Un gruppo di ricercatori ricorre a un nuovo processo elettrochimico per produrre nanotubi in carbonio dall’anidride carbonica presente nell’aria e migliorare le prestazioni delle batterie.
di MIT Technology Review
Sono pochi gli incentivi per la cattura dell’anidride carbonica dalle ciminiere delle centrali elettriche o dall’aria stessa, ma alcuni ricercatori della George Washington University e della Vanderbilt University potrebbero aver trovato una valida ragione per farlo: il gas potrebbe essere adoperato per produrre materiali per batterie ad alte prestazioni.
Non solo il processo è più economico rispetto alle attuali tecniche per la produzione di nanotubi in carbonio su larga scala, dicono, a potrebbe rivelarsi un’arma contro il cambiamento climatico. La cattura e il sequestro di anidride carbonica è un processo costoso che non è ancora stato dimostrato sulla scala necessaria per ridurre significativamente le emissioni. L’implementazione della tecnologia CCS per la cattura e il sequestro dell’anidride carbonica è ampiamente in ritardo se ci si aspetta che giochi il ruolo immaginato dai governi con il recente accordo climatico di Parigi. In assenza di norme ambientali come un sistema di cap-and-trade o una carbon tax, le economie di scala non possono funzionare.
Le cose potrebbero cambiare se il gas potesse essere trasformato in un prodotto di valore. Alcuni ricercatori avevano già sviluppato metodi per utilizzare l’anidride carbonica e produrre combustibili liquidi come il metanolo, ma questi prodotti hanno sempre conservato un valore relativamente basso. Tenuto conto del costo delle batterie odierne, spiega Stuart Licht, un professore di chimica della George Washington, il nuovo metodo aumenterebbe di sei volte il valore di un chilo di anidride carbonica non trattata rispetto alla stessa quantità convertita in metanolo.
La sostituzione dei comuni anodi in grafite con nanotubi in carbonio può potenziare la capacità di accumulo delle batterie avanzate. In un test dimostrativo in laboratorio, Licht e i suoi colleghi hanno mostrato che i nanotubi realizzati con questo loro processo miglioravano leggermente la capacità di piccole batterie agli ioni di litio e quasi quadruplicavano quella delle batterie agli ioni di sodio, una tecnologia di accumulo emergente.
Il risultato è dovuto a un fondamentale processo che Licht ha presentato lo scorso anno e che si basa sull’interazione fra carbonato di litio fuso e l’ossido di litio. L’ossido di litio, dissolto nel carbonato di litio, si combina con l’anidride carbonica per produrre per produrre altro carbonato di litio. Applicando una corrente fra due elettrodi immersi nel carbonato di litio fuso, una reazione elettrochimica produce ossigeno e nanofibre di carbonio puro.
L’energia deriva da un sistema, sviluppato da Licht per l’energia solare concentrata, che sfrutta sia la luce solare a infrarossi che quella visibile.
In questo caso il gruppo di ricerca, guidato da Licht e da Cary Pint, un professore di ingegneria meccanica della Vanderbilt, ha dimostrato un maggiore controllo sul processo. Regolando diversi parametri, il gruppo ha saputo produrre nanotubi in carbonio “fatti su misura” per essere utilizzati come anodi nelle batterie agli ioni di litio e in quelle agli ioni di sodio. Nei test in laboratorio, le batterie contenenti i nuovi anodi sono rimaste stabili durante svariati cicli di ricarica.
Licht ha anche proposto un design per introdurre il sistema all’interno di una centrale a gas naturale, dove catturerebbe grandi quantità di anidride carbonica per poi convertirla in nanotubi di carbonio e ossigeno puro. L’ossigeno verrebbe quindi utilizzato in altri processi di combustione, e la centrale non avrebbe alcuna emissione di anidride carbonica, spiega Licht.
Nel futuro prossimo, spiega Licht, il gruppo cercherà di dimostrare la sorprendente forza dei nanomateriali in carbonio che il processo è in grado di realizzare, fra cui spiccano le nanofibre in carbonio solido e i nanotubi cavi. “Potremmo persino riuscire a sviluppare gli involucri delle batterie con questi materiali o, meglio ancora, l’intera carrozzeria di un’automobile”.
(MO)