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    Guardare vicino per guardare lontano

    Si dice che, a volte, la somma valga più di quanto non valgano i suoi addendi presi insieme: che valga quasi come una moltiplicazione.

    di Gian Piero Jacobelli

    Nel caso di una rivista come la nostra, si spera sempre in qualcosa del genere. Buoni articoli, buone rubriche, buoni apparati documentari, buone immagini, ma a contare soprattutto dovrebbe essere l’idea complessiva che, al di là dei suoi singoli e vari argomenti, si impone e resta nella memoria e nella riflessione, sfogliandone le pagine. Un esercizio che anche chi si trova impegnato giorno per giorno nel lavoro redazionale, deve fare spesso. Traendone sempre qualche indicazione in più rispetto a quelle che gli era sembrato di avere intenzionalmente messo a fuoco e trasferito nel sommario e nella impaginazione.

    Ci è capitato frequentemente di segnalare come “Technology Review” possa risultare utile non soltanto quale puntuale e preciso osservatorio sull’innovazione scientifica e, più ancora, tecnologica, ma anche quale cartina di tornasole delle tendenze più generali che, sui tempi lunghi dei cicli economici e culturali, caratterizzano gli sviluppi della conoscenza e delle sue più o meno conseguenti implementazioni.

    Per qualche anno si è ovviamente imposto all’attenzione il passaggio dall’hard al soft, dalla macchina materiale alla macchina mentale. Poi – e nella costante accelerazione dei processi innovativi questo poi ci conduce direttamente agli anni più recenti – abbiamo constatato una sintomatica ripresa di interesse per le ricerche (biologiche, mediche, farmacologiche) afferenti al mondo della vita nelle sue diverse e complesse manifestazioni, incluse quelle di carattere sociale e politico, con riferimento ai fenomeni di globalizzazione e alle loro implicazioni per la vita degli individui e delle collettività. 

    Non a caso, si è provveduto allora a riformulare l’articolazione della rivista nei tre settori TECNO, INFO e BIO, più un quarto, non meno significativo, dedicato agli SCENARI, vale a dire al senso ipotizzabile di quanto sta appena e ancora confusamente emergendo sotto i nostri occhi.

    Oggi abbiamo l’impressione che qualche nuova tendenza si stia affermando, anche se appena in nuce: una tendenza che si protrebbe definire “pragmatica”, per sottolineare come abbia a che fare con i problemi concreti, talvolta di non facile soluzione, talvolta con troppe soluzioni a disposizione, non tutte condivise e condivisibili: l’energia, senza dubbio, che costituisce la preoccupazione attualmente più assillante perché chiama in causa scelte difficili a ogni livello della convivenza nazionale e internazionale; ma anche le sempre più frequenti disfunzioni della Rete; e anche i problemi organizzativi e formativi delle strutture produttive e imprenditoriali, che una volta venivano prese a esempio di un fare incisivo ed efficace, mentre oggi sembrano alla ricerca di modelli comportamentali tratti da tradizioni inattese e talvolta disattese. Per finire con quel “male al cuore” in cui, oltre a un rischio reale e purtroppo molto diffuso, si può leggere anche una vibrante metafora delle difficoltà che stiamo attraversando.

    Argomenti non nuovi, certo, anche se nuova appare l’impostazione non “progressista” a oltranza, ma cautamente “problematica”, la crescente consapevolezza che, se prima chiedevamo alla scienza e alla tecnologia di cambiare il mondo, oggi gli chiediamo di aiutarci a conservare il mondo in buona salute: che talvolta significa cambiare responsabilmente e talvolta, altrettanto responsabilmente, non cambiare.

    Resta il fatto – vale la pena di rilevarlo – che, se la speranza e la preoccupazione appartengono al nostro modo di percepire e di giudicare le cose come sono, se scienza e tecnologia ci appaiono volta a volta come uno strumento di cui fidarsi o uno strumento di cui diffidare, di scienza e tecnologia, contro ogni tentazione luddista purtroppo ancora serpeggiante, abbiamo sempre bisogno. Non c’è altro modo che sapere e fare per non ridursi a spettatori passivi del grande teatro del mondo. Non c’è altro modo, perché, anche quando l’orizzonte è nascosto dalle montagne, si possa, guardando vicino, guardare lontano.

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