In questo numero di TR vi sono due interventi che fanno emergere due paradossi, l’uno di natura economica, l’altro di natura etica.
di Alessandro Ovi
Il primo concerne l’analisi delle prospettive della ingegneria dei tessuti biologici; il secondo è Vivere in eterno?, nel quale il prof. de Grey illustra le sue teorie per prolungare la durata della vita umana molto al di là dei limiti oggi conosciuti.
Tra le righe della analisi di mercato dei prodotti derivanti dalla ingegneria dei tessuti biologici emerge una ipotesi sorprendente di crescita della domanda. Tra le principali cause di questa crescita, ne vengono identificate due che normalmente dovrebbero portare a una diminuzione della spesa per la salute e invece scatenano un effetto opposto.
La prima causa è l’attività di prevenzione che si va diffondendo nei paesi sviluppati; la seconda causa è il miglioramento della qualità della vita in quelli in via di sviluppo. Entrambe, anche se per motivi diversi, diminuiscono il numero di morti precoci. Avanzando negli anni, gli individui finiranno infatti per aver bisogno di interventi di rigenerazione dei tessuti biologici, resi possibili dalle nuove tecnologie, contribuendo ad aumentarne la domanda.
In effetti, tutto ciò che concorre all’aumento della vita media apre la strada a rilevanti incrementi di spesa per procedure terapeutiche innovative, che a loro volta contribuiscono ad aumentare la vita media e quindi la spesa, in una spirale senza fine. Dove fermarsi? Dove il diritto alla salute diventa insostenibile e quindi non più esercitabile? Si passa da un problema economico a uno etico. Ma il problema etico si trasforma in un paradosso nel secondo articolo citato, il cui titolo, provocatorio, introduce un filone di ricerca al confine tra scienza e fantascienza. Un filone che porta a riflettere su una contraddizione sul fronte etico, morale e forse anche religioso.
Fino a oggi tutti gli interventi che servono a prolungare la vita umana, esclusi i casi palesi di accanimento terapeutico, sono approvati e incoraggiati senza eccezioni. Quelli che, invece, vengono praticati nelle fasi «embrionali» della vita sono spesso condannati, o almeno considerati delicati e problematici. La contraddizione sta nel fatto che i primi, come nel caso estremo descritto da de Grey, portano a situazioni assai più inquietanti di quanto non facciano i secondi.
Immaginiamo un mondo dove non solo, come già accade, si tende a morire sempre più avanti negli anni, ma comunque mai oltre una età massima: un mondo dove il non morire mai possa sembrare possibile. è difficile immaginare qualcosa di più dirompente per la nostra società. Eppure nei confronti del prolungamento della vita non si manifestano quelle obiezioni di principio che invece insorgono per gli interventi effettuati all’inizio della vita, dalla fecondazione assistita alla eugenetica.
Il fatto è che, quando la conoscenza si spinge al punto di trasformare la natura stessa dell’uomo, non basta più capire in che modo adattarsi a queste trasformazioni. Bisogna decidere se sia giusto adattarsi. Ma anche nel caso in cui la risposta sia negativa, non si può pensare di fermare la conoscenza. Si deve invece scegliere di continuare a ricercare e conoscere, senza però fare della conoscenza un fattore di cambiamento paradossale. E se altri la pensano diversamente da noi, bisogna trovare il modo di persuadere, non obbligare, cercando insieme la verità. (a.o.)