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    I precari equilibri di Libra

    Nonostante non ci sia ancora, Libra, la valuta digitale preannunciata da Facebook, sta già sollevando un mare di polemiche, sia per la sua incerta affidabilità, sia soprattutto per la sua potenziale influenza sugli equilibri economici e politici internazionali.

    di Gian Piero Jacobelli 

    Come al solito, alla fine del mese può tornare utile uno sguardo complessivo alle notizie che si sono più spesso presentate sulla nostra Home Page, in ragione se non di una maggiore rilevanza, quanto meno di una maggiore diffusione mediatica, lasciando intendere come qualcosa stia bollendo in pentola. 

    Che si tratti di una pentola ormai in procinto di bollire lo dimostra anche l’ultima notizia sull’argomento della valuta digitale, secondo cui la Società petrolifera statale venezuelana, nel tentativo di aggirare le sanzioni degli Stati Uniti, ha chiesto alla Banca Centrale del Venezuela di accettare Bitcoin al posto dei dollari per i propri pagamenti. Come rileva Mike Orcutt, autore dell’articolo IlVenezuela potrebbe utilizzare i Bitcoin per aggirare le sanzioni, “la vicenda non è trascurabile, in quanto il dollaro è la valuta di riserva più popolare al mondo” e chi, non disponendone per vari motivi, si trovasse tagliato fuori dal commercio internazionale, potrebbe ricorrere a valute digitali per cambiare la situazione.

    In questa prospettiva non è difficile comprendere come quello delle valute digitali non si risolva in un problema esclusivamente tecnologico, connesso alla sicurezza e alla privatezza degli scambi, né in un problema esclusivamente economico, connesso alle eventuali alterazioni del libero mercato, ma comporti immediatamente, cioè prima ancora di una loro concreta e diffusa implementazione, un problema di carattere politico, connesso agli equilibri mondiali. A questo proposito, in un precedente articolo, Dollaro sotto attacco, lo stesso Orcutt ricordava come l’anno scorso il governo venezuelano di Nicolàs Maduro avesse già cercato, con scarso successo, di lanciare il Petro, una criptovaluta autoctona, per avvalersi del portafoglio digitale negli scambi con Paesi in cui è possibile la conversione in dollari e il loro trasferimento sui conti del Governo venezuelano in quegli stessi Paesi. 

    Questo sistema permetterebbe non soltanto di aggirare le sanzioni statunitensi che bloccano le operazioni finanziarie del governo venezuelano, ma, secondo un recente Rapporto della Foundation for Defence of Democracies, think tank di Washington, potrebbe consentire “un significativo commercio internazionale senza muoversi entro i confini del sistema finanziario globale guidato dagli Stati Uniti”. Oltre alla Corea del Nord, il Rapporto della FDD cita Russia, Iran e Cina tra le nazioni particolarmente interessate allo sfruttamento politicamente alternativo delle criptovalute e della tecnologia blockchain, che permette una gestione dei dati in termini di verifica e di autorizzazione senza la necessità di una autorità centrale.

    Un analogo problema, tecnologico, economico, ma soprattutto politico si tra riproponendo con Libra, la criptovaluta preannunciata da Facebook, che per altro non c’è ancora, perché in base alle dichiarazione del suo creatore, Mark Zuckerberg, ci potrebbe essere solo a partire dai primi mesi del prossimo anno. Inoltre, a seguito delle polemiche suscitate dalle sue prime dichiarazioni, Zuckerberg ha assunto recentemente un atteggiamento più cauto e possibilista, probabilmente in considerazione delle relazioni difficili con le istituzioni statunitensi, assai sospettose in materia di regimi valutari.

    Pesano anche le prese di posizione del sistema bancario internazionale, che in una riunione di poche settimane fa, il 16 settembre, ha posto non pochi paletti in materia di sicurezza, privacy e garanzie di copertura. In proposito, Facebook ha affermato che Libra manterrà un valore stabile perché sarà sostenuta da una riserva di depositi in contanti di dollari USA, sterline inglesi, euro e yen giapponesi, in linea con altre cosiddette stablecoin: una classe emergente di valute digitali che, contrariamente a Bitcoin, suscettibile di oscillazioni connesse alle relazioni tra domanda e offerta, hanno la caratteristica di garantire la stabilità del loro valore. Inoltre, l’accesso a Libra non andrebbe considerato come un investimento perché i suoi dividendi resteranno appannaggio delle aziende che hanno investito nel progetto: da PayPal a Liber, da Vista a MasterCard, da Vodafone a Iliad e molte altre in grado di offrire un bacino di utenza tanto ampio quanto diversificato.

    Tuttavia Orcutt, in un altro articolo, intitolato Libra: e fu il caos, riportava lo scetticismo di Katharina Pistor, direttrice del Center on Global Legal Transformation presso la Columbia Law School, secondo la quale Libra, in caso di crisi finanziaria, potrebbe avere difficoltà a mantenersi stabile e quindi non sarebbe in grado di sfidare le valute nazionali. Invece, Libra potrebbe diventare un vero concorrente della moneta ufficiale in luoghi che hanno valute meno stabili, con effetti dirompenti sui tassi di cambio locali.

    Anche il governatore della Banca d’Inghilterra, Mark Carney, alla fine di agosto, nel corso della riunione annuale dei banchieri centrali a Jackson Hole, nel Wyoming, ha sostenuto che Libra “potrebbe avere implicazioni sostanziali sia per la stabilità monetaria sia per quella finanziaria” e che una nuova valuta di questo tipo verrebbe comunque meglio gestita dal settore pubblico rispetto alle aziende tecnologiche. Ancora una volta, dunque, le tradizionali strutture istituzionali dovrebbero cercare di non perdere il controllo sia dei vecchi, sia dei nuovi sistemi di gestione finanziaria. Altrimenti, sembra dire Carney, la deriva digitale innescata da Libra, rischierebbe di trasformarsi in una sorta di Vaso di Pandora, in cui la innovazione tecnologica ed economica potrebbe innescare una esplosiva e imprevedibile rivoluzione nelle relazioni internazionali.

    In effetti, nelle scorse settimane alcuni commentatori hanno interpretato le dichiarazioni rilasciate a luglio da Wang Xin, direttore dell’Ufficio di ricerca della Banca Popolare Cinese, in merito al preannunciato lancio di Libra, come una accelerazione dei progetti della Cina per conferire una forma digitale della sua valuta sovrana. Xin, infatti, ha sottolineato la esigenza di “proteggere la sovranità monetaria cinese”, nella misura in cui Libra potrebbe rafforzare la influenza del dollaro USA sull’assetto finanziario globale. Il piano di Libra prevede, infatti, un paniere di valute sovrane, in cui i dollari sarebbero presenti per il 50 per cento, detenendone, per così dire, la maggioranza.

    D’altra parte, forse paradossalmente, la iniziativa di Libra, nonostante gli enormi investimenti in azioni di lobbyng posti in atto da Facebook, sembra preoccupare anche il Governo degli Stati Uniti, a conferma che innovazione tecnologica e conservazione politica vanno raramente d’accordo. Il confronto su Libra si è riacceso a Washington con le parole estremamente critiche di Maxine Waters, presidente del Comitato dei servizi finanziari della Camera dei Rappresentanti, la quale alla fine della scorsa settimana si è incontrata con funzionari svizzeri per discutere di Libra, che secondo Facebook sarà gestita da una Associazione senza scopo di lucro con sede in Svizzera. Dopo l’incontro, Waters ha affermato di nutrire qualche preoccupazioni sulla possibilità di “consentire a una grande azienda tecnologica di creare una valuta globale alternativa, controllata privatamente”.

    La Associazione, infatti, una volta operativa avrà un enorme potere finanziario che, se non adeguatamente monitorato e controllato, potrebbe sovvertire i rapporti di forza non solo con la politica, ormai relegata a soggetto debole nel mondo dell’innovazione tecnologica ed economica, ma soprattutto con le Banche centrali e con gli organismi finanziari come il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale. Non a caso, anche Francia e Germania si oppongono tendenzialmente alla valuta digitale di Facebook. In una dichiarazione congiunta, rilasciata in una riunione dei Ministri delle finanze della zona euro, Francia e Germania hanno formato un fronte unito contro Libra, a causa dei rischi connessi alla sicurezza, alla protezione degli investitori, al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo: “Riteniamo che nessun soggetto privato possa rivendicare il potere monetario, che è inerente alla sovranità delle nazioni”.

    Per concludere cercando di orientarci tra tante aspettative e altrettante perplessità, non ci resta che rilevare come, in un campo così delicato quale quello finanziario e in particolare della finanza internazionale, la prudenza non sia mai troppa. Per quanto Libra non ci sia ancora, in rete è già facile trovare tracce di iniziative speculative “a suo nome”, con promesse di guadagni facili per gli utenti disposti a investire qualcosa e ovviamente a iscriversi a qualche comunità accessoria. Come dire che “fatto l’inganno, trovata la legge”.

    (gv)

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