Dopo una serie di clamorosi fallimenti, la lotta per la sopravvivenza delle start up nel settore delle energie rinnovabili si fa più intensa.
di David Rotman
Il programma di incentivi del Ministero dell’Energia (DOE) Americano, fulcro dello sforzo del governo per aiutare l’industrializzazione e la commercializzare delle nuove tecnologie per la produzione di energia, è in crisi.
La sua reputazione è stata distrutta dal fallimento di Solyndra, un’azienda fotovoltaica di Silicon Valley che ha dichiarato bancarotta lo scorso settembre, dopo aver ricevuto, nel 2009, la garanzia per un prestito di 535 milioni di Dollari.
Un altro destinatario di un prestito da parte del DOE per 43 milioni dollari nel mese di agosto del 2010, Power Beacon, è andato in bancarotta alla fine dell’anno scorso. E un certo numero di start-up di altre fonti energetiche che hanno ricevuto rilevanti prestiti federali sembra essere in difficoltà finanziarie.
Lo scorso febbraio, Abound Solar, una società del Colorado che ha ricevuto una garanzia per 400 milioni di Dollari, ha annunciato che stava chiudendo la sua produzione iniziale e licenziando 180 lavoratori.
La conseguenza di queste difficoltà è stata che poche start-up in questi giorni includono contributi del DOE nei loro piani aziendali.
Le ragioni della crisi del programma sono numerose. Le complessità burocratiche e logistiche nel distribuire in modo rapido e intelligente 35 miliardi di Dollari per tecnologie energetiche pulite “innovative e avanzate”, erano, almeno in retrospettiva, prevedibili.
Le difficoltà del programma di prestiti del DOE riflettono però un problema più grande e più fondamentale: l’energia è un settore di prodotti altamente competitivo dominato da società consolidate, dove le infrastrutture e la commercializzazione di nuove tecnologie energetiche richiede molto più di una infusione di denaro. Industrializzare innovazioni nella produzione di energia richiede anche un eccezionale acume negli affari, nell’ingegneria e nel capire i mercati.
Infatti, Solyndra è un caso di studio quasi perfetto Ha speso troppo e troppo in fretta.
Oltre ai 535 milioni dollari dal DOE, la società ha raccolto oltre 1,2 miliardi dollari da investitori privati, tra cui alcune delle più importanti aziende di venture capital.
Ciò che a Solyndra è mancato, però, era esperienza di mercato e flessibilità produttiva.
Sebbene la società avesse subito attraversato quello che gli imprenditori della Silicon Valley chiamano “la valle della morte” (ovvero il periodo tra la raccolta di un finanziamento iniziale di rischio e l’inizio dei ricavi) ha però esitato ad avviare una valida politica commerciale di lungo termine. Se c’è una lezione dalla debacle di Solyndra, questa ha a che fare con cercare di fare troppo, troppo in fretta e di farlo da soli.
L’epoca in cui una società come Solyndra poteva mettere insieme più di un miliardo di Dollari in finanziamenti, attraverso una combinazione di venture capital, prestiti e finanziamenti governativi, è chiaramente finita. Le Start-up di oggi devono affrontare la sfida sempre più difficile di raccogliere le ingenti somme necessarie per industrializzare le loro tecnologie, sapendo bene che il tentativo di farlo da sole è rischioso.
Trovare il modo per superare questo problema è particolarmente importante, perché una nuova generazione di aziende per l’energia pulita, (molte inizialmente finanziate durante il boom di investimenti in “clean-tech” dal 2005 al 2008) sono pronte ad avviare l’industrializzazione. Con i “venture capitalists” che hanno perso il loro appetito per il rischio elevato dell’energia pulita, come possono sopravvivere queste start up?
Per molte di loro la soluzione è quella di trovare opportunità per cooperare con grandi aziende nel settore dell’energia al fine di garantirsi l’accesso a mercati e a competenze ingegneristiche.
Questa strategia è un riconoscimento che il modello del venture capital è poco adatto alla creazione di imprese del settore energetico.
La maggior parte dei fondi di venture capital, infatti, cerca di investire non più di 20-30 milioni di Dollari in una società, e al fine di realizzare un profitto ha bisogno di un “exit strategy”, sia vendendo la società o collocandola in borsa con un’offerta pubblica (OPA), entro 10 anni.
“Questo modello di investimento è molto specifico”, dice Ramana Nanda, professore presso la Harvard Business School, “che funziona bene in settori quali i social networks, o le società internet in generale, dove le start-up, in genere, richiedono un piccolo capitale e raramente molto tempo per avere successo o fallire”.
Al contrario, la creazione di una società di successo nell’energia ha bisogno di grandi quantità di capitali e può richiedere decenni.
UNA PAROLA: BIOTECH
Una maggiore collaborazione tra le piccole imprese e le grandi aziende ha un senso evidente. Le imprese energetiche e manifatturiere hanno l’esperienza ingegneristica e di mercato, mentre le grandi imprese spesso non hanno spirito imprenditoriale e la creatività per inventare tecnologie veramente innovative.
Il successo di molte aziende “biotech” negli ultimi due decenni, suggerisce come tali collaborazioni siano in grado di funzionare. Come le aziende nel settore dell’energia pulita, le start-up biotech affrontano un processo di commercializzazione lungo e costoso per i loro prodotti.
Ma molte di queste aziende hanno preferito evitare questo processo facendo di se stessi “bersagli allettanti’ per le grandi aziende farmaceutiche. L’acquisizione di start-up da parte di aziende farmaceutiche, disperatamente alla ricerca di nuove tecnologie innovative, ha alimentato gran parte della crescita del settore biotech.
Così facendo, hanno offerto ai venture capitalists un modo redditizio per recuperare i loro investimenti molto prima che le aziende nascenti avessero a che fare con le spese e le difficoltà di industrializzare o commercializzare le loro tecnologie. A loro volta, queste “uscite lucrative” per gli investitori di venture capital, hanno fornito forti incentivi a investire nel prossimo ciclo di aziende al primo stadio. “E’ un circolo virtuoso,” dice Nanda.
Il circolo virtuoso nel settore biotech ha però richiesto anni per svilupparsi, e questo per le tecnologie dell’energia pulita non è ancora partito.
Forse la differenza più notevole è che l’energia, a differenza di nuovi farmaci, è una merce in un settore maturo, e i prodotti delle nuove tecnologie in generale competere sul prezzo. Il valore di molte tecnologie di energia pulita, come ad esempio nuovi tipi di batterie o celle solari, sta nel fatto che possano fornire energia a costi più bassi, e dimostrare che ciò è vero prima di aver realizzato impianti su scala industriale non è possibile in tempi brevi.
Spesso ci vogliono anni di test in costosi grandi impianti dimostrativi. Così, mentre le aziende farmaceutiche possono pagare cifre molto alte per acquisire una start up, nella speranza di offrire finalmente un farmaco nuovo dove il prezzo non è il fattore limitante se l’innovazione è reale, le aziende energetiche non hanno alcun incentivo di questo tipo.
William Banholzer, vice presidente esecutivo di Dow Chemical e “chief technology officer”, dice: “Le Startup hanno spesso aspettative poco realistiche su ciò che noi pagheremo. Non capiscono quanto lavoro ci vuole per commercializzare il loro prodotto. Stiamo parlando di tempi che sono in genere decenni, non mesi, non anni”.
Tuttavia, un certo numero di produttori, tra cui Dow, è disposto a investire in start-up nelle energie pulite per ampliare il loro portafoglio di tecnologie emergenti.
GE, per esempio, ha assunto partecipazioni di minoranza in una serie di start-up nel corso degli ultimi cinque anni.
Gli investimenti, dice Mark Little, vice presidente senior e “chief technology officer” di GE, sono pensati sia per guadagnare, che per fornire “una finestra sulle tecnologie interessanti”.
GE vuole esplorare la fattibilità e l’impatto potenziale di una vasta gamma di progetti . Investe 4,6 miliardi dollari all’anno per conto proprio in R&D, ma secondo Little acquisire la conoscenza delle tecnologie al di fuori è un sistema altrettanto valido.
Vi sono segnali che alcune start-up nel settore energia stanno concentrandosi più nettamente sulle loro innovazioni fondamentali e cercando di rendersi partner sempre più interessanti per le grandi imprese.
MODELLO IN EVOLUZIONE
A una rapida occhiata, la società Stion ha molte cose in comune con Solyndra.
Entrambe sono state fondate a metà degli anni 2000 e sono state appoggiate da alcuni dei più importanti investitori della Silicon Valley. E come Solyndra, anche Stion ha tentato di produrre celle fotovoltaiche sulla base di seleniuro di indio rame gallio (CIGS), sperando che la tecnologia nascente sia più efficiente delle altre. Ma mentre Solyndra si è precipitata a industrializzare su grande scala la sua tecnologia, Stion ha scelto un percorso molto più prudente. Il suo primo impianto produttivo di considerevoli dimensioni è entrato in funzione solo lo scorso settembre, proprio quando Solyndra stava chiudendo i battenti.
Forse la cosa più importante è che, mentre Solyndra è andata avanti da sola, Stion ha stretto accordi con due produttori asiatici. TSMC, il più grande produttore (foundry) di semiconduttori al mondo, e Avaco, un produttore sudcoreano di attrezzature per la produzione di schermi piatti, hanno investito nella società. Non solo la collaborazione fornirà a Stion capitali ma aiuterà anche l’ingegneria e know-how produttivo. TSMC e Avaco avranno accesso alle innovazioni di Stion nei materiali e nella progettazione delle celle solari.
“Le start-up nel settore dell’energia che ce la fanno sono quelle in grado di creare partenariati significativi con grandi aziende”, afferma Jim Matheson, un general partner di Flagship Ventures. Matheson è il regista di Mascoma, una società che per anni ha cercato di raccogliere i fondi per un impianto su scala commerciale dove produrre biocarburanti dalla cellulosa, con un nuovo processo per trasformare la biomassa in etanolo.
Alla fine dell’anno scorso ha firmato un accordo con Valero Energy, società petrolifera di grandi dimensioni e produttrice di etanolo, che fornirà la maggior parte del finanziamento di 232 milioni dollari necessario alla realizzazione di un impianto a Kinross, Michigan, per produrre etanolo cellulosico, e aiuterà a gestire l’impianto.
Tali operazioni stanno contribuendo a un modello in evoluzione per il venture-backed start-up energetico. “Abbiamo saputo investire in start-up Internet. Sappiamo come investire nel biotech, ma quanto a energia, dobbiamo tutti ancora trovare la nostra strada”, dice Hemant Taneja, amministratore delegato di General Catalyst, che sta investendo in Mascoma e Stion.
In un certo senso, questo significa rinunciare al desiderio di Silicon Valley, un tempo molto pubblicizzato, di reinventare l’industria energetica e insidiare la posizione consolidata delle imprese già insediate. Si tratta però di una ambizione senza possibilità di realizzazione. Gli investitori in venture capital e start-up devono riconoscere quanto tempo e denaro siano necessari per affermare tecnologie veramente innovative di energia pulita, e stanno rendendosi conto del valore nel lavorare a stretto contatto con le grandi imprese che dominano il settore e lo domineranno nel prossimo futuro.
David Rotman è direttore Technology Review.