Si discute una possibile cooperazione fra Eni e Iran.
di Luca Longo
Per secoli l’intero Medio Oriente è stato teatro dello scontro fra l’Impero Persiano e quello Ottomano. Quest’ultimo si dissolse dopo la prima guerra mondiale ed i successivi accordi anglofrancesi per la spartizione della regione. Sulle sue ceneri nacquero un mosaico di staterelli arabi guidati da monarchie tribali in perenne guerra coi propri vicini e soprattutto al loro interno. Infatti, le dinastie regnanti, necessariamente poligamiche prevedono un meccanismo di successione dinastica basato non sulla discendenza diretta ma fra fratelli per ordine di anzianità. Eredi al trono che spesso non hanno aspettato il loro turno causando continue lotte fratricide e guerre civili alternate a frammentate ed effimere alleanze.
La Persia invece, nata col regno di Elam nel 2800 a.C., sopravvisse alla Grande Guerra come nazione imperiale, seppure sotto un dominio coloniale. Questo le permise di diventare la prima potenza energetica del medio oriente. Il primo pozzo petrolifero dell’intera regione fu il Masjid-i-Solaiman, scoperto nel 1908 sul Monte Zagros. Qui il pioniere della ricerca petrolchimica William Knox D’Arcy , dal cui lavoro nacque poi l’Anglo Persian Company, ottenne la prima concessione dallo scià Mazaffaraddin Qajar. La Persia nel solo XX secolo è sopravvissuta a una rivoluzione costituzionale, alla rivoluzione religiosa di Kkomeini, alle guerre con l’Iraq ed a tutti gli sconvolgimenti politici che hanno sostanzialmente ridisegnato confini ed alleanze nell’intero Medio Oriente.
Quasi dieci anni di sanzioni internazionali prodotte dal rifiuto iraniano di sospendere il proprio programma nucleare – iniziate con le risoluzioni ONU 1696 e 1737 del 2006 – hanno messo in ginocchio l’economia del Paese che all’inizio del XXI secolo aveva appena avviato la sua industrializzazione.
Ma le cose stanno cambiando. In queste ore paiono essere arrivate a una svolta le trattative fra l’Iran e i cinque membri permanenti del consiglio di sicurezza ONU, la Germania ed i rappresentanti della UE. C’è tempo fino al 9 luglio per trovare un accordo che permetta all’Iran di riprendere il suo ruolo di principale esportatore di petrolio dell’area e di riavviare l’abortito processo di industrializzazione e modernizzazione del Paese in cambio di un effettivo smantellamento del suo programma nucleare militare.
La Cina si è già dichiarata disposta a modificare l’impianto nucleare di Arak, la Francia contribuirebbe a gestire il trattamento delle scorie nucleari mentre il Regno Unito ha offerto aiuto sul fronte della sanità e della sicurezza degli impianti.
In cambio, la guida suprema Ayatollah Seyyed Ali Khamenei ed il presidente Hassan Rouhani – che guidano la repubblica islamica dell’Iran – dovrebbero accettare di ridurre da 19.000 a 6.104 le centrifughe per l’arricchimento dell’Uranio, a limitarne le scorte da 10 tonnellate a 300 kg e di rispettare il limite di arricchimento alla soglia massima del 3.67% in 235U. Parametri che garantiscono l’uso civile del combustibile nucleare ma impediscono la produzione clandestina di testate atomiche che richiedono un arricchimento dell’ 235U spinto almeno all’85%. Inoltre, l’Iran dovrebbe finalmente garantire agli ispettori dell’AIEA l’accesso non solo ai siti dichiarati come nucleari, ma anche a quelli ritenuti potenzialmente “sospetti”.
In vista di questo accordo, il CEO di Eni Claudio Descalzi si è recato in maggio a Teheran per discutere con il ministro del petrolio Bijang Zanganeh una possibile cooperazione fra Eni e Iran successiva all’eliminazione dell’embargo. Se si giungerà ad un accordo in grado di permettere l’abbandono delle sanzioni commerciali, Eni potrebbe offrire le proprie risorse e competenze. L’obiettivo e’ permettere al Paese di riavviare il processo di industrializzazione del suo settore petrolifero e riportare sul mercato internazionale oltre un milione di barili di petrolio al giorno ridisegnando non solo la mappa degli approvvigionamenti energetici, ma i rapporti economici dell’intero Medio Oriente.
(MO)