Se la missione Emirates su Marte avrà successo, il programma spaziale degli Emirati Arabi Uniti sarà il quinto al mondo ad arrivare sul Pianeta Rosso.
di Neel V. Patel
La sonda Hope è ufficialmente in orbita attorno a Marte. Meno della metà di tutti i veicoli spaziali inviati su Marte ce l’hanno fatta. Per ogni celebre missione come il Curiosity Rover della NASA, c’è una storia di fallimenti come il lander Schiaparelli dell’Agenzia spaziale europea, che si è schiantato sulla superficie marziana durante la discesa nel 2016.
Se la missione Emirates su Marte avrà successo, il programma spaziale degli Emirati Arabi Uniti diventerà il quinto al mondo a raggiungere il Pianeta Rosso, dopo l’Unione Sovietica, la NASA, l’ESA e l’India. “Il team si è preparato al meglio delle possibilità per raggiungere l’orbita attorno a Marte”, afferma Sarah Al Amiri, presidente dell’Agenzia spaziale degli Emirati Arabi Uniti.
Per gli Emirati Arabi Uniti e i suoi partner, la missione Emirates su Marte è molto più che coronare un viaggio iniziato la scorsa estate. Riguarda il futuro di un programma spaziale in erba che vuole intraprendere progetti più ambiziosi lungo la strada e un paese che vuole diventare un nuovo hub di innovazione tecnologica e scientifica per l’Asia. Che la missione Hope riesca o meno, il suo impatto si fa già sentire.
Gli aspetti scientifici
La missione Emirates su Marte fa parte di un’indagine più ampia che gli scienziati planetari stanno portando avanti da decenni, sperando di scoprire cosa ha trasformato Marte da un mondo umido, caldo e potenzialmente abitabile in uno secco e freddo. Un grande pezzo di quel puzzle è capire come Marte abbia perso la maggior parte della sua atmosfera in modo che i suoi laghi e fiumi evaporassero nel tempo.
La missione prevede di studiare l’atmosfera con un orbiter chiamato Hope e i suoi tre strumenti chiave. Una fotocamera scatta foto del pianeta utilizzando una sfilza di filtri che limitano le diverse lunghezze d’onda, aiutando gli scienziati a saperne di più sul contenuto di acqua e ghiaccio nell’atmosfera o sulla natura delle tempeste di polvere più vicine al suolo.
La sonda orbiterà attorno a Marte a un’altitudine più elevata rispetto a qualsiasi precedente missione sul pianeta consentendo agli scienziati di vedere metà della superficie marziana indipendentemente da dove si trova l’orbiter. La maggior parte degli altri orbiter si sono mossi intorno ai poli, quindi a ogni passaggio sono stati costretti a osservare le posizioni negli stessi orari della giornata.
Invece, Hope orbiterà quasi parallelamente all’equatore, quindi sarà in grado di osservare le posizioni in molti punti diversi durante il giorno e vedere eventuali cambiamenti nel tempo. La sua orbita ellittica offrirà diversi modi di guardare il pianeta. A distanze maggiori la sonda ha una visuale di Marte a livello planetario per osservare i cambiamenti atmosferici globali in un solo giorno, mentre a distanze più ravvicinate può scrutare regioni specifiche per vedere come cambia l’atmosfera in quei luoghi minuto dopo minuto, ora dopo ora.
“La fase più rischiosa”
Hope è pronta per l’appuntamento con Marte dopo che una combustione del propulsore di 27 minuti ha rallentato il veicolo spaziale da 121.000 chilometri all’ora ai 18.000 km/h, permettendogli di “cadere” nell’orbita marziana in sicurezza. L’accensione del propulsore dovrebbe avvenire intorno alle 19:30, ora degli Emirati Arabi Uniti. Il ritardo di 11 minuti nella comunicazione causato dalla distanza tra i due pianeti, tuttavia, significa che l’accensione è effettivamente un processo automatizzato: le squadre di terra non saranno davvero in grado di controllare ciò che sta accadendo, ma dovranno fare riferimento agli aggiornamenti intermittenti.
“Gran parte dell’enfasi ingegneristica è stata posta sul rendere l’evento dell’inserimento nell’orbita di Marte completamente autonomo”, dice Pete Withnell, uno scienziato dell’Università del Colorado, a Boulder, che sta lavorando alla missione Hope. “Durante l’evento siamo osservatori. Possiamo vedere cosa sta succedendo, ma non possiamo interagire in tempo reale”.
Il controllo della missione si aspetta di ricevere un segnale che dovrebbe indicare se Hope è stata “catturata” nell’orbita marziana. Se perdono questo segnale, dovranno aspettare un’altra ora o giù di lì poiché Hope viene eclissata da Marte. “Questa è la fase più rischiosa del progetto”, afferma Omran Sharaf, project manager della missione, aggiungendo che il sistema di propulsione per la missione è “qualcosa che non si può testare sulla Terra al 100 per cento, perché non è possibile simulare l’ambiente”.
Se tutto dovesse andare come previsto, la missione passerà dalla sua “orbita di cattura” alla sua “orbita scientifica” nei prossimi mesi, utilizzando quel tempo per accendere i suoi strumenti e calibrarli per indagini formali. Tale transizione dovrebbe essere completata intorno alla fine di aprile o all’inizio di maggio. Secondo Al Amiri, il team spera di rendere disponibili i primi dati scientifici alla comunità di ricerca entro l’inizio di settembre.
Più di una singola missione
Uno dei più grandi obiettivi degli Emirati Arabi Uniti attraverso la Emirates Mars Mission è quello di spronare una giovane generazione di scienziati e ingegneri ad entrare nello sviluppo di sistemi spaziali per aiutare il paese a diventare uno dei protagonisti dell’economia spaziale. Come molti altri paesi, gli Emirati Arabi Uniti vogliono capitalizzare l’ascesa dello sviluppo di piccoli veicoli spaziali e “creare nuove iniziative imprenditoriali nello spazio”, afferma Al Amiri, che aggiunge di aver assistito a un’ondata di entusiasmo tra gli studenti di scienze e ingegneria, che ora stanno prendendo sul serio l’idea di entrare nell’industria spaziale.
Sharaf spiega che parte dell’hardware della missione è stato sviluppato e prodotto da aziende degli Emirati Arabi Uniti. “È stato un ottimo tipo di piattaforma di test per comprendere le lacune che abbiamo all’interno del nostro ecosistema e come possiamo progettare un programma per le nostre future missioni che integri meglio il settore privato”, egli spiega.
Ma non sarebbe stato meglio impegnarsi in una missione sulla Luna?, obiettano alcuni. “Come giovane nazione”, risponde Sharaf, “dobbiamo recuperare il ritardo. Quando si parla di tecnologia e scienza, la curva di apprendimento non è lineare, ma esponenziale. Diventa molto più difficile recuperare il ritardo in futuro. Ed è per questo che abbiamo scelto una missione su Marte”.
(rp)