Oggi si celebra la Giornata mondiale delle api: tra le sempre più numerose “giornate” dedicate ai più diversi argomenti, questa ha riscosso una diffusa e significativa attenzione, nonostante le trascurabili dimensioni dei suoi protagonisti.
di Gian Piero Jacobelli
Se ne legge sulle pagine dei giornali e sulle pagine online, con problematiche e accenti diversi secondo le appartenenze professionali e accademiche dei commentatori. Le api, insomma, stanno “facendo notizia”.
Le associazioni ambientaliste segnalano come questi meravigliosi insetti soffrano attualmente della crisi degli ecosistemi idonei alla apicoltura e di pratiche agricole che purtroppo fanno ancora largo ricorso ai pesticidi chimici. Ma si tratta, come si dice, di un gatto che si mangia la coda: se queste pratiche agricole irresponsabili stanno mettendo in difficoltà la apicoltura, la progressiva scomparsa delle api finirà per mettere in difficoltà la stessa agricoltura o comunque la vitalità dell’ambiente vegetale.
Non a caso queste associazioni si stanno mobilitando per sollecitare presso la Unione Europea una legislazione comunitaria in grado di tutelare le api e in genere gli insetti impollinatori da cui dipende la sopravvivenza di molte specie vegetali.
Tra l’altro, le preoccupazioni per gli insetti impollinatori sono state alimentate dalla attuale emergenza sanitaria, che secondo molti esperti presenta una stretta correlazione con lo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali, la deforestazione, la perdita di biodiversità e il conseguente sviluppo di microorganismi potenzialmente letali.
Non possedendo specifiche competenze zoologiche, ecologiche o epidemiologiche, preferiamo lasciare agli specialisti ogni considerazione in proposito, che questa giornata dedicata può contribuire a diffondere anche presso chi in questo periodo resta segregato in casa, dovendo rinunciare a ogni diretta esperienza della campagna in fiore.
Vogliamo tuttavia segnalare un ambito disciplinare in cui le api hanno giocato un ruolo assai meno noto: quello della linguistica, che al proverbiale “linguaggio delle api” ha dedicato non poca e forse imprevedibile attenzione. Ci sia consentito un solo, ma autorevolissimo riferimento specialistico. Uno dei maggiori linguisti e filosofi del linguaggio del secolo scorso, Émile Benveniste, ha dedicato al linguaggio delle api un saggio tanto breve (non più di otto pagine) quanto fondamentale per entrambe le culture, quella umanistica e quella scientifica. Leggiamone insieme alcuni passaggi.
«Fino a oggi», scrive Benveniste nei primi anni Sessanta, «non è stato possibile dimostrare che vi siano animali che possiedono, sia pure in forma rudimentale, un modo di esprimersi che abbia i caratteri e le funzioni del linguaggio umano», a eccezione, forse, delle api: «Tutto induce a credere che le api possano comunicare fra loro. La prodigiosa organizzazione delle loro colonie, la differenziazione e la coordinazione delle attività, la capacità di reagire collettivamente a situazioni impreviste, fanno supporre che siano capaci di scambiarsi veri e propri messaggi».
Vari e autorevoli ricercatori hanno studiato prima di Benveniste questo fantomatico, ma concreto e preciso linguaggio delle api, a partire da Karl Von Frisch, uno zoologo bavarese, Premio Nobel nel 1973 insieme a Konrad Lorenz e Nikolas Tinbergen, il quale a partire dal 1910 ha studiato e scoperto i meccanismi che consentono alle api di comunicare all’intero alveare la direzione delle fonti di cibo volta a volta scoperte.
Le api bottinatrici, tornate all’alveare, cominciano a eseguire una tipica “danza” basata su cerchi concentrici verso sinistra e verso destra, per indicare la direzione e la distanza della fonte di polline. «Troviamo nelle api», prosegue Benveniste, «la capacità di formulare e di interpretare un “segno” che rimanda a una certa “realtà”».
Il linguaggio delle api comporta, rispetto a quello umano, delle enormi limitazioni: per esempio, non può venire condiviso al buio; non prevede una possibilità dialogica, ma solo una risposta comportamentale; non può venire trasmesso nel tempo e nello spazio; soprattutto non può riflettere su se stesso, non può aprirsi a quel metalinguaggio in cui risiede la creatività del linguaggio umano. Tuttavia, conclude Benveniste, questo “codice di segnali” conferma che ogni linguaggio, incluso il linguaggio umano, presuppone di “vivere in comunità”.
In definitiva, se le api dovessero scomparire, si ridurrebbero drammaticamente le nostre possibilità di alimentazione, ma anche la possibilità di «penetrare più addentro nella comprensione dei moventi e delle modalità di questa forma di comunicazione» e quindi di comprendere meglio «dove comincia il linguaggio e come l’uomo si delimiti».
Come dire che la paventata scomparsa delle api pregiudicherebbe non soltanto la possibilità di nutrire il corpo, ma anche la mente.
(gv)