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    Economia circolare: l’occasione che l’Italia non può perdere

    L’Italia è al secondo posto nell’UE per numero di occupati nei settori del recupero, del riciclo e del riutilizzo. Un’occasione di sviluppo economico da cogliere

    di Daniele Fattibene – IAI

    La transizione verso un modello di produzione e consumo circolare basato sulla sostenibilità economica, sociale e ambientale rappresenta una delle sfide più importanti e controverse per l’Europa e l’Italia.

    Come recentemente affermato dalla Commissione europea, applicando una serie di misure a supporto dell’economia circolare si potrebbe genererebbe ogni anno un aumento del Pil dell’Unione di circa lo 0.5% fino al 2030, creando circa 700.000 nuovi posti di lavoro. La transizione circolare è destinata a produrre una serie di vantaggi non solo economici ma anche ambientali.

    Un report della Fondazione Ellen Macarthur stima infatti che solo nel caso della plastica un uso circolare di questo materiale possa ridurre dell’80% la quantità di plastiche e micro-plastiche nei nostri oceani, con risparmi fino a 200 miliardi di dollari, una riduzione del 25% delle emissioni di gas serra a livello globale e la creazione di 700.000 posti di lavoro netti fino al 2040.

    Se da una parte l’economia circolare rappresenta una grande occasione, è importante però essere consapevoli che questa transizione produrrà inevitabilmente dei costi ed è quindi fondamentale accompagnare e sostenere coloro – soprattutto le piccole e medie imprese – che rischiano di trovarsi impreparati in questo processo di trasformazione.

    Lo stato dell’economia circolare in Italia: la legge di Bilancio 2020

    In Italia, la vera sfida sarà sfruttare a pieno l’enorme potenziale offerto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). A livello politico e normativo, l’economia circolare è diventata un tema sempre più importante nel nostro paese. L’Italia ha già recepito il Piano d’azione europeo per l’economia circolare, mediante l’emanazione di una serie di decreti legislativi specifici su varie tematiche (ad es. rifiuti, imballaggi, pile ed apparecchiature elettriche ed elettroniche, o veicoli fuori uso).

    Inoltre, secondo un recente rapporto dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) negli ultimi anni gli indicatori compositi relativi a produzione e consumo responsabile sono migliorati in modo significativo, con progressi importanti per l’indice di circolarità della materia e la percentuale di riciclo dei rifiuti, mentre è in costante diminuzione il consumo materiale interno per unità di Pil (-27,5% rispetto al 2010).

    In questo senso, un rapporto pubblicato lo scorso anno da Circular Economy Network ed Enea afferma che l’Italia è la prima nazione in Europa seguita da Francia e Germania per indice di circolarità, un indicatore che misura l’uso efficiente delle risorse in cinque categorie: produzione, consumo, gestione rifiuti, mercato delle materie prime seconde, investimenti e occupazione.

    A livello occupazionale il nostro paese è al secondo posto nell’UE per numero di occupati nei settori del recupero, del riciclo e del riutilizzo, preceduto solo dalla Germania. Il rapporto stima infatti che ci siano più di mezzo milione di persone occupate in quei settori, ossia il 2% della forza lavoro del paese, rispetto ad una media UE dell’1,7%, trend positivo che purtroppo ha subito un calo dell’1% rispetto al 2010. In questo contesto, la legge di Bilancio 2020 ha già incluso alcune iniziative importanti in questa direzione.

    Per esempio, sul piano della produzione responsabile, la Finanziaria introduce la plastic tax a partire dal prossimo 1° luglio, incentiva la riduzione della produzione di rifiuti legati al packaging, promuove l’adozione di sistemi di filtraggio dell’acqua potabile, un sistema di monitoraggio della riduzione del consumo di contenitori in plastica per l’acqua potabile e l’introduzione di incentivi per utilizzatori e consumatori per il vuoto a rendere.

    Sebbene queste misure vadano nella giusta direzione, esse rischiano però di essere poco sistemiche, producendo un generale aumento dei prezzi dei prodotti, senza però trainare il settore produttivo verso una efficace riconversione industriale.

    La sfida del PNRR

    Il PNRR offre un’occasione straordinaria per l’Italia per realizzare questa transizione circolare, con 7 miliardi di euro previsti fino al 2026. Dopo che la Commissione ha presentato gli orientamenti e le linee guida per gli Stati membri, il precedente Governo ha approvato una prima proposta di PNRR che è stata trasmessa al Senato.

    L’economia circolare rappresenta una delle sei missioni del PNRR (intitolata Rivoluzione verde e transizione ecologica) e prevede al suo interno quattro componenti. Di queste le prime tre sono rilevanti per l’economia circolare.

    La prima (“Agricoltura Sostenibile ed Economia Circolare”), cerca di promuovere la sostenibilità ambientale nella filiera dell’agricoltura, il sostegno a progetti innovativi di decarbonizzazione e la transizione verso processi sostenibili e certificati, che adottino i principi del Life Cycle Assessment (LCA) per la valutazione dell’impronta ambientale di prodotti e servizi.

    La seconda (intitolata “Economia circolare e valorizzazione del ciclo integrato dei rifiuti”), si concentra invece sul revamping di istallazioni esistenti e la costruzione di nuovi impianti per la valorizzazione e la chiusura del ciclo dei rifiuti in particolare in grandi aree metropolitane del Centro e Sud Italia.

    Infine, la terza componente (“Progetti di economia circolare per la riconversione di processi industriali”) mira a supportare con interventi a bando la riconversione di industrie (ad es. il settore petrolchimico) verso la sostituzione di materie prime maggiormente inquinanti con materiali da riciclo.

    Per realizzare questi obiettivi, il PNRR prevede una serie di riforme, fra cui la revisione del sistema della fiscalità ambientale, e la definizione di una strategia nazionale in materia di economia circolare da parte del Ministero dell’Ambiente. 

    Un’opportunità irripetibile

    Il nuovo Governo Draghi sarà chiamato a presentare la versione definitiva del PNRR alla Commissione europea entro il 30 aprile. Se da un lato non è ancora chiaro quanto il nuovo PNRR si discosterà dal vecchio, dall’altro appare evidente che la transizione verso un modello economico circolare e sostenibile debba giocare un ruolo primario.

    Il PNRR dovrà contribuire a mobilitare risorse importanti per dare un’accelerata a questa transizione, innovando i modelli di produzione delle imprese e formando i cittadini verso nuove opportunità occupazionali. In questo contesto, nonostante gli importanti sforzi fatti a livello europeo, molti stati membri tra cui l’Italia non hanno ancora sviluppato delle roadmap chiare per trasporre le direttive europee a livello nazionale, mentre mancano delle chiare linee guida operative per adottare dei modelli circolari ed una metrica per monitorare la transizione.

    I decisori politici italiani ed europei sono quindi chiamati a cogliere questa occasione importante. È fondamentale che gli ingenti pacchetti di stanziamenti pubblici varati dai vari paesi del mondo (10 mila miliardi di dollari solo fino all’autunno 2020) intercettino questi cambiamenti e colgano l’opportunità di promuovere uno sviluppo economico che consenta di garantire prosperità all’interno dei confini planetari. I governi europei dovranno non solo indicare una direzione chiara e precisa da percorrere, ma anche investire le risorse necessarie per innescare questa trasformazione radicale, e creare le condizioni per dar vita a delle soluzioni veramente sistemiche.

    In questo senso, la Presidenza italiana del G20 e la co-Presidenza del G7 con il Regno Unito rappresentano delle opportunità irripetibili per plasmare l’agenda politica internazionale e consentire al nostro paese di fare da traino per una transizione basata sui principi della sostenibilità economica, sociale e ambientale e della giustizia inter-generazionale.

    (lo)

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