La capacità di memorizzazione continuerà a crescere più o meno con i ritmi attuali nei prossimi 15 anni.
Questo porterà verso la fine di questa decade a disporre nelle nostre case di capacità di memorizzazione dell’ordine dei TB (migliaia di GB, ossia migliaia di ore di filmati, milioni di libri e immagini eccetera). Alcuni progetti, come MyLifeBits di Microsoft e LifeLog di DARPA, contano di sviluppare dei sistemi di raccolta e archiviazione di tutta la nostra vita, le cose che vediamo, sentiamo, diciamo, scriviamo. Opportunamente compresse, le informazioni di una vita potrebbero stare in circa 5TB. A livello business si ritiene che nella prossima decade saranno molte le aziende che utilizzeranno ExaByte di informazioni (cioè miliardi di miliardi di byte). I supporti di memorizzazione utilizzeranno:
– il silicio, come per esempio le compact flash cards delle macchine fotografiche digitali che oggi hanno raggiunto la capacità di 6 GB e che per fine decade dovrebbero arrivare sui 200 GB;
– i polimeri, che a bassissimo costo su di una superficie equivalente a una carta di credito potranno memorizzare duemila film. Il basso costo consente di «regalare» una simile memoria permettendo poi di guardarsi degli spezzoni e, se interessati, ordinare in rete la chiave per decrittare il film completo;
– le nanotecnologie, con capacità di mille volte superiori alle attuali entro la prossima decade;
– sistemi olografici, la cui capacità di memoria sarà nell’ordine dei TB. Più che la grande capacità sarà interessante la rapidità che questi sistemi offrono per la ricerca di informazioni, ricerca che viene effettuata direttamente dalle testine di lettura dei dati, senza che sia necessario trasferirli prima a un computer per la cernita.
Un elemento di forte impatto per il futuro è nell’evoluzione delle architetture di memorizzazione. Infatti, al crescere della capacità dei substrati (e anche della capacità di produrre informazioni) cresce la possibilità di allocazione delle informazioni.
Viene a cadere, per esempio, il paradigma che le informazioni stanno «al centro» (in un content provider) e debbono essere disponibili quando è necessario. Molte informazioni staranno nelle nostre case, ma anche nell’auto (che conterrà non solo i dati sulla topografia utilizzati dal navigatore, ma anche film per intrattenere i figli, documenti di lavoro utilizzabili durante gli spostamenti casa-ufficio eccetera), nella macchina fotografica digitale che in qualche modo avremo tutti addosso (già oggi il 30 per cento dei telefonini in Giappone è dotato di macchina fotografica). La presenza di queste informazioni «in locale» cambia il paradigma secondo cui occorre avere una infrastruttura per accedere alle informazioni. Diventa importante avere una infrastruttura per sincronizzare le informazioni e anche per «ricaricarle». Per esempio l’auto dovrà ricevere le informazioni sul traffico, sui lavori in corso, sull’inquinamento in una certa zona e quindi sui costi che la municipalità potrebbe decidere di far pagare a chi si ostina a guidare in quel posto. Dovrà anche essere in grado di dialogare con il personal organiser su cui è memorizzata la lista della spesa e con il lap top che contiene informazioni relative a un lavoro che dovremo fare domani e che può richiedere l’acquisto di un certo prodotto. Dialogando con i vari negozi di fronte a cui si transita sarà in grado di farci presente che è possibile acquistare ciò che ci serve in un certo punto vicino a dove ci troviamo e indicare pure la disponibilità di parcheggio (con relativa prenotazione del posto).
Il rallentamento per il passaggio a un casello autostradale o la sosta all’autogrill per uno snack o un pieno di benzina sono sufficienti per ricaricare di informazioni la nostra auto, magari su filmati relativi al posto in cui ci si troverà a passare dopo pochi chilometri.