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    La comunicazione come eccedenza

    Note per un nuovo approccio “economico” ai media e alle tecnologie.

    di Mario Morcellini 

    In una delle regioni dell’Impero, molti anni fa, l’arte della cartografia e, pertanto, di descrizione del reale, raggiunse una tale perfezione che la mappa di una sola provincia occupava tutta una città, e la mappa dell’impero occupava tutta una provincia. Quando i collegi dei cartografi realizzarono una mappa dell’impero vasta quanto l’impero stesso le generazioni che seguirono decisero che questa carta era inutile perché troppo vasta e la abbandonarono permettendo alle intemperie della natura di distruggerla.

    Con questo frammento tratto da L’artefice, Jorges Luis Borges ci fa riflettere sull’impossibilità di cartografie in grado di includere la vastità e totalità del reale. Tuttavia la complessità di un determinato fenomeno non deve indurre nell’errore di ritenere inutile l’elaborazione o la costruzione di strumenti, anche concettuali, per avviare una riflessione al riguardo. La consapevolezza di non poter raggiungere la massima precisione nella rappresentazione e nell’elaborazione di una mappa sintetica di un territorio così ampio come la comunicazione, infatti, non può coincidere con la tentazione di abdicare a questo compito.

    In particolare voglio provare a descrivere i tratti essenziali per una lettura sintetica della comunicazione, isolandone le dimensioni economiche. Affrontando questo compito definitorio, si incorre immediatamente nella difficoltà che si riscontra, sul piano teorico, nel fornire una definizione univoca che tenga insieme, all’interno dello stesso spazio semantico, gli aspetti che fanno riferimento sia alla prospettiva dello scambio che a quella del dono, ovviamente con riferimento al significato di dono proveniente dal classico saggio omonimo di Marcel Mauss. Nel mondo nuovo l’atto del donare non si limita a un passaggio di beni o di conoscenza, ma mette in gioco la totalità degli elementi culturali che caratterizzano la contemporaneità. La società delle reti e della comunicazione è fondata, infatti, sulla filosofia e sulle pratiche del dono: il suo valore è ovviamente inscindibile dal donatore e dà vita a un legame tra gli individui eccedente il puro scambio economico. Il valore della comunicazione emerge con vivida chiarezza nella sperimentazione della relazionalità. Anche dal punto di vista etimologico, infatti, l’essenza più profonda della comunicazione umana è quella della messa in comune, del confronto, della condivisione e, soprattutto, della concessione di una parte di noi stessi: il nostro tempo, il nostro sapere e il nostro agire. Facendo prevalere l’idea di comunicazione come semplice trasmissione di contenuti tra due o più attori, non saremmo infatti in grado di cogliere l’insieme dei fenomeni che attengono a una visione della comunicazione come relazione. Ma, a ben vedere, ciò vale anche se dovessimo propendere per un’idea che riduce la comunicazione solamente ai suoi tratti culturali o a mero artefatto tecnologico.

    La comunicazione, del resto, ha ormai raggiunto lo status di vero e proprio ambiente elettivo dei moderni. Un habitat, dunque, in cui ciascuno di noi si trova immerso; un liquido che, adattandosi alle più differenti occasioni sociali, muta costantemente forma e significato.

    Al di là delle suggestioni, tuttavia, la comunicazione è riconducibile a una pluralità di campi di applicazione tale da condizionare e rendere arduo qualsiasi tentativo di osservazione, classificazione e categorizzazione.

    La proliferazione delle tecnologie mediali, in particolare, ha reso ulteriormente complessa la realtà comunicativa in cui viviamo: l’essenza più intima di questo processo consiste in una sorta di ibridazione tra i piani riconducibili alla sfera macrosociale e quelli di titolarità soggettiva.

    La graduale messa a punto di pratiche comunicative ancorate a strumenti, servizi e prodotti economicamente quantificabili si basa, paradossalmente, su un processo di ridefinizione continua dei contenuti, degli stili, dei contesti, e sull’acquisizione di un valore specifico che trascende sia quello della produzione sia quello della fruizione. Non meno impegnativa è la recente sfida della comunicazione professata, che rappresenta un significativo trait d’union tra aspetti funzionali e relazionali.

    Considerazioni simili potrebbero riguardare anche il concetto stesso di valore, che, rinviando per definizione ad aspetti economici, sociali, culturali e perfino simbolici, dimostra a sua volta di possedere una notevole poliedricità semantica, ben più ampia di quella del revisionismo del passato. Nel tentativo di evidenziare i caratteri relazionali e intangibili che connotano una lettura in chiave economica della comunicazione, occorre individuare le criticità connesse a una riflessione limitata al concetto di prezzo: è più opportuno, infatti, evidenziarne il carattere immateriale legato al concetto di pregio. Esemplare, a questo proposito, è il caso degli studi di economia dell’istruzione, che mostrano come il vantaggio economico dei processi formativi sia caratteristicamente a utilità differita, e debba dunque esser letto come dispositivo sociale di lungo periodo.

    Tuttavia, l’opzione di ricorrere a una valutazione, anche economica, della comunicazione costituisce una opportunità preziosa per migliorare la comprensione di questo oggetto scientifico, a patto di stabilire alcuni limiti di applicazione, di operare scelte ragionate per attivare coerentemente un processo di riduzione della complessità e, soprattutto, di rinunciare consapevolmente alla possibilità di una rappresentazione onnicomprensiva: una mappa, direbbe Borges, così vasta da non essere utilizzabile in alcun modo.

    In questo senso, posso indicare alcuni nodi tematici, vere e proprie parole chiave intorno a cui avviare un’analisi sintetica sia del valore sociologico della comunicazione, sia di quello prettamente economico. Anzitutto, conviene adottare una prospettiva interdisciplinare: un approccio che fornisca una lettura integrata del mutamento nel lungo periodo. Si potrebbe partire, per esempio, dall’economia della cultura, intesa come dimensione di riferimento dei consumi e dei beni culturali, sino a giungere a un riposizionamento più rigoroso della Media Economy. Una strada possibile è quella di delineare un dispositivo plurale, capace di tratteggiare una mappa del passaggio alla società digitale. Il tutto rifiutando ogni tentazione di nuovismo, partendo dalla consapevolezza che i processi sono graduali e descrivono mediamorfosi piuttosto che rotture nette. A questo proposito, un’attenta lettura dei consumi e dei comportamenti culturali, con particolare attenzione alle giovani generazioni, è senza dubbio un’utile bussola per prevedere i futuri cambiamenti sociali. Lo studio sistematico della cultura, infatti, racconta una storia incoraggiante: il cambiamento sociale è determinato prevalentemente dai giovani in un contesto in cui gli adulti restano indietro non solo nell’attivismo comunicativo, ma anche nella lettura della natura e della velocità del cambiamento.

    Un ulteriore tassello del mosaico che compone il dispositivo plurale tratteggiato è rappresentato dal medium televisivo e dalla sua trasformazione negli ultimi anni. La televisione, medium mainstream per eccellenza, offre un affresco puntuale di come il digitale modifichi le strategie di fruizione, i formati, i processi produttivi e le professionalità coinvolte. Ora non c’è più niente di lineare. Ci sono le televisioni.

    Nel delineare il passaggio al digitale, un contributo di chiarezza operativa va però apportato: non è la comunicazione, ma il suo cambiamento continuo a incalzare la società, riducendo la capacità di interpretarne le trasformazioni a tutti i livelli che coinvolgono la famiglia, la formazione, l’economia e lo spazio delle istituzioni pubbliche. Tuttavia, analizzare la società attraverso le lenti della comunicazione aiuta a individuarne le discontinuità e i mutamenti. La comunicazione è infatti intrinsecamente legata al cambiamento.

    Il percorso delineato mira a porre le basi per la riflessione su un potenziale modello di rappresentazione e interpretazione del valore della comunicazione. Solo attraverso un processo di sedimentazione sociale, culturale e anche economica degli indicatori, è possibile ricostruire e soprattutto interpretare i trend che la comunicazione riesce ad attivare.

    La complessità contemporanea sembra mettere in discussione sia le dimensioni di analisi che i metodi di misurazione dei fatti sociali. Se non si vuole però rinunciare al tentativo di delineare una nuova cartografia, è necessario ripensare la misurazione dei fatti sociali moderni, eclissando, finalmente, un’idea di misurazione in chiave positivistica. è necessario riuscire a cogliere, e quindi a misurare, elementi immateriali e dimensioni dell’immaginario sedimentati nei sistemi di attesa dei pubblici. Alle scienze sociali spetta il difficile compito di misurare la complessità che caratterizza l’economia dell’abbondanza: è necessario un impianto radicalmente rinnovato, partendo dal presupposto che quando una risorsa è scarsa è economicamente rilevante, ma quando è abbondante è sociologicamente valorizzata. In quest’ultimo caso c’è dunque bisogno di strumenti rinnovati e di una nuova analisi sociale per coglierne il reale valore.

    La sociologia deve essere in grado di intercettare questa sfida per continuare a esercitare il suo ruolo nel processo di interpretazione del reale e per poter instaurare dialoghi non solo di maniera con le altre discipline.

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