Mentre ci avviciniamo a un vaccino e riponiamo le nostre speranze sull’immunità del gregge per consentirci di riaprire in sicurezza le comunità, le incertezze stanno diventando sempre più pressanti.
di Neel V. Patel
Quando la maggior parte delle persone (cioè il pubblico in generale) parla di immunità, ciò che intende è il livello di protezione da una malattia. Ma per molte malattie infettive, “immune” e “non immune” sono un gradiente più che uno stato negativo o positivo. Il virologo della Tulane University, Robert Garry, sottolinea che il vaccino antinfluenzale, per esempio, non fornisce una protezione assoluta contro l’influenza, ma è progettato per prevenire un’infezione significativa e impedire che le situazioni precipitino.
Quando si parla di immunità al covid-19, ci riferiamo principalmente alla produzione di anticorpi da parte del sistema immunitario del nostro corpo. Ma questo discorso è a sua volta fuorviante. Uno studio in via di pubblicazione ufficiale, che ha misurato i livelli di anticorpi nei pazienti a Londra, ha rilevato che tra il 2 e l’8,5 per cento non ha sviluppato anticorpi rilevabili.
Chi all’interno del gruppo è sopravvissuto all’infezione (in genere le persone più giovani) ha dovuto probabilmente combattere l’infezione attraverso le “armi” del sistema immunitario mediate dalle cellule, globuli bianchi e citochine che uccidono direttamente i patogeni, e non attraverso anticorpi che neutralizzano il virus.
Ancora più complessa è la questione relativa alla durata dell’immunità dopo l’infezione da covid-19. Ci sono state segnalazioni sporadiche di alcune persone nel mondo che hanno avuto due volte il virus, e a oggi non è chiaro il perché. È ben documentato che altre infezioni da coronavirus conferiscono solo un’immunità temporanea, che a volte persiste non più di qualche mese. Il covid-19 potrebbe seguire lo stesso schema, ma è troppo presto per dirlo.
Come sottolinea Sarah Fortune della Harvard T.H. Chan School of Public Health, è già noto che l’immunità da una malattia infettiva è legata alla forza e alla durata della risposta immunitaria durante l’infezione. Un’infezione che causa sintomi gravi può portare a una risposta immunitaria più forte, che contribuirebbe anche a favorire l’immunità di più lunga durata.
D’altro canto, è probabile che un caso lieve o asintomatico produca livelli di anticorpi più bassi, come è stato riscontrato in pazienti con covid-19 in un nuovo studio pubblicato su “Nature Medicine”, in cui i ricercatori hanno studiato alcuni pazienti asintomatici e hanno scoperto che sembravano sviluppare livelli anticorpali più bassi.
Questi dati potrebbero suggerire che queste persone non sono immuni dal covid, ma Fortune sottolinea che non è ancora possibile trarre conclusioni di questo tipo: potrebbe essere anche che quei livelli più bassi di anticorpi proteggano da un eventuale contagio, come suggerisce un altro studio di “Nature”.
Non è ancora del tutto chiaro su cosa differiscano in termini di immunità i casi sintomatici e quelli asintomatici, poiché questi ultimi non vengono attivamente testati e identificati. In realtà, neanche esiste una definizione universale per ciò che si qualifica come asintomatico. È la totale assenza di sintomi? E quelli moderati?
Altre ricerche hanno dimostrato che “coloro che hanno un’infiammazione innescano una risposta immunitaria rilevabile e potenzialmente più robusta”, aggiunge Charles Cairns, decano del Drexel University College of Medicine. Tutte queste prove crescenti potrebbero sottolineare l’importanza di una risposta immunitaria mediata dalle cellule per combattere il coronavirus.
Quali siano le conseguenze dei diversi studi sul vaccino è altrettanto incerto. Come accennato, non si è ancora sicuri del tipo di immunità al covid-19 che si otterrà da una vaccinazione, se totale o solo una parziale protezione dai peggiori sintomi. Fortune sostiene che per il covid la protezione dovrebbe essere totale, ma non ne è sicura e non è qualcosa che si possa semplicemente valutare dai livelli di anticorpi.
Non avremo certezze fino alla sperimentazione di fase III (che misurerà direttamente l’efficacia del vaccino) quando ci sarà una migliore percezione di quale sia la relazione tra i livelli di anticorpi e l’immunità e quale tipo di risposta immunitaria un vaccino deve suscitare per fornire vera protezione.
Se risulta che la pre-esposizione al covid-19 non garantisce un’immunità permanente, la vaccinazione sarà obbligatoria e gli studi clinici per studiare la sicurezza e l’efficacia del vaccino dovranno necessariamente includere persone appartenenti a questa popolazione precedentemente contagiata.
(rp)