Alcuni documenti, in fase di pubblicazione, non hanno trovato conferme allo studio del team guidato da Jane Greaves dell’Università di Cardiff, che aveva annunciato la scoperta del gas sul pianeta.
di Neel V. Patel
Il rapporto del mese scorso secondo cui potrebbe esserci fosfina gassata nelle nuvole venusiane ha avuto un’immediata implicazione: la possibile vita presenza di vita extraterrestre. Sulla Terra, la fosfina è una sostanza chimica prodotta da alcuni tipi di batteri che vivono in condizioni di scarso ossigeno.
La sua presenza su Venere ha aperto la strada alla possibilità che ci possa essere vita in quello che è stato a lungo considerato uno degli ambienti più inospitali del sistema solare: un pianeta ricoperto da spesse nubi di acqua solforosa acida, con un’atmosfera che contiene il 96 per cento di anidride carbonica e una pressione sulla superficie 100 volte maggiore di quella terrestre. La temperatura, inoltre, raggiunge i 471 °C, ben al di sopra del punto di fusione del piombo.
Dal rapporto iniziale, tuttavia, sono insorti dubbi sulla scoperta. Tre diversi documenti di preprint (nessuno dei quali è stato pubblicato in una rivista peer-reviewed, anche se uno è stato accettato) non sono stati in grado di replicare la presenza delle stesse prove di fosfina su Venere.
Tuttavia, lo studio che riportava i risultati iniziali è solido. I rilevamenti originali sono stati annunciati dopo che Greaves e il suo team hanno riscontrato segnali di fosfina nelle letture da infrarossi a microonde dell’atmosfera venusiana effettuate con il James Clerk Maxwell Telescope (JCMT) alle Hawaii e l’Atacama Large Millimeter / submillimeter Array (ALMA) in Cile.
“Gli autori sono stati molto chiari. Hanno fatto un lavoro fantastico dicendo che non hanno trovato la vita, ma che hanno trovato qualcosa associato alla vita sulla Terra che non possono spiegare su Venere”, dice Stephanie Olson, una scienziata planetaria della Purdue University che non è stata coinvolta in nessuno di questi studi. Il team è arrivato al punto di pubblicare un articolo sulla rivista “Astrobiology”, che indaga e esclude cause naturali note della presenza di fosfina su Venere.
Alla ricerca di conferme
La verità è che la storia della presunta fosfina di Venere non è un semplice caso di una scoperta sensazionale che viene smentito dopo un ulteriore esame. La scienza, ora, sta facendo il suo dovere, come è giusto che sia quando si tratta di affermazioni relative alla vita extraterrestre. “Penso che questo sia un perfetto esempio di come funziona il processo scientifico”, dice Paul Byrne, uno scienziato planetario presso la North Carolina State University. “E’ normale che ci siano studi di conferma”.
Il primo documento in prestampa a mettere in dubbio l’originale è stato effettivamente scritto in parte dalla stessa Greaves. Dopo non essere riuscita a garantire più tempo ai telescopi per verificare la scoperta iniziale del suo team – la pandemia ha reso difficile e in alcuni casi impossibile l’accesso al telescopio – lei e i suoi colleghi si sono rivolti a un archivio di osservazioni a infrarossi fatte nel 2015 e non sono riusciti a trovare alcun segno di fosfina.
Come dice Byrne, “l’assenza di nuove prove del rilevamento non ne certifica l’assenza. Potrebbe semplicemente significare che il problema è più complesso di quanto si pensi”. Forse la fosfina in realtà non esiste su Venere, o forse varia nel tempo, o forse le osservazioni d’archivio analizzate da Greaves non sono state sufficientemente approfondite nelle nuvole.
La replicabilità è in realtà un problema comune quando si tratta di questo tipo di indagini. La presenza del metano su Marte, per esempio, è oggetto di un intenso dibattito: il rover Curiosity della NASA ha rilevato enormi picchi di metano sul pianeta, mentre il Trace Gas Orbiter dell’ESA, progettato per studiare il gas su Marte con strumenti molto più sensibili di Curiosity, non ha trovato nulla. Lo stesso vale per i pennacchi d’acqua su Europa registrati dal telescopio spaziale Hubble: le indagini successive hanno stentato a trovarli.
Dati ancora in elaborazione
Un altro problema che affligge i risultati della fosfina è l’elaborazione dei dati. Gli altri due documenti sono stati scritti da team che hanno cercato di rielaborare i dati originali utilizzati da Greaves e dal suo team, sospettando che l’analisi originale fosse difettosa. Spesso è una sfida estrarre i segnali dalle enormi quantità di rumore trovate nei dati telescopici.
I ricercatori dello studio originale hanno utilizzato una tecnica chiamata adattamento polinomiale, che dovrebbe rimuovere il rumore di fondo intorno alla regione spettrale in cui dovrebbero apparire i segnali di fosfina. Ma, come riporta il “National Geographic“, il modo in cui hanno proceduto potrebbe effettivamente aver introdotto falsi indizi di fosfina.
Entrambi le ricerche hanno rielaborato i dati da zero, senza utilizzare il metodo di Greaves. Una si è concentrata esclusivamente sui dati di ALMA e non è riuscita a trovare la fosfina. L’altra ha esaminato i dati di ALMA e JCMT. I ricercatori hanno solo rilevato un segnale nel set JCMT che potrebbe essere spiegato dalla presenza di anidride solforosa.
Inoltre, l’osservatorio ALMA ha recentemente riscontrato un errore nel suo sistema di calibrazione utilizzato per raccogliere i dati su cui Greaves e il suo team hanno lavorato. Ciò non significa che siano arrivati a conclusioni sbagliate. “Anche se i dati di ALMA non sono affidabili, è comunque necessario stabilire se i dati di JCMT siano corretti o meno”, affema Byrne.
“Non esiste una ricetta ufficiale o un insieme di regole su come si procede nello studio delle firme biologiche”, afferma Olson. In effetti, molti progressi della scienza derivano dal fatto che gruppi diversi affrontano i problemi in modo diverso, rivelando indizi che altri non hanno notato. La chiave è la trasparenza. “Qualunque sia il metodo utilizzato, è importante che sia ben documentato e accessibile, come nel caso della ricerca di Greaves e dei successivi tre documenti di verifica”, afferma Byrne. I disaccordi vanno bene fintanto che possono essere discussi apertamente. La buona scienza funziona così.
La post verifica
Se i ricercatori dovessero anche raggiungere un consenso sul fatto che la fosfina esiste su Venere, ciò non significa che ci sia vita sul pianeta. “La fosfina è sicuramente una potenziale firma biologica, ma non è solo questo”, afferma Byrne. La fosfina è prodotta sulla Terra da batteri che vivono nelle acque reflue, nelle paludi, nelle risaie e negli intestini di animali, ma sappiamo che si ritrova anche in alcune applicazioni industriali e su pianeti gassosi come Saturno e Giove, dove si pensa che la vita non possa sopravvivere. Per quanto riguarda quello che sta succedendo nel caso di Venere, non sappiamo abbastanza del pianeta per escludere totalmente una strana chimica che non abbiamo mai visto prima.
Lo stesso vale per altre potenziali firme biologiche che abbiamo scoperto nel sistema solare. “Non riesco a pensare a un singolo composto che possiamo facilmente misurare che indicherebbe esclusivamente la vita”, dice Byrne. Il metano è prodotto da molti tipi di batteri sulla Terra (compresi quelli che vivono nei bovini), ma è anche vomitato dai vulcani. L’ossigeno respirabile è stato creato dai primi cianobatteri della Terra, ma strane reazioni che coinvolgono la luce solare e un minerale chiamato biossido di titanio lo producono anche su altri mondi.
Nel caso di Venere, “sarà un dibattito che avremo negli anni a venire”, dice Olson. E questo perché nessun singolo indizio può essere una prova concreta di vita a meno che non inviamo una missione per fare osservazioni dirette.
(rp)