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    In its early days

    La Intelligenza Artificiale suscita tante aspettative, quante preoccupazioni, disegnando una intricata e talvolta contraddittoria linea rossa tra le opinioni degli esperti, che si riflettono nelle pagine di MIT Technology Review USA, chiamando in causa assetti produttivi e relazioni umane.

    di Gian Piero Jacobelli

    Come si dice proverbialmente, è il confronto che convince! Anche se, talvolta, il confronto aiuta a comprendere il problema, ma al tempo stesso lo rende più problematico, perché ne accresce le dimensioni contestuali e fattoriali. La premessa concerne noi stessi, la nostra rivista o, meglio, la edizione originale della nostra rivista, che di tanto in tanto, nel suo formato cartaceo, ci offre motivi di riflessione meno evidenti nell’online, dove le notizie di ricorrono senza sosta.

    Come facciamo usualmente, quando ci perviene la rivista d’oltre Atlantico, ci interroghiamo sul senso complessivo dei suoi interventi, articoli, note, rubriche: un senso complessivo che spesso viene sintetizzato e rappresentato nella illustrazione di copertina, con annessi e connessi, dal titolo generale a quelli particolari.

    Questa volta il fascicolo di novembre-dicembre, dedicato al problema della Intelligenza Artificiale, ha trovato un immediato e sconcertante riscontro nel fascicolo precedente, che era invece dedicato alla annuale selezione dei giovani innovatori.

    Nella copertina di settembre-ottobre faceva bella mostra di sé Tracy Chouy, ingegnere informatico, capofila dei giovani “visionari”, la quale si interrogava sul ruolo delle ricercatrici e imprenditrici donne in Silicon Valley. Un problema rilevante, relativo alle disuguaglianze tra uomini e donne, tra giovani e vecchi, tra ricchi e poveri: comunque tra chi vive, per così dire, vicino, nella stessa comunità di riferimento. 

    Un problema che il confronto con la copertina successiva radicalizzava ulteriormente, prendendo in considerazione le più avanzate tecnologie di Intelligenza Artificiale. Le quali tecnologie, se da un lato tendono ad accentuare le disuguaglianze tra i lontani, tra chi può usufruire di queste nuove tecnologie e chi ne viene escluso dalla disparità dei sistemi produttivi e formativi, dall’altro lato tendono a porre drammaticamente in questione la differenza tra uomo e macchina.

    La copertina a cui ci riferiamo nasce da un montaggio di varie elaborazioni computerizzate, che l’artista Timothy Luke ha realizzato utilizzando diversi metodi e diversi programmi e poi giustapposto per rendere evidente come quella attuale rappresenti una fase di transizione verso qualcosa che ancora non si riesce a discernere. Un “passaggio”, che senza dubbio accresce le perplessità programmatiche e, soprattutto in merito alle crescenti disuguaglianze a livello mondiale, richiede maggiore consapevolezza e responsabilità da parte di tutti.

    Lo ha ribadito un recente convegno opportunamente intitolato La connettività a Internet come diritto umano e organizzato a Roma, in Vaticano, dalla Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli, presieduta da Romano Prodi, e la Pontifica Accademia delle Scienze. In effetti, la connettività è lungi dall’essere universale: oltre 3 miliardi di persone non ne possono beneficiare e ciò accresce le divergenze, le tensioni, i conflitti potenziali.

    In questa prospettiva, vorremmo affermarlo senza mezzi termini, preoccupa assai meno la diatriba tra macchina e uomo: una diatriba che per altro risulta straordinariamente stimolante sia per il progredire della Intelligenza Artificiale, sia per una migliore conoscenza delle facoltà mentali e dei connessi sistemi e processi cerebrali. 

    Qualora, nella celebre ipotesi di Alan Turing, non si dovesse più distinguere un essere meccanico da un essere umano, il problema non risulterebbe certamente più grave di quando oggi molti continuano a confondere un essere umano con un essere meccanico, o quando alcuni vorrebbero negare la dignità di uomini e donne in forza della loro origine e delle loro diversità culturali.

    Non si vuole mettere in dubbio che quella della Intelligenza Artificiale costituisca una rivoluzione che imporrà profonde trasformazioni in tutte le circostanze della convivenza, dal lavoro al tempo libero, dallo spazio pubblico a quello privato, sempre che queste categorie conservino ancora un significato. Ma non pochi studiosi cominciano a pensare che si tratti di una rivoluzione non diversa dalle tante che la hanno preceduta. E che, anzi, questa ultima stia procedendo con qualche lentezza e incertezza, da cui possono scaturire errori di valutazione, ma anche una maggiore consapevolezza relazionale e la emergenza di nuovi equilibri, sia pure tra difficoltà e sofferenze. Equilibri che la stessa Intelligenza Artificiale potrà contribuire a individuare e a implementare, come sempre è avvenuto nella storia delle grandi rivoluzioni tecnologiche.

    Insomma, come giustamente conclude Brian Bergstein, direttore della edizione americana di MIT Technology Review, più che preoccupazione ci vuole immaginazione, proprio perché la Intelligenza Artificiale è ancora all’inizio, «in its early days».

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