Seguici
Iscriviti alla nostra newsletter

    Dopodomani non è un altro giorno

    A differenza della vecchia futurologia, animata dalla nostalgia o dalla speranza, le odierne prospezioni tecnologiche nascono all’insegna di una virtuale attualità, che impone realismo e senso di responsabilità.

    di Gian Piero Jacobelli 

    Negli ultimi mesi si sono moltiplicati gli interventi e sui giornali italiani di Carlo Ratti, architetto e ingegnere, docente presso il MIT di Boston, dove dirige il MIT Senseable City Lab, una think tank che esplora il rapporto tra le nuove tecnologie e le forme dell’abitare, intese come sistemi di convivenza e come visioni del mondo.

    Anche oggi, ultimo giorno di un luglio caldo e afoso quant’altri mai, il quotidiano “Il Giorno” intervista Ratti, uno degli italiani più conosciuti e rappresentativi nel mondo, il quale, nel prospettare alcuni fattori innovativi che incideranno maggiormente sulla nostra vita quotidiana, sottolinea come non di futurologia si tratti, ma di sviluppi tecnologici già presenti a livello più o meno avanzato nelle correnti “sperimentazioni” di mercato. 

    In altre parole, a parte le crescenti connessioni tra tecnologie della comunicazione e tecnologie della mobilità, nelle loro molteplici proiezioni architettoniche e urbanistiche, Ratti pone l’accento su un concetto di progettazione che, in un orizzonte interdisciplinare, si correda di un significativo interesse non tanto per il domani, quanto per l’oggi, per le tante opportunità tecnologiche già presenti intorno a noi, nelle sempre più connesse dimensioni della casa e del mondo.

    Per chi, come il sottoscritto, ha esordito nella saggistica proprio con la futurologia, in due riviste “storiche” come “Civiltà delle Macchine” del Gruppo IRI e “Futuribili” di Pietro Ferraro, imprenditore ed economista di vaglia, questo invito a pensare il futuro in funzione del presente rievoca quanto profeticamente scriveva oltre cinquant’anni fa Robert Jungk in Il futuro è già cominciato: non tanto un futuro prospettato eutopicamente o distopicamente, non un futuro comunque “utopistico”, ma un futuro “ucronistico”, come scrivevo allora, sottratto al tempo, proprio perché immerso nel qui e ora di una contemporaneità rischiosa, ma coinvolgente e operosa.

    Evidentemente, il problema del futuro e in particolare della esigenza di evitare sia le nebbie genealogiche, di una presunta origine, sia quelle escatologiche, di una altrettanto presunta finalità, si rivela come un problema tanto conoscitivo, quanto etico.

    Non a caso anche Papa Francesco, nella sua incessante creatività “giornalistica”, dopo avere sottolineato come persino Giovanni il Battista, il “profeta che proclamò il Messia” non fosse “esente da dubbi”, in una delle sue omelie settimanali a Casa Santa Maria, ha parlato di una sorprendente “logica del dopodomani”, la logica “nella quale entra la carne”, la consapevolezza “di ciò che siamo, di ciò che vogliamo”, per capovolgere il celeberrimo verso montaliano.

    Traiamo citazione e commento da una recentissima raccolta (Santa Marta. Omelie, Libreria Editrice Vaticana, 2017) di quelle omelie, scelte e commentate da Gianpiero Gamaleri, sociologo della comunicazione, studioso eminente di Marshall McLuhan, ma anche degli odierni “carismi” mediatici.

    Il “dopodomani” è quel domani considerato e valutato, manzonianamente, cum juicio, come qualcosa che è già presente, ma che, al tempo stesso, va tenuto un poco a distanza, proprio per poterlo meglio considerare e valutare. Insomma, il domani sarà pure un altro giorno, come voleva Rossella O’Hara, ma il dopodomani può essere l’oggi riveduto e, se possibile, corretto.

    Related Posts
    Total
    0
    Share