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    La comunicazione universitaria

    1. La comunicazione universitaria: scenari e linee di trend

    Non c’è più neanche bisogno di sottolineare che, sul terreno della comunicazione e della “rappresentazione” simbolica, si gioca oggi una partita senza precedenti per l’Università italiana. Una sfida determinante dal punto di vista sia del sistema e della sua immagine pubblica, sia sul piano della capacità di innovazione di cui sono oggi protagonisti i singoli atenei sul territorio.

    Da una parte, il settore della comunicazione universitaria vive ormai, anche in Italia, una fase di maturità. Assistiamo infatti, ormai da anni, a un’inarrestabile diversificazione dell’offerta comunicativa degli atenei: una progressiva estensione dell’arco delle opportunità e dei linguaggi espressivi, in cui lo “sdoganamento” ormai pressoché universale dei media generalisti (la stampa, ma anche il sistema radio-televisivo) si accompagna alla centralità delle iniziative di orientamento e trend persino più vistosi, quali la crescente apertura ai linguaggi multimediali e il vero e proprio exploit delle nuove tecnologie, a cominciare dall’eccezionale funzionalità di cui Internet ha già dato prova rispetto alle dinamiche universitarie.

    Il consolidamento della cultura della comunicazione passa inoltre attraverso una più strategica capacità di bilanciare fra le necessarie valenze informative del messaggio universitario e le opportunità promozionali proprie del registro pubblicitario, ridimensionando così alcuni degli eccessi – nell’uno o nell’altro senso – manifestatisi nel recente passato. E’ ormai evidente, soprattutto, che nel concetto stesso di comunicazione universitaria debba essere in gioco molto più di un tradizionale “effetto maxi-affissione” in occasione dell’appuntamento estivo con le immatricolazioni: gli atenei sono infatti chiamati non solo a “mettere in scena” il valore della propria offerta e comunità formativa, ma ad allestire un messaggio che sia di reale spessore informativo per gli studenti e le famiglie. Ciò nel momento in cui, soprattutto di fronte alla moltiplicazione continua dei corsi di studio e delle sedi, la scelta dell’Università rappresenta un momento assolutamente delicato e un’importante scommessa dei giovani sul proprio futuro, rispetto a cui essi esprimono, non a caso, un fortissimo bisogno di riduzione dell’incertezza: è quanto dimostra, ad esempio, l’ormai consueto successo di pubblici giovanili che prendono parte alle sempre più numerose manifestazioni di orientamento promosse in tutto il territorio nazionale.

    Del resto, a ben guardare, la comunicazione rappresenta tutt’altro che un'”invenzione” recente nella storia degli atenei. Al contrario, pochi valori sono così profondamente connaturati alla mission universitaria come la comunicazione: una dimensione strutturale delle stesse routine della didattica, della ricerca e della promozione culturale, da sempre cioè implicitamente alla base delle funzioni specifiche di innovazione, trasmissione e promozione della conoscenza che spettano all’Università. Un ruolo, quello della comunicazione, paradossalmente troppo a lungo marginalizzato e rimasto solo “latente” nella mission degli atenei; fino alla definitiva “scoperta”, in tempi più recenti, della comunicazione e delle sue logiche culturali come dimensione di interazione tutt’altro che accessoria, bensì indispensabile a un pieno esercizio della moderna mission universitaria.

    E’ stata soprattutto la stagione del post-riforma didattica a far emergere una rinnovata affinità fra bisogni e valori di vita universitaria, da una parte, e logiche e linguaggi della comunicazione, dall’altra. Fra i trend più significativi in tal senso, l’accresciuta competizione nell’offerta di alta formazione a seguito dell’innovazione didattica post-riforma e della moltiplicazione delle sedi universitarie sul territorio; la crescente centralità dello studente e, dunque, di quella specifica forma di comunicazione che porta il nome di “orientamento”; e, più in generale, la continua pluralizzazione dei “portatori di interesse” (stakeholders) dei servizi di formazione e ricerca erogati dall’Università, sulla scia di un volano dell’autonomia che – a livello sistemico – finisce per imporre una crescente interconnessione rispetto a tutti i contesti sociali di riferimento.

    Non a caso, il periodo successivo alla riforma didattica è anche quello segnato da una singolare concentrazione di iniziative di ricerca e di monitoraggio sul tema della comunicazione universitaria , insieme al progressivo accumularsi di una bibliografia specifica anche nel contesto italiano : un indicatore assai eloquente della crescente visibilità del fenomeno e, di fatto, il segnale di un nuovo e importante sforzo di tematizzazione da parte della comunità scientifica. E, fra le più importanti “scosse” culturali in direzione dell’innovazione espressiva dell’Università italiana, vanno storicamente enumerate soprattutto l’esperienza dei Corsi di Laurea in Scienze della Comunicazione e la stessa istituzione dell’Associazione Italiana Comunicatori d’Università nei primi anni Novanta, oggi vero e proprio “movimento” dei professionisti e operatori del settore; la “rivoluzione copernicana” innescata nella P.A. dalla Legge 150/2000 (Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni); ma anche, in tempi più recenti, l’epocale svolta nelle politiche comunicative impressa – a livello di sistema – dalle iniziative della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, a partire da episodi come le dimissioni in blocco dei Rettori, alla fine del 2002, contro i tagli previsti dalla Finanziaria.

    Ma, soprattutto, occorre richiamare l’attenzione sul nuovo stile di confronto con il paese e l’opinione pubblica inaugurato dalla Relazione annuale sullo stato delle Università italiane, vero e proprio evento mediatico promosso per la prima volta dalla CRUI il 25 settembre 2003. Se molto resta ancora da fare, azioni come questa rendono conto di una più volitiva capacità del sistema universitario di parlare senza mediazioni alla politica e al paese. Di portare all’esterno – e persino sulle “piazze” – la condivisione dei propri valori, lasciandosi definitivamente alle spalle una lunga tradizione fatta di autoreferenzialità ed èlitismo.

    2. Atenei e innovazione comunicativa

    Si è tentato fin qui di ripercorrere, seppur in estrema sintesi, i segnali più evidenti e le tappe storiche della tendenziale “messa a sistema” della comunicazione negli atenei italiani: si è compiuta così una prima fase sperimentale e di avviamento che, per grosse linee, potremmo ricondurre fino all’applicazione della già citata Legge 150/2000 e all’importante impulso dinamizzante che quest’ultima ha di fatto esercitato anche sul mondo universitario. Non a caso, la stessa CRUI ha scelto di scendere attivamente in campo con una specifica azione formativa dedicata al personale delle università, in uno spirito di sussidarietà soprattutto verso gli atenei in maggiori difficoltà di fronte all’appuntamento con la già citata Legge 150/2000 .

    Al tempo stesso, le ricerche realizzate provano che il panorama della comunicazione universitaria continua a tutt’oggi a presentare una conformazione assai frastagliata ed eterogenea: le “buone pratiche” e gli ormai numerosi casi di gestione strutturata e persino d’avanguardia della comunicazione convivono, infatti, accanto a esperienze spesso di tradizione assai più recente e decisamente meno avanzate sul piano manageriale. Quello italiano resta dunque uno scenario all’insegna di una marcata eterogeneità dell’offerta comunicativa sul territorio, nella cui mappatura è del resto già al lavoro una nuova indagine conoscitiva che vede la collaborazione fra l’AICUN e la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” , a partire dalla messa in comune delle esperienze di ricerca parallelamente realizzate in questi anni.

    Storicamente, la prima indagine effettuata in Italia sullo stato della comunicazione universitaria risale, infatti, al 1992 (poi ripetuta nel 1997) e all’iniziativa dell’AICUN. A queste iniziative ha fatto quindi seguito, nel 2002, una nuova azione di monitoraggio intrapresa dall’Associazione: l’Osservatorio AICUN sulla comunicazione universitaria, rispetto a cui l’inchiesta promossa dal Dipartimento di Sociologia e Comunicazione dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” nel 2002-2003 (preceduta dall’indagine pilota già realizzata nel 2000-2001) ha inteso collocarsi in una naturale prospettiva di continuità, individuando del resto significative convergenze in merito agli scenari e alle tendenze emergenti.

    Non sono neppure mancati, in questi anni, singolari esempi di promozione e marketing ad effetto, sebbene l’esperienza abbia già chiaramente dimostrato che le campagne meramente aggressive e di impatto non “pagano”: è ormai un dato acquisito, infatti, che – in virtù della sua mission distintiva – la comunicazione universitaria sia elettivamente chiamata a rispondere a una logica di innovazione culturale, in cui è requisito fondamentale la capacità di valorizzare una prospettiva relazionale di coinvolgimento e di responsabilità verso la società e tutti i “portatori di interesse”, più che la visibilità generalizzata o l’impatto fine a se stesso. Su questo terreno, si avverte anzi il bisogno di una mobilitazione più sistematica sulla dimensione deontologica a partire, in particolare, dall’attivazione di efficaci meccanismi di controllo e sanzione della pubblicità ingannevole degli atenei. Un fenomeno di cui, del resto, anche alcuni casi clamorosi di lauree honoris causa hanno rappresentato negli ultimi anni uno dei capitoli eticamente più discutibili e controversi.

    3. Le politiche comunicative di sistema

    Le politiche e le esperienze di comunicazione promosse dagli atenei rendono conto del promettente trend di riposizionamento organizzativo e culturale in atto ormai da diversi anni nell’Università italiana. La comunicazione si configura, in particolare, come un importante tassello dell’innovazione universitaria contemporanea, oltre che come un esempio fra i più espressivi e paradigmatici di “innovazione dal basso”: una prova assai eloquente della capacità degli atenei di rispondere attivamente ai radicali cambiamenti di contesto a partire dalla propositività delle strutture e degli operatori, in anticipo rispetto a una specifica legittimazione normativa. La storia della comunicazione universitaria è stata infatti, nel nostro paese, soprattutto la storia di nuovi bisogni e valori di trasparenza e di espressività che, inizialmente animati solo dalla generosità e dal pionierismo delle persone, si sono lentamente consolidati, fino a divenire una sensibilità e una cultura diffuse.

    A voler tirare un primo bilancio, l’innovazione comunicativa degli atenei ha finora conseguito i suoi risultati più pregevoli soprattutto sul fronte dell’orientamento e del rapporto con gli studenti; ciò, peraltro, non senza un certo sbilanciamento eccessivo verso il fronte delle immatricolazioni e dell’utenza potenziale, che i dati confermano, non a caso, come vero e proprio baricentro comunicativo nel post-riforma. Diversamente, restano a tutt’oggi assai più precarie – a livello di politiche di comunicazione di “sistema” – le relazioni intrattenute con le istituzioni e l’opinione pubblica, a partire dalla qualità dal confronto con il mondo politico e il sistema dei media: un patto comunicativo che impone all’Università italiana anzitutto lo sforzo di ricomporre un ormai anacronistico e paralizzante scarto simbolico fra la “realtà” e la “rappresentazione”, a partire dall’energico ruolo di rappresentanza che va riconosciuto in questi anni soprattutto alla CRUI.

    Una specifica riflessione, dal punto di vista della capacità del sistema universitario di promuovere se stesso e i propri valori, meritano allora i “poteri forti”. In particolare, il 2005 ha rappresentato forse il momento in assoluto più difficile per gli atenei italiani: un anno in cui la scadenza delle elezioni politiche ha ulteriormente allontanato la soluzione dei più importanti problemi politici, economici e di identità dell’Università italiana. Gli stessi da cui dipende oggi il rilancio dei valori della formazione e della ricerca, e dunque lo sviluppo del sistema-paese, di fronte a una delle congiunture economiche e culturali più critiche degli ultimi decenni.

    La verità è che, nel nostro Paese, l’Università rappresenta oggi un luogo sociale a elevata densità di relazioni (ricco di ciò che Putnam, fra gli altri, definisce “capitale sociale”), ma sostanzialmente privo di vera rappresentanza. Un laboratorio di culture al crocevia tra diversi sistemi di valori – educazione, formazione, lavoro, innovazione – al quale si affidano compiti vitali per lo sviluppo sostenibile di una società complessa: primi fra tutti, la coltivazione delle nuove generazioni e classi dirigenti e, di fatto, la costruzione del futuro di una collettività.

    Di fronte a uno scenario a tal punto complesso, occorre allora tornare alla radice culturale dei problemi, scommettendo – con convinzione e vera e propria “militanza” – su quello straordinario mix di tradizione e innovazione che è alla base dell’identità e della mission della nostra istituzione, ancorché problematiche e certamente bisognose di un riesame critico. La comunità universitaria è chiamata, oggi più che mai, a investire sulle proprie risorse simboliche, fondando su queste la possibilità stessa di una ripartenza rispetto alle molte sfide del “passaggio al futuro”: se adeguatamente aggiornata e condivisa, l’idea di Università può rappresentare, infatti, una fonte straordinaria di valori culturali positivi e moderni. Un’affinità fra mete individuali e collettive che, diversamente dal passato, pochissime altre istituzioni sono oggi in grado di instillare, soprattutto nei giovani.

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