L’anno scorso si sono festeggiati i quarant’anni del mouse, ma il tono, più che quello di un compleanno, è stato quello di una commemorazione. Il vecchio mouse, nonostante sia tanto cresciuto, fiorendo di tasti e di sensori, liberandosi dal vincolo fisico dei collegamenti via cavo, estendendo le proprie funzioni dalla semplice attivazione al controllo e alla manipolazione, sembra, infatti, che stia lasciando il posto ad altre modalità di interfacciamento, gestuale o vocale.
Quest’anno, in una non casuale coincidenza di tempo e di spazio – la storia della innovazione elettronica e digitale comincia sempre in California, terra del vino e, più recentemente, del silicio – si dovrebbero festeggiare i quarant’anni di Internet. La «Rete delle reti», come è noto, nasce militare che più militare non si potrebbe, con il nome di Arpanet, e diventa civile che più civile non si potrebbe, nel 1990, quando gli Stati Uniti decisero di liberalizzare l’allora prioritaria finalizzazione scientifica e accademica. Un anno dopo, con la nascita del World Wide Web, ha preso l’avvio una crescita esponenziale, che ha coinvolto tutti i continenti, con la parziale eccezione dell’Africa, ma che ha anche provocato la bolla speculativa della New Economy.
Crescita da una parte, eccessi di crescita dall’altra, che proprio in questo anno anniversario hanno tracimato oltre la Rete, innestando i germi dell’economia virtuale in quelli dell’economia reale e aprendo le porte alla più grave crisi economica del secondo dopoguerra. A differenza dal mouse, che viene prima perfezionato e poi rimosso dallo sviluppo tecnologico, per Internet questa che molti sperano si risolva in una crisi di crescita, anche se in ogni caso crisi resta, comporta piuttosto un problema di scelte pressanti e impegnative.
Proprio in questo fascicolo più che in altri – anche se in altri il problema era già stato posto in tutta la sua drammatica evidenza – il problema delle scelte emerge nella molteplicità delle sue dimensioni valutative e operative, in un controcanto sistematico tra la situazione americana e quella italiana.
Da un lato dell’Atlantico, tutti si dicono ormai convinti della esigenza di sostituire le nuove tecnologie del rispetto ambientale a quelle di uno sfruttamento irresponsabile delle risorse naturali, nella convinzione che, quando si sta per cadere, solo un deciso passo in avanti può ripristinare l’equilibrio pregiudicato dai precedenti passi falsi. Dall’altro lato dell’Atlantico, invece, in Europa e soprattutto in Italia, ci si continua a nascondere dietro l’inerzia dei passi perduti, delle decisioni da non prendere in attesa che le prenda qualcun altro, dei falsi ottimismi e delle vere rassegnazioni, per evitare o rimuovere la consapevolezza che cambiare a volte rappresenta una scelta, ma a volte rappresenta una necessità.
Questa volta in particolare, per tornare a Internet, non si può sperare nel mondo della rete e nelle sue potenzialità relazionali per mediare le rigidità politiche ed economiche del mondo reale, perché anche Internet in momenti di crisi può diventare quell’inferno lastricato di buone intenzioni che proverbialmente ci richiama a un impegno concreto e personale.
Non un punto di arrivo, quindi, dal momento che si tratta di un arrivo quanto mai preoccupante e talvolta demoralizzante, ma un punto di partenza, da cui risulta evidente l’importanza di scelte di medio e lungo periodo, oltre ogni illusorio automatismo tecnologico. Come si dice, se sono rose fioriranno, ma senza dimenticare che, se le rose non fioriranno, resteranno comunque le spine.