Israele è stato originariamente elogiato per le modalità della distribuzione del vaccino covid-19 ed è stato salutato come un modello da imitare, ma il quadro che è emerso da allora è molto più complesso.
di Mia Sato
Nel paese, le infezioni da covid-19 hanno raggiunto livelli record e un nuovo lockdown è stato esteso fino alla fine di gennaio. Nel frattempo, dietro i titoli dei giornali ci sono disuguaglianze e disordini politici, con le Nazioni Unite tra coloro che criticano Israele per il rifiuto di condividere i suoi vaccini con circa 4,5 milioni di palestinesi che vivono in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.
“MIT Technology Review” ha intervistato Hadas Ziv, responsabile delle politiche etiche del Physicians for Human Rights-Israel, che ha fatto parte del team di esperti che ha presentato al governo israeliano le raccomandazioni sulla politica dei vaccini covid-19 e ha richiesto la vaccinazione dei prigionieri.
Se un cittadino israeliano vuole vaccinarsi, cosa deve fare?
È molto facile. Gli viene comunicato che è idoneo tramite un SMS oppure può semplicemente accedere al sito dell’operatore sanitario e immediatamente vede se può farlo o meno. Si prende un appuntamento su Internet o tramite telefono. È molto, molto organizzato.
Il vaccino è gratuito? Ci sono stati ostacoli o processi di implementazione confusi?
Il lato positivo di Israele è che abbiamo un sistema sanitario pubblico e tutti i residenti, sono coperti. Quindi, a meno che non si faccia parte di un gruppo specifico, come lavoratori migranti o rifugiati o palestinesi nei territori occupati, si è assicurati e si fa parte del sistema.
Ha riscontrato problemi da parte di chi rifiuta il vaccino?
Penso che, in generale, gli israeliani si fidino dei vaccini. Giravano alcune teorie del complotto nei media, che hanno indotto le persone ad aspettare per vedere cosa succedeva a coloro che si vaccinavano. Ma penso che la paura della malattia sia più grande della paura del vaccino e l’informazione sulla sicurezza del vaccino ha convinto molti.
Abbiamo alcune comunità, come quelle ultraortodosse e arabe, dove si respira un clima di maggiore incertezza. Il sistema sanitario e il governo dovrebbero impegnarsi di più per persuadere e rendere loro accessibili le informazioni in modo che vengano a fare le vaccinazioni.
Israele è stato visto come un modello per il resto del mondo nella rapida distribuzione dei vaccini. Ma i casi sono aumentati e il paese si trova in un altro lockdown. Come mai?
C’è un aspetto positivo e uno negativo nel processo di vaccinazione. Israele si è mosso rapidamente e si è comportato come molti altri paesi occidentali, che hanno privilegiato l’interesse nazionale. Non abbiamo però risolto il problema dell’eterogeneità della popolazione. Ci sono grandi differenze tra le diverse comunità in Israele, con forti limiti della solidarietà sociale.
Per esempio, gli ultraortodossi sono più del 10 per cento della popolazione, ma il 30 per cento dei nuovi casi di covid-19. Se si dice che questa comunità non rispetta il distanziamento sociale o non può farlo, si scatena una discreta rabbia da parte dell’opinione pubblica nei loro confronti. Ciò potrebbe persino aggravare il conflitto sociale all’interno della nostra società. Se si vuole ottenere l’immunità di gregge, si devono raggiungere almeno i due terzi della popolazione. Se non raggiungiamo quelle comunità che ora probabilmente non vorranno vaccinarsi, non raggiungeremo questo numero.
Il governo e la Pfizer hanno concordato di scambiare dati medici con dosi di vaccino. Che significa? Al pubblico sono state fornite informazioni sufficienti sui dettagli di questo accordo?
Abbiamo raggiunto un accordo speciale con Pfizer, ma un terzo non è stato reso pubblico. E’ stata una cattiva idea perché ora non sappiamo quante informazioni vengono date. Se davvero Israele è leader nella vaccinazione della sua popolazione e vuole saperne di più sull’efficacia e sugli effetti negativi, perché non fornire queste informazioni gratuitamente a tutti i ministeri e organizzazioni coinvolte? E’ una sfida globale. Perché rendere Pfizer l’unica destinataria di questa conoscenza? Non lo so.
Cosa sta succedendo adesso con l’accesso ai vaccini per i palestinesi?
Non stiamo vaccinando i palestinesi dei territori occupati. Israeliani e Palestinesi sono in continuo movimento e si incontrano, quindi, non solo dal punto di vista dell’obbligo morale di somministrare loro le vaccinazioni, ma anche per la difesa della salute pubblica, dovremmo farlo. I cittadini e i residenti permanenti di Israele hanno diritto alla vaccinazione in base alla fascia di età. Tuttavia, Israele controlla anche la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Ci sono molte discussioni che si tratti di occupazione o meno, di apartheid o altro, ma abbiamo senza dubbio delle responsabilità.
Se controlliamo quanta acqua hanno i palestinesi, cosa possono portare dentro o fuori da Gaza, abbiamo un enorme influenza sulla loro economia, sul loro sistema sanitario e su, ovviamente, la loro capacità di affrontare le crisi di salute pubblica. Penso che Israele abbia l’obbligo di farsi carico della salute dei palestinesi.
Lei ha preso parte alla lotta per vaccinare le persone nelle carceri. Qual è il pericolo di non vaccinare questa popolazione?
Solo pochi giorni fa, il ministro della pubblica sicurezza, responsabile di tutte le carceri in Israele, ha detto che i prigionieri non saranno vaccinati finché tutte le guardie carcerarie e tutti i cittadini israeliani all’esterno non saranno vaccinate. Il ministero della Salute ha affermato che i prigionieri stessi sono una priorità e nelle carceri i malati cronici e gli anziani dovrebbero essere vaccinati contemporaneamente ai nostri cittadini.
Quindi la questione è arrivata davanti all’Alta Corte di giustizia. [l ministro della Pubblica Sicurezza Amir Ohana ha cambiato idea, ma il danno era già stato fatto. Nel governo ci sono funzionari che possono assumere opinioni irresponsabili e populiste che sono contrarie, non solo alla moralità e all’etica, ma anche agli interessi della salute pubblica.
Tutti sono impressionati dalla gestione della vaccinazione in Israele, ma a guardare il bilancio delle vittime, la sfiducia delle persone e il terzo lockdown, sorgono seri dubbi sulla sua efficacia. Non credo si possa parlare di una storia di successo. Forse nelle vaccinazioni abbiamo buoni risultati. Ma se si guarda al covid-19, come a una sfida sociale e politica, penso che la parola giusta sia fallimento.
Quali sono le lezioni che Israele lancia al resto del mondo?
Avere un sistema sanitario pubblico che assicura tutte le persone. Spero che il nostro governo imparerà la lezione e investirà e finanzierà meglio il nostro sistema sanitario pubblico perché questo ci ha salvato. Sicuramente c’è poco da imparare da Israele sulla solidarietà con i vicini. È una pandemia globale e può essere risolta solo a livello globale. Una distribuzione equa tra tutti i paesi del mondo e una maggiore cooperazione sono fondamentali.
La natura della pandemia cambia costantemente e le sfide si evolvono. Cosa si aspetta dal futuro?
La stabilità dei governi. Israele sta ora preparando la quarta elezione in due anni. La combinazione tra crisi di salute pubblica e una politica è estremamente pericolosa. La fiducia del pubblico nel suo governo è fondamentale se vogliamo far fronte alle pandemie. Non è solo la fiducia della mia gente nel mio governo, è la fiducia delle persone nei governi nel sistema mondiale, perché una volta che si perde questa fiducia, non si gestisce nessuna crisi.
Immagine di: Amir Levy / Getty Images
(rp)