, Ken Pimlott, il direttore di Cal Fire, recentemente andato in pensione, ha dichiarato all’Associated Press che le amministrazioni dovrebbero prendere seriamente in considerazione la possibilità di vietare nuovi sviluppi nelle aree ad alto rischio.
Già le società assicurative si stanno facendo più severe sulle polizze per le case in aeree a rischio. Nel frattempo, un recente sondaggio della University of California, Berkeley, ha rilevato che tre californiani su quattro sono a favore dell’imposizione di limiti alla costruzione di nuove abitazioni in aree a rischio. Ciononostante, un californiano su quattro, circa 10 milioni di persone, già vive in luoghi simili.
A Paradise non manca chi ha preferito il costo di trasferirsi altrove alla prospettiva di ricostruire ripetutamente. Di fatto, i governi spostano le comunità più spesso di quanto non ci si renda conto. Uno studio del 2017 sui cambiamenti climatici naturali, condotto da ricercatori della Stanford University, identificò 27 casi in cui il processo di ritiro gestito è stato almeno avviato negli ultimi decenni, per un possibile totale di circa 1.3 milioni di persone spostate.
Secondo i risultati della ricerca, la delocalizzazione è più semplice e veloce quando gli stessi residenti si sentono in pericolo. Aiuta se lo spostamento va a beneficio di altri. Ad esempio, i Paesi Bassi hanno spostato alcune piccole comunità dalle rive del Reno per far spazio agli sfioratori necessari durante periodi di piena del fiume, a beneficio delle città a monte.
Allo stesso tempo, le aree più isolate del territorio possono non ricevere aiuto dal governo. Villaggi dell’Alaska come Newtok, Shishmaref e Kivalina, hanno chiesto per anni assistenza al governo degli Stati Uniti nel desiderio di trasferirsi. Questi insediamenti sono alle prese con l’erosione delle coste, lo scongelamento del permafrost, feroci tempeste e inondazioni associate all’innalzamento delle temperature e dei livelli del mare attorno al Circolo Polare Artico. Il costo di creare nuove comunità con tutte le infrastrutture necessarie è di centinaia di migliaia di dollari per abitante, mentre il beneficio sociale percepito è basso. Nel 2016, il Congresso respinse la proposta dell’amministrazione Obama di mettere da parte centinaia di milioni di dollari per loro.
A Paradise, seduto ad un tavolo da picnic allestito in quello che era il cortile della sua casa, Rodgers ammette d’essere tentato ad acquistare una fattoria tranquilla, con un giardino e qualche capretta, ad una buona distanza dai boschi. Eppure, quando lei e il marito sono tornati sul terreno a gennaio, hanno avvistato una famiglia di cervi e cerbiatti sul prato, gli stessi che avevano notato il giorno della fuga, “quella vista ha suggellato l’accordo”, dice Rodgers. “Abbiamo avuto la fortuna di vivere per 43 anni qui nella foresta,” prosegue. “Non sarà lo stesso, ma ci sentiamo vicini a questa terra, non può essere altrimenti per noi.”
Foto: Quanto rimane del paese di Paradise, in California, dopo l’incendio del Novembre 2018. Credito immagine: Rachel Bujalski