Bitcoin è un crescente problema ambientale che le rinnovabili non possono risolvere, conclude una ricerca dell’economista Alex de Vries.
di Mike Orcutt
Nel paper pubblicato su Joule, de Vries, divenuto famoso per le sue allarmanti considerazioni sul consumo energetico e l’impronta di carbonio di Bitcoin, aggiorna la sua cupa previsione. La rete, che si affida a un oneroso processo di “estrazione” per validare il registro delle transazioni, utilizza tanta energia quanto la totalità dell’Ungheria.
Vries stima che una singola transazione consumi fra i 491 e i 766 kWh, contro gli 0.4 kWh consumati da una transazione non monetaria attraverso i canali della tradizionale industria bancaria. Oltretutto, una transazione in Bitcoin emetterebbe fra i 233 e i 364 kg di anidride carbonica, contro gli 0,4 grammi per una transazione Visa e gli 0,8 grammi per una ricerca su Google.
C’è chi mette in discussione le stime di de Vries ed altri economisti sul pericolo ambientale rappresentato da Bitcoin, citando prove del posizionamento di molte delle strutture per il processo estrattivo in regioni del mondo che offrono energia rinnovabile a un prezzo economico. Si stima, ad esempio, che il 48% delle capacità estrattive nel mondo risiedano nella provincia di Sichuan, in Cina, che dispone di un esubero di energia idroelettrica. Eppure de Vries scrive che la capacità produttiva della provincia sia fino a tre volte superiore nella stagione delle piogge che nei periodi più asciutti. Per quanto i minatori possano sfruttare questo esubero di energia, le loro operazioni vanno a incrementare la domanda annua sulla rete elettrica; domanda che, nelle stagioni più asciutte, viene spesso risolta bruciando carbone.
L’impiego di fonti rinnovabili non risolverò nemmeno il problema di Bitcoin con i rifiuti elettronici. Secondo de Vries, l’ammasso di chip obsoleti supererebbe enormemente la quantità di rifiuti elettronici generati dal settore bancario. La rete potrebbe diventare più sostenibile passando a processi più efficienti, quali il proof of stake, o sviluppando metodi per eseguire più transazioni senza ricorrere alla blockchain principale.
Il metodo utilizzato da de Vries per calcolare l’impronta energetica di Bitcoin è stata criticata, in particolar modo da Jonathan Koomey, un ricercatore ed autore di diversi paper sul consumo energetico dei data centers. Lo stesso Koomey, però, ammette che è difficile scoprire con esattezza quante stazioni di estrazione operino nel mondo, da dove e con quale sistema di raffreddamento. La scarsità di dati a riguardo ci coglie impreparati riguardo la portata di questo problema potenzialmente enorme.
(MO)