Come tutti gli anni, all’inizio dell’estate MIT Technology Review USA pubblica le schede dei giovani ricercatori più innovativi in genere, ma in particolare più indicativi delle tendenze che emergono nel mondo della scienza e della tecnologia: tendenze in cui quest’anno prevale una logica “comunitaria”.
di Gian Piero Jacobelli
Nelle selezioni dei Giovani Innovatori, presentate da MIT Technology Review negli anni precedenti la pandemia, a colpire era soprattutto lo spirito agonistico che animava i fronti avanzati della ricerca: sempre più veloci, sempre più incisivi, sempre più affidabili.
Quest’anno invece, nelle schede dedicate ai 35 Innovators under 35, che stiamo pubblicando progressivamente anche sulla nostra Home Page, si respira un’aria diversa. Senza trascurare i fattori competitivi come il prestigio personale e le logiche del mercato, a farsi sentire maggiormente è un orientamento di più largo respiro e certamente più consono anche alla esperienza quotidiana di chi ricercatore non è.
Questo orientamento – che balza agli occhi anche dalla copertina del fascicolo (n. 4, luglio-agosto 2021), concepita con uno stile creativo in cui, rispetto ad analoghe occasioni ispirate al fascino delle macchine o dei sistemi, sembra di cogliere un più diretto riferimento alle funzioni e alle ragioni della convivenza – viene definito nell’editoriale di Michael Reilly, esecutive editor della rivista americana, come sense of community. Quel “senso di comunità” che nella cultura angloamericana esprime la diffusa istanza di partecipazione in una prospettiva più negoziale che conflittuale.
Noi, in un contesto di più tradizionale contrapposizione, potremmo definire questo orientamento come essenzialmente “politico”. Con riferimento anche etimologico alle polemiche che proprio in questi giorni stanno animando e talvolta lacerando il dibattito sul bene comune, a proposito della opportunità di rendere vincolante, se non la vaccinazione, quanto meno quel green pass che resta la “primula rossa” della pandemia.
Reilly ha bene inquadrato questo fenomeno di “doppio vincolo”, che aggiunge i disagi delle decisioni a quelli delle indecisioni: «Ci sentiamo impotenti proprio mentre ci concentriamo sul mantenere noi stessi e i nostri cari al sicuro. Siamo costretti quasi costantemente a confrontarci con le tensioni e le incertezze in cui la vita ci ha gettato. Eppure, anche in questo ambiente senza precedenti, emergono storie incredibili di speranza e di responsabilizzazione». Storie in cui proprio il confronto con gli altri – la “politica”, appunto – sembra sistematicamente anteporre agli interrogativi “di fatto”, sul “cosa” e sul “come”, quelli “di diritto”, sul “perché”.
A parte queste considerazioni di carattere molto programmatico, non ci soffermeremo partitamente sui profili dei giovani innovatori e sui loro progetti di ricerca, suddivisi in cinque sezioni, riferite rispettivamente alle possibilità offerte dalle tecnologie della luce, ai contesti sanitari, a computeristica, energia, robotica, alla sensoristica e alla crisi climatica, infine alla diagnostica e alle comunicazioni satellitari.
L’ordine dei fattori potrebbe venire cambiato senza che cambi il prodotto. Inoltre, non poche sono le aree di sovrapposizione, ma ciò deriva proprio dall’adozione di criteri selettivi non contenutistici, ma attenti piuttosto alle finalità dei diversi impegni progettuali: se orientati agli individui ovvero alle collettività; se specializzati ovvero utili a diverse aree di ricerca; se conoscitivi ovvero operativi.
Per altro, il tema che attraversa e caratterizza la massima parte dei profili dei ricercatori e delle ricerche resta senza dubbio quello della Intelligenza Artificiale, croce e delizia delle riflessioni attuali sull’etica del dire e del fare nei fronti più avanzati della ricerca.
Almeno un terzo delle schede relative ai “35 innovatori che hanno meno di 35 anni” si sofferma esplicitamente sulle possibilità offerte dalla Intelligenza Artificiale nelle sue diverse declinazioni software e hardware. Ma praticamente in tutte le altre schede la Intelligenza Artificiale costituisce il paradigma di riferimento in ordine alle crescenti possibilità conoscitive e operative che appare in grado di offrire.
Certo, questa pervasività di un paradigma che, sotto molti profili, non soltanto quelli etici, manifesta una sostanziale ambiguità tra la dimensione funzionale e la dimensione strumentale, sta suscitando non pochi interrogativi. Interrogativi concernenti prioritariamente l’accostamento improprio tra la “intelligenza”, la caratteristica più qualificante dell’essere umano, e l’“artificio”, che viene logicamente dopo, anche se sempre più spesso, a nostro avviso in maniera incongruente, lo si vorrebbe porre al primo posto, come la più significativa e proficua porta di accesso ai segreti dell’essere umano.
Il dibattito resta aperto: un dibattito che trova quotidiano alimento anche nelle pagine della nostra rivista, da una parte all’altra dell’Oceano Atlantico.
(gv)