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    I nuovi anziani

    La terza età nello scenario sociale e comunicativo

    Nella nuova società della comunicazione diventa quanto mai opportuna una riflessione sistematica sulla necessità di ri-concettualizzare il termine «anziano». Qualunque osservazione dei radicali cambiamenti intervenuti attorno e dentro la realtà e la percezione sociale della vecchiaia avvalora l’impressione che l’età anagrafica, considerata singolarmente, non riesca più a funzionare quale convincente variabile indipendente nella determinazione socio-esistenziale dell’individuo.

    Si sta procedendo, di fatto, a una radicale revisione della sequenza dei cicli di vita. Passiamo da un’infanzia sempre più breve a una giovinezza sempre più lunga. Poi si diventa adulti, il più tardi possibile. Infine, arriva l’età anziana.

    Non si vorrebbe invecchiare, non solo per paura delle malattie e della perdita di autosufficienza, ma soprattutto perché l’idea stessa di vecchiaia è oggi associata a valori fuori moda: l’esperienza e l’affetto, la marginalità sociale e la prudenza, la solitudine e la partecipazione alla sofferenza degli altri. Si è invece affermata, nel corso degli ultimi anni, una concezione del benessere che punta edonisticamente sulla cura del corpo, esalta la forma fisica e utilizza ogni strumento per vincere l’«invecchiamento». Ricorrendo non solo alla pratica del fitness, ma alla chirurgia estetica e plastica. La stessa moda presenta e propone stili e modelli «giovani». Si cancellano le rughe, i capelli bianchi e radi, si rifiuta la malattia. Si cerca quindi di allungare la gioventù all’infinito, mascherandosi da giovani, fino a età avanzata. Quasi fino a rimuovere il concetto stesso di vecchiaia.

    Ma non è solo una questione di vita umana che si allunga: a differenza dei nonni di una volta, i nuovi anziani mostrano la capacità di cambiare, di progettare, di sognare, di invertire una traiettoria segnata dai luoghi comuni. Ottantenni, cinquantenni e ventenni condividono questa lettura allo stesso modo. Tanto da suggerire una rilettura dei cicli di vita tradizionalmente definiti dalla letteratura scientifica, ipotizzando una sequenza che consideri l’«età senza ruoli» (corrispondente all’infanzia e alla giovinezza), l’«età lunga dei ruoli» (ovvero quella fase della vita definita, in particolare, dallo status socialmente riconosciuto in virtù degli impegni socio-economici) e, infine, l’«età della seconda giovinezza» (il cosiddetto tempo della realizzazione dei progetti di vita, possibile soltanto in un contesto di «liberazione» dal lavoro e dagli obblighi sociali).

    Partendo da questa premessa, si tratta di verificare le condizioni di quei soggetti che si tende impropriamente a definire «anziani», individuando nei dati dei consumi culturali degli ultimi anni i sintomi più evidenti di una soggettività socio-comunicativa che ne sancisce l’accresciuta centralità e protagonismo.

    La società del 30 per cento. La terza età dal punto di vista demografico

    Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, comune a tutti i paesi sviluppati, è particolarmente marcato in Italia, prima al mondo secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Secondo il censimento ISTAT del 2001, gli ultrasessantenni, in particolare, rappresentano circa il 25 per cento del totale della popolazione e questa percentuale raggiungerà – dicono le stime – il 34 per cento nel 2025. La progressiva riduzione dei rischi di morte a tutte le età della vita, ma soprattutto nelle età adulte e senili, ha infatti come conseguenza un aumento della vita media. E proprio «i grandi vecchi» (i cosiddetti oldest old) rappresentano il segmento della popolazione a più rapida crescita.

    La consapevolezza del crescente invecchiamento della popolazione dovrebbe indurre decisori e studiosi a prendere le misure alla nuova «società del 30 per cento», investendo nella ricerca e nella messa in opera di nuove forme di partecipazione per trasformare gli over 65enni in risorsa. Ricchi della propria esperienza di vita e lavorativa, con disponibilità di tempo maggiore rispetto ai loro figli e nipoti, il sempre più numeroso «popolo degli anziani» necessita di riconsiderazione da vari punti di vista: un target interessante per i consumi, per la comunicazione politica, per la stessa fruizione dei mezzi di comunicazione; ma anche persone in cerca di emozioni e di relazioni che potrebbero acquisire maggior spazio di espressione sfruttando le opportunità garantite dai nuovi media.

    Anziani vecchi e nuovi sulla scena della comunicazione

    A spasso con i media

    I dati relativi ai consumi in e outdoor possono rivelarsi assolutamente espressivi nel proiettare una nuova luce sul pianeta della terza età. Ambientati nella cosmogonia quotidiana della TV, gli anziani si presentano come forti lettori di quotidiani e libri (le percentuali più alte per la lettura di 5 o più quotidiani a settimana e di almeno 12 libri all’anno, secondo le rilevazioni ISTAT): un’evidenza che dimostra, stando ai dati CENSIS del 2004, una forte passione per il racconto, le storie emozionanti e qualsiasi forma di espressione che possa rilanciare la conoscenza del mondo. Si ricorda, infatti, che lo stesso zoccolo duro degli spettatori dei telegiornali è rappresentato da uomini, istruiti, anziani.

    Il grado di istruzione diventa la variabile discriminante per la varietà della dieta informativa, molto più scarsa tra i meno istruiti e i più giovani. La necessità di diversificazione si declina anche sulla fruizione di mezzi non mainstream, come la TV a pagamento, confermando così quanto rilevato in relazione alla lettura di quotidiani e libri: un elevato bisogno di sentirsi informati e parte del mondo. Non a caso, il 40 per cento degli anziani intervistati dal CENSIS dichiara di essersi abbonato perchè desideroso di un’offerta più completa e variegata rispetto alla programmazione televisiva tradizionale.

    Ma è la disponibilità di tempo libero la vera opportunità per gli anziani, anche dal punto di vista della qualità dei rapporti con i media e con i consumi culturali. Oltre i 65 anni, infatti, si hanno a disposizione 6 ore di tempo libero al giorno contro le 4 della classe 25-44. Questo dato deve tuttavia esser messo in relazione con le abitudini al consumo culturale, così come si sono determinate nella biografia personale del singolo individuo: con il pensionamento, il soggetto viene infatti a disporre di molto tempo libero, ma non sempre la sua storia di vita e la situazione contingente lo predispongono a coltivare interessi di tipo culturale. Mentre sono coloro che durante il periodo lavorativo avevano già sperimentato un loisir ricco di contenuti culturali che riescono a mantenere e rilanciare un atteggiamento di appagamento nello svolgimento di alcune attività.

    Forte è, ovviamente, l’integrazione tra i diversi consumi culturali: chi legge quotidiani legge anche libri, chi legge libri o giornali va più spesso al cinema e a teatro. I consumi culturali differenziano quindi, da un lato, gli anziani «attivi» che presentano una molteplicità di interessi; dall’altro, quelli che appaiono ben poco coinvolti nella fruizione culturale. Certo, questo non comporta necessariamente il venir meno di qualunque interesse, dato che è possibile che l’assenza di finalità propriamente culturali sia compensata, o forse anche motivata, dall’espletamento di pratiche inerenti alla gestione della vita quotidiana o al permanere di forme di lavoro (dalla cura della casa ad attività retribuite e a forme di socialità diffusa).

    Anziani attivi. Nuove capacità di partecipazione

    La stessa analisi dei dati prova che gli anziani si avviano a cambiare decisamente il proprio stile di vita, riuscendo a gestire in modo più attivo il tempo libero. L’aumento della longevità ha portato a un cambiamento radicale del quotidiano, capovolgendo le abitudini degli anziani. è pur vero che in una società complessa come la nostra chi si ferma è perduto, ma i «nonnini» si sono messi al passo coi tempi, rapportandosi sempre più e meglio con le istituzioni e con il resto della società. Si scopre che anche chi non è più giovane può rendersi utile per sé e per gli altri. Oggi, gli anziani si organizzano ed escono di casa, mettendo in pratica un inedito attivismo e dimostrandosi ricettivi verso le esperienze che la vita può ancora loro offrire.

    Secondo i dati ISTAT, su tre milioni e mezzo di persone che si dedicano al volontariato in Italia, ben 400.000 appartengono alla terza età. Ancor più indicativo il ruolo giocato dagli anziani su altri comportamenti a carattere culturale o ricreativo, quali la frequentazione di teatri, cinema, mostre e musei, manifestazioni sportive o viaggi.

    Il caso degli anziani rispecchia la situazione generale della fruizione culturale degli italiani negli ultimi anni, all’insegna di trend promettenti e di crescita almeno rispetto al recente passato. Anche alla luce dell’aumento significativo della partecipazione a tutte le forme di intrattenimento outdoor, s’impone, dunque, una rivalutazione della retorica «passività degli anziani alla luce di un attivismo che, lì dove condizioni di salute e variabili socio-economiche lo consentano, è in grado di promuovere strategie di consumo alternative alla semplice e tanto «vituperata» fruizione televisiva.

    Nuove tecnologie per nuovi anziani. La Rete come chance

    Con le sue inedite opportunità informative e relazionali, la Rete resta ancora un territorio tutto da esplorare per la generazione a tutt’oggi «analogica» degli anziani. I dati sulla fruizione di Internet da parte degli ultra 65enni confermano, tuttavia, un avvicinamento ancora esitante alle nuove tecnologie comunicative. La Rete, la sua struttura, il suo apparato tecnologico mantengono alte le barriere di accesso soprattutto verso i soggetti cosiddetti «deboli»: i costi e, in particolare, l’«iper-mediazione» diventano ostacoli per la quasi totalità della popolazione anziana, secondo il CENSIS.

    La scarsa familiarità con il computer, quale principale ostacolo alla navigazione on line, va dal 36,6 per cento fra i giovanissimi e dal 79,9 per cento dei meno istruiti, a ben l’85,7 per cento degli anziani. Ancora una volta il digital divide riflette il social divide, imponendo l’attivazione di politiche attive che riconoscano nelle strategie di alfabetizzazione informatica degli anziani un investimento nella qualità della vita e nel benessere sociale diffuso. Accomunati dalle tecnologie, giovani, adulti e anziani potrebbero costruire più facilmente ponti culturali e «spirituali» fra le generazioni. Per un mondo nuovo basato sulla qualità delle interazioni tra le persone, nel momento in cui la stessa complessità delle tecnologie rappresenta uno degli ingredienti fondamentali per costruire «sintesi» dinamiche di saperi e di relazioni. Perché, «abilitati» dal digitale e con la forza dell’esperienza e della saggezza, gli anziani diventano reali risorse per la società di domani.

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