La recente assegnazione dei Premi Nobel – a parte alcune scoperte che non hanno ancora trovato riscontro, come quella relativa alle onde gravitazionali – sembra indicare un momento di riflessione teso a cogliere, nella esplorazione di fenomeni solo apparentemente lontani dalla esperienza quotidiana, la possibilità di importanti e auspicabili conseguenze per la vita individuale e collettiva.
di Gian Piero Jacobelli
Come sa chi si occupa di musica, la “tonalità minore” non è soltanto introspettiva e tendenzialmente deprimente; anzi, spesso è proprio nella tonalità minore che una musica rivela più di quanto lascia intendere nelle enunciazioni aperte e incalzanti della tonalità maggiore.
Questa breve premessa musicale si attaglia bene alla recente tornata dei Premi Nobel. Che – sia detto a scanso di equivoci – sono tutti, o quasi, di indiscutibile qualità, anche se, rispetto ad altre tornate memorabili, più che momenti forti della ricerca, sembrano coglierne quei passaggi, indispensabili, attraverso cui la scienza esplora strade promettenti, ma ancora non definitivamente orientate.
I nomi e le motivazioni sono ormai note, in attesa della premiazione ufficiale che avverrà a Stoccolma il 10 dicembre (anniversario della morte di Alfred Nobel, avvenuta nel 1896).
Il 3 ottobre è stato assegnato al giapponese Yoshinori Ohsumi il Nobel per la medicina con riferimento alle sue scoperte sull’autofagia, uno dei meccanismi fondamentali della vita, che permette alle cellule di “mangiare se stesse” per potersi rinnovare continuamente.
Il 4 ottobre è stato assegnato il Nobel per la fisica a David Thouless, Duncan Haldane e Michael Kosterlitz, tre studiosi britannici i quali, lavorando nel campo delle fasi topologiche della materia condensata, hanno scoperto comportamenti imprevisti dei materiali solidi, spianando la strada alla progettazione di nuovi materiali.
Il 5 ottobre è stato assegnato il Nobel per la chimica a Jean-Pierre Sauvage (dell’Università di Strasburgo, Francia), J. Fraser Stoddart (della Northwestern University di Evanston, Stati Uniti) e Bernard L. Feringa (dell’Università di Groningen, Paesi Bassi), i quali hanno variamente progettato e prodotto le “macchine molecolari” (o nano-macchine), ovvero molecole in grado di effettuare dei compiti quando adeguatamente stimolate.
Il 7 ottobre è stato assegnato il Nobel per la pace al presidente colombiano Juan Manuel Santos «per i suoi sforzi risoluti di mettere fine alla guerra civile che ha colpito il suo paese per più di cinquant’anni». Sforzi che sono culminati nel recente accordo di pace, per altro respinto da un referendum popolare.
Il 10 ottobre è stato assegnato il Nobel per l’economia al britannico Oliver Hart (Università di Harvard) e al finlandese Bengt Holmström (MIT) per il loro contributo alla “teoria dei contratti”. Secondo il comunicato dell’Accademia del Nobel, «le economie moderne sono tenute insieme da innumerevoli contratti. I nuovi strumenti teorici creati da Hart e Holmström sono preziosi per la comprensione delle potenziali insidie implicite nella progettazione di un contratto».
Infine, il 13 ottobre è stato assegnato il Nobel per la letteratura a Bob Dylan, nato Robert Allen Zimmerman, «per avere creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana».
Per altro, il Nobel conferito a Dylan – che secondo alcuni sopperirebbe alla scarsa suggestione degli altri premi, per quanto prestigiosi – a questi altri premi sembrerebbe accomunato proprio da quella “tonalità minore” implicita nella scelta di un sia pure illustre esponente della “cultura popolare” che, a differenza di quella folklorica, in larga misura dipende, parole e musica, dalla cosiddetta “cultura alta”.
Non perché, come voleva il filosofo e musicologo Theodor W: Adorno, si risolva sempre in una “mezza cultura”, ma perché scaturisce dal passaggio, inevitabilmente compromettente, da una produzione elitaria a una produzione di massa.
In ragione di questa chiave di lettura si può, forse, comprendere meglio perché gli altri Premi Nobel siano andati a scoperte non ancora del tutto esplicitate, ma in grado di aprire le porte a implementazioni tecnologiche che promettono di migliorare, sia sul piano sanitario, sia su quello logistico, la qualità della vita.
Non a caso, il Nobel per la pace ha premiato, come spesso è avvenuto, una pace che non c’è ancora, riconoscendo e incoraggiando la tenacia e il coraggio di chi la ha lungamente perseguita.
E non ha caso, il Nobel per l’economia è stato etichettato come “politico”, perché, denunciando le diseguagliante sociali ed economiche e le “asimmetrie informative” che premiano i forti e penalizzano i deboli, tende a spostare l’attenzione dal breve al lungo termine, riportando lo stesso lungo termine in una dimensione non soltanto teorica, ma anche praticamente orientata.
Ecco dunque perché, ponendo l’accento sulla “tonalità minore” di questo Premio Nobel, si vuole sottolinearne il complessivo carattere di sospensione e di attesa, che comunque spesso prelude a una riapertura di discorso in “tonalità maggiore”, più aperta a un concreto ed espansivo impegno d’innovazione.