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    L’energia pulita di una stella

    Una fonte di energia sicura, sostenibile e inesauribile: una svolta nel percorso di decarbonizzazione.

    di Luca Longo

    La fusione di due nuclei d’idrogeno libera un’enorme quantità di energia ed è la reazione fisica, totalmente naturale, che alimenta il Sole e le altre stelle. Il suo grande vantaggio è che non emette gas a effetto serra né sostanze fortemente inquinanti o altamente radioattive, rendendola una fonte energetica estremamente interessante. Lo svantaggio è che è molto difficile da replicare artificialmente sulla Terra perché richiede l’utilizzo di plasma a temperature elevatissime.

    Per arrivare a riprodurla e renderla utilizzabile si sta studiando la tecnologia del confinamento magnetico che, come dice il nome, impiega campi magnetici potentissimi per gestire il plasma in cui avviene la fusione. L’idrogeno nel plasma viene utilizzato sotto forma di due suoi isotopi e cioè il deuterio e il trizio, i cui nuclei, oltre a un protone, possiedono rispettivamente uno e due neutroni. Il sole invece usa il prozio, l’isotopo di idrogeno di gran lunga più abbondante nell’Universo (99,98%), totalmente privo di neutroni.

    Qualunque sia la forma di partenza, fondendo tra loro due nuclei di idrogeno si ottiene energia, neutroni ed elio, un gas nobile totalmente innocuo. In altre parole, si produce energia a impatto zero: ecco perché stiamo puntando sulla fusione a confinamento magnetico e perché collaboriamo con importanti enti di ricerca pubblici e privati per svilupparla, considerandola una svolta nel percorso di decarbonizzazione.  

    La fusione a confinamento magnetico rappresenterà una fonte energetica potenzialmente illimitata e a basso impatto ambientale. E’ una tecnologia completamente differente dalla fissione che si verifica negli impianti atomici attualmente in funzione in Francia, Germania, Stati Uniti, Russia, Cina e in diversi altri Paesi esteri.

    Nella fissione, isotopi di elementi molto pesanti come l’Uranio vengono colpiti da neutroni e si frammentano dando origine a elementi più leggeri liberando alcuni neutroni e una grande quantità di energia. Nella fusione, invece, isotopi di Idrogeno – l’elemento più leggero della Tavola di Mendeleev  –  vengono fusi fra di loro per produrre Elio, un neutrone e una quantità di energia enormemente più grande.

    La fusione a confinamento magnetico promette una vera e propria rivoluzione in campo energetico perché, una volta sviluppata a livello industriale, permetterebbe di avere a disposizione una fonte di energia pulita, sicura e praticamente inesauribile. Studiare, progettare e realizzare macchine in grado di gestire reazioni fisiche simili a quelle che avvengono nel cuore delle stelle è il traguardo tecnologico a cui tendono le più grandi eccellenze mondiali nella ricerca in ambito energetico.

    Consapevoli dell’importanza strategica di far parte di questa sfida, dal 2018 stiamo lavorando con il Commonwealth Fusion Systems (CFS), spin-out del Massachusetts Institute of Technology (MIT), per realizzare un prototipo di reattore che dovrebbe essere disponibile nel 2025: si chiamerà SPARC e sarà in grado di gestire e confinare il plasma, ovvero la miscela di deuterio e trizio portata a temperature altissime da fasci di onde elettromagnetiche per creare le condizioni di fusione controllata.

    Il patrimonio di conoscenze acquisite dalla sperimentazione ci consentirà quindi di progettare e realizzare ARC, il primo reattore capace di immettere energia da fusione nella rete elettrica.

    In settembre 2021, CFS ha concluso con successo il primo test per dimostrare l’efficacia di supermagneti innovativi per il confinamento del plasma di isotopi di idrogeno a temperature di oltre 100 milioni di gradi. La tecnologia dei superconduttori è, infatti, essenziale per ottenere campi magnetici di intensità sufficiente per mantenere il plasma all’interno del reattore. Si tratta di un magnete costituito da superconduttori ad alta temperatura ReBCO (ossidi di Terre Rare, Bario e Rame) del peso di circa 10 tonnellate che, portato a -253 °C (20 gradi al di sopra dello zero assoluto) e percorso da corrente elettrica con intensità di 40.000 Ampere, ha prodotto un campo con densità di flusso magnetico pari a 20 Tesla.

    E’ stato così raggiunto un traguardo fondamentale nel percorso per la realizzazione di un reattore a fusione sperimentale molto più compatto, semplice ed efficiente in confronto a quelli che impiegano superconduttori a bassa temperatura più tradizionali.

    Immagine di: Commonwealth Fusion Systems

    (lo)

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