La gestione del rischio associato a composti organici tossici o dannosi presenti nelle acque sotterranee che si trovano presso discariche di rifiuti pericolosi richiede il monitoraggio di numerosi parametri.
di Luca Longo
La gestione del rischio associato a composti organici tossici o dannosi presenti nelle acque sotterranee che si trovano presso discariche di rifiuti pericolosi richiede il monitoraggio di numerosi parametri.
Uno dei più importanti è la conoscenza approfondita della portata della degradazione naturale dei contaminanti organici presso il sito stesso.
Infatti, i contaminanti presenti nelle falde sono soggetti a processi di biodegradazione naturale e di trasformazione abiotica che devono essere attentamente valutati per individuare i processi di attenuazione che è necessario avviare per il disinquinamento del sito.
Inoltre, nel trattamento di siti contaminati da attività industriali è indispensabile misurare l’effettivo smaltimento di ogni contaminante per effetto della degradazione naturale, di tecniche di biorimedio in situ e di altri metodi chimico-fisici di disinquinamento.
L’approccio tradizionale consiste nella misurazione della riduzione delle concentrazioni dei contaminanti, ma questo non offre la prova certa che i contaminanti siano effettivamente degradati. Quando i dati sulle concentrazioni sono gli unici dati disponibili, è impossibile escludere la possibilità che la riduzione della concentrazione dei contaminanti sia causata da qualche altro processo come la diluizione o la dispersione, o che i pozzi monitoraggio non siano in grado di campionare efficacemente l’effettiva dispersione dei contaminati nelle acque di falda.
L’analisi degli isotopi stabili di un determinato composto (Compound Specific Isotope Analysis) è una innovativa tecnica in grado di fornire prove inequivocabili che i processi di biodegradazione o trasformazione abiotica stiano effettivamente eliminando il contaminante.
Questa tecnica si basa sulle alterazioni del rapporto fra gli isotopi stabili che si verifica quando i contaminanti organici sono degradati nell’ambiente. Il grado di degradazione può essere riconosciuto e previsto quantitativamente sulla base della variazione del rapporto di isotopi stabili.
Recenti progressi di chimica analitica consentono di eseguire l’analisi CSIA su diversi contaminanti organici disciolti, come solventi clorurati, idrocarburi aromatici di petrolio e combustibili ossigenati, a concentrazioni in acqua prossime agli standard regolamentari imposti dagli Enti per la tutela dell’ambiente.
Il grado di frazionamento isotopico è fortemente dipendente dalla natura degli enzimi coinvolti nei vari meccanismi di degradazione biologica. Per dare una interpretazione corretta dei dati isotopici, nel caso di composti degradabili tramite differenti possibili meccanismi, è necessario sapere quali fra questi sono quelli efficaci.
Recentemente, ricercatori del dipartimento di Tecnologie Ambientali del Centro Ricerche per le Energie Rinnovabili e l’Ambiente dell’Eni, in collaborazione con il Politecnico di Milano e l’ Università di Milano Bicocca, hanno dato un contributo decisivo in questo settore mettendo a punto un sistema integrato che combina le tecniche CSIA e la caratterizzazione funzionale tassonomica delle popolazioni microbiche per misurare quantitativamente la biodegradazione di contaminanti organici presenti in siti contaminati.
Nel sito dove questa tecnica è stata applicata per la prima volta, le acque sotterranee sono contaminate da diversi composti clorurati organici. Tra loro è stato selezionato il monoclorobenzene (MCB) come inquinante bersaglio. L’MCB ha mostrato nel sito due diverse distribuzioni isotopiche nei campioni prelevati; questo comportamento potrebbe essere attribuito a differenze nei percorsi di biodegradazione oppure nelle fonti contaminanti.
Per differenziare il contributo di questi fattori è stata effettuata una estesa caratterizzazione funzionale e tassonomica sia in campo che in laboratorio. Questa ha dimostrato che la degradazione del MCB avviene sia in condizioni aerobie che anaerobie in presenza di popolazioni di microorganismi il cui sviluppo viene stimolato dall’aggiunta di nutrienti inorganici specifici. Sia l’analisi delle strutture delle comunità microbiche che la distribuzione dei geni funzionali ricavati dalla sequenziazione del loro RNA ha dimostrato che è possibile distinguere fra le condizioni di degradazione aerobia ed anaerobia permettendo la definizione di specifici marker molecolari in accordo con le analisi CSIA.
Eni sta investendo nella ricerca in questo settore con l’obiettivo di ampliare il portafoglio di tecnologie per il monitoraggio e il disinquinamento di siti contaminati a disposizione di Syndial, a società che all’interno del gruppo Eni si occupa di risanamento ambientale.
(MO)