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    Fermare il covid o salvare l’economia? Possiamo fare entrambe le cose

    Chiudere il paese è anche il modo più rapido per riavviarlo.  

    di David Rotman

    Nel primo rapporto sull’occupazione dopo che le misure di distanziamento sociale avevano preso piede in molti stati degli Stati Uniti, il Dipartimento del Lavoro americano ha annunciato che 3,3 milioni di persone hanno presentato richiesta di disoccupazione. Una settimana dopo, ai primi di aprile, sono arrivate altri 6,6 milioni di richieste, che hanno travolto il precedente record di 695.000, risalente al 1982.

    Per quanto preoccupanti siano questi numeri, minimizzano notevolmente la crisi, dal momento che non tengono conto di molti lavoratori part-time, autonomi e della gig economy che stanno perdendo le fonti del proprio sostentamento. Gli esperti finanziari prevedono che il PIL degli Stati Uniti scenderà dal 30 al 50 per cento in estate.

    Alla fine di marzo, il presidente Donald Trump ha messo in guardia dal pericolo che “la cura sia peggiore del problema stesso” e ha proposto di rimettere in moto il Paese entro Pasqua. Casey Mulligan, economista dell’Università di Chicago ed ex membro del Council of Economic Advisers del presidente, ha avvertito che “una proiezione ottimistica” del costo della chiusura di attività non indispensabili fino a luglio è di quasi 10.000 dollari per famiglia americana e ha dichiarato al “New York Times” che chiudere l’attività economica per rallentare il virus sarebbe più dannoso che non fare nulla.

    La Casa Bianca ha illustrato modelli in cui il contagio, senza forme di controllo, potrebbe provocare fino a 2,2 milioni di decessi in America, in linea con le proiezioni di altri epidemiologi. Trump ha esteso le linee guida sul distanziamento sociale fino alla fine di aprile, ma la sua argomentazione essenziale è rimasta la stessa: nella pandemia di coronavirus si deve seguire un compromesso tra salvare l’economia e salvare la vita umana.

    Gli studi attuali, tuttavia, mostrano che si tratta di una falsa dicotomia. Il modo migliore per limitare il danno economico sarà quello di salvare quante più vite possibili.

    Una nuova recessione

    Parte della difficoltà nell’impostare azioni politiche è che la situazione non ha precedenti nella nostra memoria. “È impossibile sapere come sta cambiando il mondo”, afferma David Autor, economista del lavoro presso il MIT. “Negli ultimi cento anni non abbiamo visto nulla di simile”. In qualsiasi recessione o depressione passata, la soluzione economica è sempre stata quella di stimolare la domanda di lavoro, per risollevare l’occupazione. Ma in questo caso, stiamo intenzionalmente chiudendo l’attività economica e dicendo alle persone di rimanere a casa. “Non è solo la profondità della recessione”, afferma Autor. “È qualitativamente diverso”.

    Una delle maggiori paure è che coloro che sono meno in grado di resistere alla recessione saranno colpiti più duramente: i lavoratori a basso costo nei ristoranti e negli hotel e il numero crescente di persone della gig economy. Negli ultimi due decenni, gli operatori del servizio sono diventati una parte sempre più grande della forza lavoro poiché molti degli uffici di livello intermedio e lavori produttivi precedentemente aperti a persone senza titoli universitari si sono “prosciugati”, afferma Autor. 

    Sono le persone nel settore dei servizi, già poco remunerate e spesso senza protezione sanitaria, a stare in prima fila.
    Le disposizioni incluse nel pacchetto legislativo da 2 trilioni di dollari approvato dal Congresso alla fine di marzo hanno lo scopo di fornire ai lavoratori e alle imprese colpiti i mezzi per resistere alla chiusura e, una volta che il contagio sarà sotto controllo, aiutare a riavviare l’economia. Ogni adulto che guadagna meno di 75.000 dollari ne riceverà 1.200 e, per la prima volta, i lavoratori della gig economy e gli autonomi riceveranno le indennità di disoccupazione.

    Centinaia di miliardi di dollari andranno anche ad aiutare le aziende per consentire loro di rimanere a galla. Ma quasi certamente non sarà sufficiente, specialmente nelle aree più colpite del paese. Città come Las Vegas e Orlando, legate principalmente al turismo, saranno in ginocchio, sostiene Mark Muro, coautore del rapporto del Brooking Institution pubblicato il 17 marzo. Ma qualsiasi regione con una economia di servizi è vulnerabile. Muro sottolinea che molte di queste zone non si sono mai riprese dalla crisi finanziaria del 2008.

    Le persone che hanno perso il posto di lavoro sottopagato nel settore dei servizi erano già esposte a tassi di mortalità alle stelle, provocate da ciò che gli economisti chiamano “morti della disperazione”, causati da alcolismo, abuso di droghe e suicidio. Questa nuova crisi non potrà che peggiorare la situazione.

    Il valore di una vita

    Tuttavia, chiudere le attività è l’unica vera scelta, dato che una pandemia incontrollata sarebbe di per sé enormemente distruttiva per l’attività economica. Se decine di milioni di persone si ammalano e muoiono a milioni, l’economia soffre e non solo perché la forza lavoro si va esaurendo. La paura diffusa fa male alle imprese: i consumatori non torneranno in fretta al ristorante, non prenoteranno viaggi aerei o non spenderanno in attività che potrebbero metterli a rischio di ammalarsi. 

    In un recente sondaggio condotto tra importanti economisti della Booth School di Chicago, l’88 per cento ritiene che una “risposta politica globale dovrà prevedere una contrazione molto ampia nelle attività economiche” per tenere sotto controllo l’epidemia. Circa l’80 per cento pensa che “abbandonare troppo presto le politiche di chiusura” porterà a danni economici ancora maggiori.

    Nel frattempo, qualsiasi misura per rallentare i decessi per virus avrà enormi benefici economici a valle. Michael Greenstone, un economista dell’Università di Chicago, spiega che anche un moderato distanziamento sociale salverà 1,7 milioni di vite umane nel periodo tra il marzo e ottobre, secondo i modelli di diffusione della malattia realizzati all’Imperial College di Londra. 

    Evitare queste morti si traduce in un beneficio di circa 8 trilioni di dollari per l’economia, vale a dire circa un terzo del PIL degli Stati Uniti; la stima si basa su una misura economica ampiamente condivisa, il “valore della vita statistica”. E se l’epidemia è meno grave di quanto previsto dallo studio dell’Imperial College, Greenstone prevede, il distanziamento sociale potrebbe comunque permettere di risparmiare circa 3,6 trilioni di dollari.

    “La nostra scelta non è tra intervenire o tornare alla normale vita economica”, dice Emil Verner, economista della Sloan School del MIT che ha recentemente esaminato la pandemia di influenza del 1918 per valutare quella attuale. “La nostra scelta è se intervenire rispetto a non fare nulla, con la pandemia che va fuori controllo e distrugge del tutto l’economia”.

    Nel complesso, Verner ha scoperto che la pandemia del 1918 ha ridotto la produzione manifatturiera nazionale negli Stati Uniti del 18 per cento, ma le città che avevano attuato restrizioni in precedenza e per più tempo hanno avuto risultati economici di gran lunga migliori nell’anno successivo allo scoppio del contagio.

    Verner indica le sorti di due città in particolare: Cleveland e Filadelfia. Cleveland agì in modo aggressivo, chiudendo le scuole, vietando gli assembramenti all’inizio dell’epidemia e mantenendo le restrizioni in atto per molto più tempo. 
    Filadelfia fu più lenta a reagire e mantenne le restrizioni per circa la metà del tempo. 

    Non solo morirono molte meno persone a Cleveland (600 su 100.000, rispetto alle 900 su 100.000 a Filadelfia), ma la sua economia reagì meglio e l’anno successivo era molto più sviluppata. Nel 1919, a Cleveland, la crescita dell’occupazione si attestò al 5 per cento mentre a Filadelfia non andò oltre il 2 per cento.

    L’economia di oggi è molto diversa: è più orientata verso i servizi e molto meno verso la produzione rispetto a 100 anni fa. Tuttavia, le storie delle due città sono suggestive. Verner afferma che anche un’interpretazione prudente dei dati suggerisce che “non ci sono prove che gli interventi peggiorino lo stato dell’economia”. E molto probabilmente hanno avuto un vantaggio significativo. “Una pandemia è così distruttiva”, egli afferma, “che qualsiasi politica per mitigarla farà bene all’economia”.

    La cura, quindi, non è peggiore della malattia. Ma per ogni giorno in cui la normale attività economica rimane chiusa, un numero enorme di americani non avrà reddito. Molti già vivono mese per mese e potrebbero soccombere alla disperazione. Le famiglie non reggeranno lo stress. Le città colpite duramente si sentiranno abbandonate. L’urgenza di riaprire le attività economiche non farà che crescere.

    Tuttavia, un certo numero di influenti economisti ed esperti di sanità stanno dicendo che c’è un modo per riavviare rapidamente l’America preservando la sicurezza pubblica.

    Far ripartire l’economia

    Paul Romer, economista della New York University e premio Nobel, ritiene di avere una strategia relativamente semplice che “contenga la diffusione del virus e sostenga l’economia”. La chiave, spiega Romer, sta nel fare test a tutti gli asintomatici per identificare chi è infetto (Le persone con sintomi dovrebbero semplicemente essere considerate affette da covid-19 e curate di conseguenza).

    Chi risulta positivo va in isolamento, chi è negativo può tornare a lavorare, viaggiare e socializzare, ma i test andrebbero ripetuti ogni due settimane circa. In caso di negatività, la persona dovrebbe essere dotata di un documento che le permetta di salire su un aereo o entrare liberamente in un ristorante.

    Il test avverrebbe su base volontaria. Romer riconosce che alcuni potrebbero rifiutare l’isolamento se positivi, ma “la maggior parte delle persone farebbe la cosa giusta”, e questo dovrebbe essere sufficiente per eliminare la diffusione del virus. Romer indica nuovi e più rapidi test diagnostici, compresi quelli di Cefeide della Silicon Valley e del gigante farmaceutico Roche. 

    Le apparecchiature di Roche sono in grado di gestire 4.200 test al giorno; con cinquemila macchine si possono testare quotidianamente 20 milioni di persone. Se si riesce a identificare e isolare le persone positive, è possibile lasciare che il resto della popolazione torni al lavoro. In effetti, in un sondaggio di inizio aprile condotto dalla Booth School di Chicago, dice Romer, il 93 per cento degli economisti si è dichiarato d’accordo sul fatto che sia necessario un deciso aumento dei test pe ripartire con l’economia.

    In un documento intitolato National coronavirus response: a roadmap to reopening, l’ex direttore della FDA Scott Gottlieb ha a sua volta sostenuto di accelerare i test e quindi di isolare i contagiati invece di chiudere in casa l’intera popolazione. 

    Allo stesso modo, Ezekiel Emanuel, presidente del dipartimento di etica medica e politica sanitaria dell’Università della Pennsylvania, ha chiesto di aumentare i test in un articolo sul “New York Times” dal titolo We can safe restart the economy in june. Here’s how. Nel frattempo, gli esperti medici di Harvard hanno delineato idee simili in A detailed plan for getting americans back to work.

    Le proposte differiscono nei dettagli, ma tutte ruotano attorno a test diffusi di vario genere per sapere chi è vulnerabile e chi non lo è prima di rischiare di tornare al lavoro. Vi sono, tuttavia, poche prove che presto verranno implementati test su larga scala e a scadenze frequenti. 

    Nonostante la comparsa di nuovi test, lo screening è ancora in gran parte non disponibile per le persone, tranne i malati più gravi o quelli in prima linea medica. I kit di test e le attrezzature per eseguirli sono ancora scarsi. Molti ospedali e medici lamentano di non poter ottenere i test necessari. Il CEO di Roche ha dichiarato a fine marzo che saranno necessari “settimane, se non mesi”, prima che ci siano test diffusi sul coronavirus negli Stati Uniti.

    È il tipo di inerzia che preoccupa Romer. Egli definisce “cure palliative” i 2 trilioni di dollari a sostegno dell’economia approvati dal Congresso. Se si parlasse di 100 miliardi di dollari le cose cambierebbero. Un giorno dovremo riaprire l’economia. Forse saremo in grado di resistere fino a quando la pandemia non si fermerà, o forse la sofferenza economica si dimostrerà intollerabile sia per i responsabili che per quelli che vivono in regioni colpite duramente. 

    Quando verrà quel giorno, se non avremo test diffusi, rimanderemo le persone al lavoro senza sapere se sono a rischio di contrarre il virus o di diffonderlo ad altri. “L’idea che un giorno potremo riavviare l’economia senza test di massa per capire se l’epidemia è sotto controllo è solo una sorta di ‘pensiero magico’”, spiega Romer. 

    La soluzione potrebbe essere un processo graduale: coloro che non sono contagiati o sono immuni potrebbero essere ammessi per primi. Ma senza test non sapremo come gestire questa transizione. In tal caso, rimarremo di fatto paralizzati dallo stesso dilemma di Trump: salvare l’economia o le vite umane?

    Immagine: Francesco Ciccolella

    (rp)

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