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    I numeri dei senza lavoro mettono paura

    La chiusura di gran parte del settore dei servizi – si pensi a ristoranti, hotel e negozi al dettaglio – nel tentativo di rallentare la diffusione del coronavirus sta spingendo gli Stati Uniti verso una profonda recessione.

    di David Rotman

    Il problema non è più se, ma quanto sarà profonda, quanto durerà, e forse soprattutto, quali fasce sociali saranno più colpite da questa devastante recessione. Questa settimana il Dipartimento del Lavoro ha annunciato che 3,3 milioni di persone hanno presentato richieste di sussidio di disoccupazione; il precedente record settimanale era di 695.000, nel 1982. 

    Per quanto cattivi siano questi numeri, tuttavia, sottostimano notevolmente la crisi, dal momento che non tengono conto di molti lavoratori part-time, autonomi e della gig economy che si ritrovano a casa. Sulla base delle stime secondo cui l’economia si ridurrà di uno sbalorditivo 25 per cento nel secondo trimestre, che termina a giugno, gli economisti parlano ormai di 5 milioni di posti di lavoro persi entro l’estate.

    Il capo della Fed di St. Louis prevede nei prossimi mesi un tasso di disoccupazione negli Stati Uniti del 30 per cento e un calo del PIL del 50 per cento. Ma ovviamente nessuno lo sa davvero, in parte perché fino a oggi non abbiamo mai affrontato una crisi simile.

    “È impossibile sapere come sta cambiando il mondo”, afferma David Autor, un economista del MIT tra i più autorevoli al mondo. “Mai visto nulla di simile negli ultimi cento anni”. In qualsiasi recessione o depressione passata, la soluzione economica è sempre stata quella di stimolare la domanda di lavoro, ma in questo caso, stiamo intenzionalmente chiudendo le attività economica e dicendo alla gente di stare a casa. “Non è solo un problema di profondità della recessione”, afferma Autor. “È qualitativamente diverso”. 

    L’improvviso calo del PIL significa una recessione con molti posti di lavoro persi, ma Autor si preoccupa anche delle piccole imprese che stanno vedendo venir meno i loro flussi di cassa. Non potranno pagare le bollette e molte falliranno senza l’aiuto del governo. Queste chiusure renderanno ancora più difficile riavviare l’economia quando l’epidemia sarà sotto controllo. 

    Inoltre, l’incertezza sui tempi necessari a sconfiggere la malattia fa male al mondo degli affari. Una delle maggiori paure per l’imminente recessione è che coloro che sono meno in grado di resistere alla recessione saranno colpiti più duramente: i lavoratori sottopagati nei ristoranti e negli hotel e il numero crescente di persone della gig economy. Negli ultimi due decenni, i lavoratori dei servizi sono diventati una parte sempre più grande dell’economia americana. 

    Le persone senza un diploma universitario lavorano sempre più in questo settore perché molti lavori a media qualificazione negli uffici e nelle attività di produzione specializzata sono esauriti, afferma Autor. Sono le persone che lavorano nei servizi, già poco remunerate e spesso con inesistente copertura sanitaria, ad affrontare i problemi più grandi.

    Chiudere l’economia dei servizi è “decisamente appropriato” e deve assolutamente essere fatto per rallentare l’epidemia, spiega Autor. Ciò significa che dobbiamo fornire ai lavoratori e alle imprese interessati i mezzi per resistere alla crisi e, una volta che l’epidemia è sotto controllo, aiutarli a riavviare l’economia.

    Alcuni meccanismi per farlo sono stati inclusi nel pacchetto di stimoli da 2 trilioni di dollari previsto dal Congresso questa settimana. Le misure prevedono un bonus di 1.200 dollari a ciascun americano che ne guadagna meno di 75.000. Inoltre, allarga per la prima volta le indennità di disoccupazione a lavoratori della gig economy e autonomi. Sono previsti anche centinaia di miliardi per aiutare le aziende a rimanere a galla.

    Non sono perfette, afferma Arindrajit Dube, economista dell’Università del Massachusetts, ad Amherst. Ma aumentare l’assegno contro la disoccupazione e ampliarne la platea di aventi diritto aiuterà milioni di persone che perderanno il lavoro, dice Dubi, e in tal senso le misure “migliorano la situazione di tutti”.

    Il rallentamento dell’economia colpirà alcune parti del paese molto più duramente di altre. Città come Las Vegas e Orlando, che dipendono da hotel e turismo, accuseranno la crisi, secondo le cifre fornite dalla Brookings Institution. Le regioni che sono meno vulnerabili includono le città che hanno sviluppato il settore dell’alta tecnologia come San Jose e Provo, e stati come la California e l’Utah. Chi subirà i contraccolpi della difficile situazione sarà soprattutto l’ampia fascia di regioni con economie di servizi molto sviluppate, afferma Mark Muro, coautore del rapporto.

    Muro e i suoi colleghi sostengono che un sistema di aiuti locali a queste zone deve essere una priorità assoluta. Nel rapporto si fa notare che molte di queste regioni non si sono mai riprese dalla crisi finanziaria del 2008. Non intervenire ora porterebbe a danni permanenti”. 

    Secondo Muro, le misure previste “non sono sufficientemente mirate a livello regionale”. Ciò di cui gli stati e i comuni hanno bisogno, afferma, è un finanziamento senza restrizioni. A suo parere, il sostegno del governo federale deve essere indirizzato a quelle aree che non si sono mai riprese dall’ultima recessione.

    Foto: Library of Congress

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