Se bombardate da ultrasuoni, queste particelle producono segnali elettrici e potrebbero rappresentare un nuovo metodo di trattamento contro il cancro.
di MIT Technology Review Italia
Una scossa di corrente alternata di bassa intensità interferisce con il flusso degli ioni di calcio e potassio che entra ed esce dalle cellule, uccidendole. L’approccio potrebbe essere applicato alla cura del cancro se non fosse per il fatto che non sappiamo come indirizzare le queste scosse elettriche selettivamente contro le cellule cancerogene evitando di danneggiare le cellule sane.
Il problema è stato affrontato da Attilio Marino dell’Istituto Italiano di Tecnologia, Enrico Almici del Politecnico di Torino e da altri colleghi italiani. I ricercatori hanno concentrato i propri studi su nanoparticelle piezoelettriche capaci di generare una corrente al proprio interno quando ripetutamente compresse da ultrasuoni. Ecco come sono giunti alla conclusione che potrebbero essere trasformate in una cura efficace contro il cancro.
La teoria non fa una piega. I materiali piezoelettrici generano corrente quando sottoposti a pressione (oltre a cambiare forma quando colpiti con una scossa). Sono utilizzati in dispositivi vari, dai microfoni ai motori. L’idea di Marino e colleghi è stata iniettare nel corpo nanoparticelle biocompatibili e bombardarle con ultrasuoni. Le variazioni di pressione provocate dagli ultrasuoni dovrebbero provocare nelle nanoparticelle la produzione di una corrente capace di interferire con i movimenti degli ioni ed uccidere le cellule. La squadra ha scelto di lavorare con nanoparticelle di titanato di bario, considerate biocompatibili in quanto non contenenti piombo.
In particolare, la squadra ha sviluppato un importante meccanismo per selezionare l’obbiettivo. Le nanoparticelle devono vengono progettate perchè si aggancino alle cellule cancerogene ignorando le cellule sane. I ricercatori hanno ottenuto questo risultato rivestendo le nanoparticelle con un polimero in plastica che viene ricoperto di anticorpi capaci di legare con i recettori associati a determinate cellule cancerogene.
La squadra ha preso ad esempio un tipo di cancro al cervello particolarmente aggressivo, chiamato glioblastoma multiforme. La membrana di queste cellule, diversamente da altre, esprime recettori della transferrina. I ricercatori hanno quindi ricoperto le proprie nanoparticelle in anticorpi della transferrina che, quindi, con la transferrina legano, trasformandole in missili guidati contro le cellule cancerogene. Per passare la barriera emato-encefalica, le nanoparticelle devono essere molto piccole, motivo per cui i ricercatori ne hanno selezionate della misura di 300 nanometri di diametro.
La squadra ha testato l’approccio in vitro, coltivando in laboratorio tumori cerebrali ricoperti da una barriera endoteliale per simulare la barriera emato-encefalica. Hanno quindi bombardato i campioni con ultrasuoni e somministrato un farmaco chemioterapico standard chiamato temozolomide.
Secondo i risultati riportati dalla squadra, le nanoparticelle sono state in grado di raggiungere le cellule cancerogene in relativo agio, per poi produrre un incremento d’efficacia del temozolomide. Coordinare un approccio chimico ed uno elettrofisico per trattare il cancro sembrerebbe portare ad un incremento nell’efficacia dei trattamenti.
Il modello utilizzato da Marino e colleghi, però, è molto semplificato rispetto alle reali condizioni di un corpo. La squadra si prefigge di passare a modelli più complessi ed eventualmente testare l’approccio in vivo, nonché sperimentare forme e dimensioni di nanoparticelle differenti per ottenere un miglior controllo dell’effetto piezoelettrico. La pratica potrebbe divenire particolarmente importante nel trattamento di quei microscopici residui di tumore che sono spesso all’origine di ricadute dopo l’intervento chirurgico. Si tratta di un promettente esempio di nanomedicina.
Per approfondire: Piezoelectric Barium Titanate Nanostimulators for the Treatment of Glioblastoma Multiforme.
(lo)