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    Le cose che contano

    Di cosa parliamo quando parliamo di tecnica o di tecnologia? Di molte cose diverse, anche senza ribadire in questa sede la diversità non solo nominalistica tra la tecnica e la tecnologia. Di queste cose diverse va, a nostro avviso, preservata la consapevolezza, che conforta l’indispensabile senso di responsabilità.

    di Gian Piero Jacobelli

    Ci si può rendere conto di questa complessa diversità scorrendo le pagine che seguono e che, non a caso, registrano un panorama tecnologico sempre più articolato non solo in settori, ma anche in livelli, con riferimento ai sistemi che ogni processo innovativo coinvolge e talvolta sconvolge: dai piccoli sistemi in cui si articola il nostro corpo e la vita stessa, ai grandi sistemi che costituiscono le ossa e i nervi della convivenza, come quelli della energia e dei trasporti; dai sistemi culturali della comunicazione e dello scambio, ai sistemi naturali degli equilibri ecologici.

    Tanto rilevante appare la diversificazione delle tecnologie sia negli argomenti trattati sia nelle connesse aree di interesse – al punto da averci indotto qualche tempo fa a suddividere la rivista in settori di competenza, «tecno», «info» e «bio» – quanto altrettanto rilevante appare la proiezione delle emergenze tecnologiche sulle problematiche sistemiche. In altre parole, sempre più spesso ci si rende conto come il problema della innovazione non risieda in questa o in quella innovazione, ma nell’impatto sistemico che tale innovazione comporta; come, nella formula ormai classica di Ricerca&Sviluppo, i due termini non vadano considerati separatamente e neppure in sequenza, ma in un tutto unico, che include l’idea, il progetto, il programma, le applicazioni, le conseguenti opportunità di mercato e, infine, la valutazione dei suoi prevedibili effetti sociali e culturali, spesso in grado di ostacolarne o di agevolarne la implementazione.

    Un sistema costituisce una innovazione grazie a quanto veniva prima e a quanto presumibilmente verrà dopo e, quindi, ogni sistema, per riprendere una opposizione più retoricamente che concettualmente giustificabile, tendenzialmente parte locale e arriva globale. Particolarmente significativa, da questo punto di vista, risulta l’ampia e rappresentativa discussione sul premio Nobel per la Pace, in relazione alla proposte di attribuirlo a Internet e, in particolare, a Nicholas Negroponte: dalle molteplici considerazioni, molte favorevoli, alcune se non contrarie, quanto meno perplesse, emerge comunque chiaramente come, parlando di pace e quindi di convivenza, qualsiasi segmentazione della realtà risulti insoddisfacente. 

    In effetti, la politica, spesso gratificata dal Premio Nobel per la Pace, finisce per risolversi in un sentiero lastricato di buone intenzioni, dal momento che proprio dalla politica scaturiscono tensioni e conflitti. La tecnologia, proprio nella accezione ideologica con cui si contrappone alla tecnica, trova nella presunta impersonalità il proprio limite più rischioso, quello che talvolta ha fatto purtroppo chiudere gli occhi di fronte alle possibili conseguenze, in nome di una irresponsabile efficienza. La stessa creatività artistica e letteraria, che senza dubbio potrebbe aprire suggestivi orizzonti valoriali, finisce nella deriva spettacolare dei mass media per farsi sentire, ma non per cambiare il modo di sentire. 

    In questo senso, è proprio in una dimensione di sistema, non politica, non tecnologica e neppure di creatività, che la proposta del Nobel a Internet trova la sua forza innovativa. Perché impone di guardare al mondo e non al modo: di uscire dal vincolo del «come» fare, recuperando la domanda filosoficamente più incisiva del «cosa» fare. Per troppo tempo è sembrato che il cosa fosse cheap e il come fosse chic, che il metodo (il percorso della ricerca) dovesse prevalere sulla meta. Forse è giunto il momento di ripensare alle cose che contano, tante e diverse una dall’altra, ma – come nella vecchia arguzia del vaso sempre pieno di sassi, di ghiaia, di sabbia, ma sempre vuoto dal momento che, dopo i sassi, c’e ancora posto per la ghiaia e, dopo la ghiaia, per la sabbia – tutte importanti se non necessarie per sentirsi in armonia con se stessi e con gli altri: come dire che, nella prospettiva del sistema, contano i fini e non i mezzi.

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