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    Dal tempo ai luoghi del sapere

    Primi tra tutti, la scuola e l’universita’, luoghi di naturale interfaccia tra locale e glogale, punti di snodo strategico fra i saperi dei territori e quelli del mondo e dell’Europa.

    di Mario Morcellini e Valentina Martino

    Sapere, territorio, sviluppo: questi i termini di un legame virtuoso che il paese à chiamato urgentemente a rilanciare sul terreno della competitività e dellàinnovazione, a partire da una convinta valorizzazione della filiera formativa e, in particolare, da una sua pià spiccata integrazione in senso sia orizzontale (quella fra scuola e università), sia verticale rispetto, cioà, ad altri settori centrali nella vita pubblica (lavoro, cultura, autonomie territoriali eccetera). La convergenza di valori non solo economici, ma anzitutto culturali e civici sulla conoscenza e sul sapere à investimenti, per definizione, a elevato tasso di rischio e redditività differita nel tempo à da una parte, impone di lasciarsi alle spalle chiavi di lettura banalmente mistificanti e riduttive della reale portata dei cambiamenti, fra cui quella aziendalista; dallàaltra, esige una pià convinta capacità di autocritica e di ascolto da parte degli stessi decisori pubblici. Di fatto, la scommessa italiana dovrà essere anzitutto quella di sintonizzare i tempi concitati di un sistema politico sempre pià incapace di àparlare al futuroà, alle prospettive – di per sà complesse e di ampio respiro strategico – dello sviluppo e dellàinnovazione.

    Un nuovo libro di Andrea Ranieri (I luoghi del sapere. Idee e proposte per una politica della conoscenza, Donzelli, Roma 2006) insiste sul fatto che le fonti della prosperità di una nazione rimandano ormai a dimensioni immateriali: la diffusione della conoscenza àpregiataà, làinnovazione tecnologica e i brevetti, la competitività sui mercati globali. à ormai chiaro che tutto questo ha bisogno di una diversa capacità di governare il cambiamento e mettere in circolo la conoscenza nella società italiana. Del resto, come abbiamo già avuto modo di sostenere proprio su questa rivista, se la politica à il domani, le istituzioni del sapere rappresentano di per sà il àdopodomanià della nostra società. A proposito, il libro di Ranieri sembrerebbe insinuare una promettente provocazione: trovare un punto, nel futuro, dove farli incontrare. Nella sua incisiva brevità e a partire da un sottotitolo programmatico, il libro punta a formulare (e stimolare) idee e proposte per la costruzione di uno spazio pubblico del sapere ànon statalista e non puramente affidato a meccanismi di mercatoà nellàItalia contemporanea: unàanalisi tesa a censire rischi e opportunità del cammino che il sistema-paese à oggi chiamato a intraprendere sul terreno della formazione e della ricerca. à un pensiero denso, quello di Andrea Ranieri, che dialoga con i àclassicià del pensiero sociologico e filosofico contemporaneo à in ordine di menzione, Bauman, Castells, Bourdieu, Morin, Baudrillard, Sen, Florida à innestando sullàampiezza di questo scenario interpretativo una coinvolgente riflessione sui temi-chiave: le molteplici implicazioni culturali, socio-economiche e politiche del sapere contemporaneo; il ruolo e le potenzialità della scuola e dellàuniversità nel sistema-paese, a partire dalle specificità e dalle storiche àanomalieà del caso italiano; ma anche, non ultimo, il nuovo stile di governo che le specificità delle infrastrutture del sapere finiscono per imporre agli stessi decisori politici.

    Ed à proprio in questa chiave che diventa oggi sempre pià determinante il ruolo dei àluoghi del sapereà, primi fra tutti, la scuola e làuniversità: quello di naturale interfaccia fra locale e globale, punti di snodo strategico fra i saperi dei territori, da una parte, e quelli del mondo e dellàEuropa, dallàaltro. Il territorio, dunque, come principale fonte del àcapitale socialeà delle istituzioni formative e piattaforma strategica su cui potrà giocarsi à grazie a un rinnovato spirito di concertazione à la scommessa pià importante: quella di armonizzare il sistema di valori dominante e la cultura delle nuove classi dirigenti con il radicale cambio di velocità che il sapere e la conoscenza hanno finito ormai per innescare nel mondo contemporaneo. Valori che chiedono al paese di rifondare su tempi e pensieri lunghi la progettazione di se stesso e del proprio futuro; mentre sappiamo, di converso, che non ci sono segnali pià eloquenti del declino di una società – e delle sue classi dirigenti à dellàincapacità di immaginare il proprio domani e, in particolare, dellàincuria per il futuro delle nuove generazioni, a partire dalla scelta consapevole di investire su politiche della conoscenza avanzate e moderne.

    à in questi termini che la lucida analisi di Andrea Ranieri argomenta, senza retorica, quella che à la crescente centralità del sapere nel mondo contemporaneo, e cioà la debordante verità di quel àluogo comuneà ormai noto come società della conoscenza: un valore strategico per i singoli e per la collettività, che invita a riflettere sulle stesse categorie interpretative di una specifica economia e politica della conoscenza. E non mancano naturalmente, da parte dellàautore, spunti concreti per un rilancio dei compiti che spettano alla scuola e allàuniversità: dalla riforma dei comitati regionali di coordinamento, alla piena valorizzazione della formazione come diritto di cittadinanza e fonte della coesione sociale, alla costruzione di un sistema moderno e pià universalmente inclusivo (anche in unàottica inter-generazionale) di life-long learning, fino allàormai improcrastinabile necessità di riformulare – in termini, di fatto, pià realistici e pià sistemici – la mutata mission delle nostre istituzioni formative.

    Una riflessione assai promettente e ricca di buoni auspici per quelli che potranno essere i passi avanti dellàattuale legislatura sul terreno dellàinnovazione e del radicamento delle reti della conoscenza nella nostro paese. Contro il declino della società italiana, à ormai giunto il momento di rinnovare la consapevolezza del valore strategico della formazione e della ricerca, lanciando un deciso messaggio di cambiamento al paese. A nostro avviso, occorre anzitutto il coraggio di ammettere che oggi in Italia si tende a non valorizzare a sufficienza làimportanza del sapere e della scienza, con molte responsabilità da parte delle nostre istituzioni e degli stessi centri del sapere – primi fra tutti gli atenei – nel rendere percepibile il valore della ricerca, della formazione continua e, pià in generale, della cultura; nel promuovere su questi punti un dialogo serrato con il paese e tutti i àportatori di interesseà.

    Non a caso, à una parafrasi di Amartya Sen a riassumere con espressività il senso dellàopera: àil sapere riesce ad essere il pià potente mezzo per lo sviluppo [à] solo se à assunto come il fine dello sviluppo stessoà. Questo il messaggio, carico di responsabilità e di scelta, che il libro rilancia alle classi dirigenti di oggi e di domani.

    Emergenza iscrizioni per le facoltà scientifiche

    Ogni nuovo Anno Accademico costituisce una occasione per valutare le tendenze culturali e formative del paese. Questàanno, làappuntamento con le immatricolazioni ha rilanciato vive preoccupazioni sul futuro degli studi tecnico-scientifici nel nostro paese.

    A fronte della crisi di appeal di facoltà come Matematica, Fisica e Scienze Naturali, fra i giovani prevalgono altre preferenze: le facoltà umanistiche e, fra quelle pià àgettonateà, Scienze della Comunicazione, spesso bersagliate come principale capo espiatorio di una presunta svalutazione degli studi universitari. Anzi, la polemica contro le iscrizioni a questi curricula (che, stranamente, non à mai stata altrettanto aggressiva nei confronti di discipline umanistiche caratterizzate da ben pià gravi problemi di placement) à forse la prova pià lampante dellàincomprensione della diffusa domanda formativa espressa dai giovani.

    Diversamente, per le facoltà scientifiche à vera e propria àemergenza iscrizionià: un trend che minaccia lo svuotamento delle aule universitarie e làinaridimento di interi rami del sapere, e a cui molti atenei hanno già risposto praticando discutibili politiche di sconto sulle tasse di iscrizione. Tuttavia, à evidente che promozioni e formule di puro incentivo economico non possono bastare, da sole, a fronteggiare le contraddizioni e le dissonanze culturali di fondo: prime fra tutte, le responsabilità della scuola, soprattutto superiore, troppo spesso incapace di coltivare làinteresse verso le scienze e solide competenze di base per il proseguimento degli studi. Ma anche quella che, rispetto al resto dàEuropa, appare una scarsa valorizzazione professionale dei saperi scientifici nel mondo della ricerca e delle imprese, a fronte a una debole propensione pubblica e privata – oramai ampiamente documentata à a potenziate làinvestimento di risorse in Ricerca & Sviluppo.

    Di fatto, làindebolimento della àfilieraà del valore nei settori tecnico-scientifici (quegli stessi oggi fondamentali per làinnovazione e la competitività internazionale) minaccia il pluralismo dei saperi nella nostra cultura. à una questione molto seria, anche per le sue stesse proporzioni. Ma, proprio per questo, sarebbe solo una caricatura imputare tutto cià solo al facile successo di nuove àmodeà formative o, ancor peggio, a un generale conformismo delle nuove generazioni. Il problema non à quello di fermare le comprensibili propensioni individuali, ma di comprendere quali fattori le promuovono (formativi, comunicativi, relazionali) per sforzarsi di proiettare tali favori anche su quei saperi che diventano indispensabili a una equilibrata crescita economica e culturale.

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