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    Cellule cerebrovascolari, la chiave del benessere mentale

    Rappresentano solo lo 0,3% del patrimonio cellulare del cervello, eppure una mappa delle cellule cerebrovascolari propone la possibilità di trattare alcune delle malattie neurodegenerative più comuni

    di MIT Technology Review Italia

    Le cellule cerebrovascolari costituiscono la rete dei vasi sanguigni che fornisce ossigeno e sostanze nutritive al cervello, e aiuta ad eliminare detriti e metaboliti. Si ritiene che la disfunzione di questo sistema contribuisca all’accumulo di effetti dannosi osservati in neuropatologie come la malattia di Huntington, l’Alzheimer e in altre malattie neurodegenerative.

    Mentre i neuroni e le cellule gliali sono di gran lunga le cellule più numerose nel cervello, le cellule cerebrovascolari non costituiscono appena lo 0,3 delle componenti cerebrali. Una frazione minima. Ciononostante, la loro presenza è fondamentale nella barriera emato-encefalica, quell’interfaccia critica che impedisce ai patogeni e alle tossine di accedere al nostro elaboratore centrale, pur consentendo il passaggio di elementi nutritivi e segnali. 

    Proprio ad una ‘rottura’ della barriera ematoencefalica si associa l’insorgenza della malattia di Huntington e di molte altre malattie neurodegenerative, spesso anni prima della comparsa di qualsiasi altro sintomo.

    Data la scarsità numerica delle cellule cerebrovascolari, studiarne un campione con il sequenziamento dell’RNA unicellulare è sempre stato difficile. Eppure, questo è il genere di esame che permette di decifrare i modelli di espressione genica delle singole cellule, offrendo così una grande quantità di informazioni sulle funzioni di ciascun tipo di cellula e su come viene attivao.

    Ora, un gruppo di ricercatori del MIT ha pubblicato sulla rivista Nature un atlante completo delle diverse tipologie di cellule cerebrovascolari e delle loro funzioni. Il loro studio ha anche rivelato differenze tra le cellule cerebrovascolari di persone sane e le persone affette dalla malattia di Huntington, possibili candidati per nuove terapie delle malattie neurodegenerative.

    “Siamo convinti che interagire con queste cellule possa rivelarsi una soluzione molto promettente, in quanto sono molto più accessibili rispetto alle cellule che si trovano all’interno della barriera ematoencefalica del cervello”, spiega Myriam Heiman, professoressa associata presso il Dipartimento di scienze cerebrali e cognitive del MIT ed autrice senior dello studio assieme a Manolis Kellis, professore di informatica al Computer Science and Artificial Intelligence Laboratory (CSAIL) del MIT.

    Un atlante completo

    Per questo studio, il team del MIT ha ottenuto oltre 100 campioni di tessuto cerebrale umano post mortem e 17 campioni di tessuto cerebrale sano da interventi chirurgici contro l’epilessia. Questi ultimi campioni originati da pazienti più giovani rispetto ai precedenti, hanno consentito di mappare anche le differenze nel sistema vascolare generate dall’età. I ricercatori hanno identificato le cellule cerebrovascolari in base a determinati marcatori sfruttando una pipeline di “smistamento” computazionale.

    Eseguito il sequenziamento dell’RNA unicellulare su oltre 16.000 cellule cerebrovascolari, i ricercatori hanno utilizzato modelli di espressione genica delle cellule per classificarle in 11 diversi sottotipi. hanno anche trovato prove di un fenomeno noto come “zonazione”. 

    Ciò significa che le cellule endoteliali che rivestono i vasi sanguigni esprimono geni diversi a seconda di dove si trovano. Non solo. Tra le centinaia di geni identificati, solo il 10 percento circa si è rivelato identico a quelli precedentemente identificati in campioni di topo. Ciò significa che lo studio descrive una vera e propria specificità umana.

    Prevenire la neurodegenerazione

    Il nuovo atlante vascolare è stato subito utilizzato per analizzare campioni di tessuto cerebrale di pazienti affetti da malattia di Huntington, dove le anomalie cerebrovascolari includono perdita della barriera emato-encefalica e una maggiore densità dei vasi sanguigni. Così facendo, sono state identificate alterazioni nell’espressione genica che distinguono le cellule dei pazienti di Huntington da quelle di individui sani.

    Essendo le cellule cerebrovascolari accessibili tramite il flusso sanguigno, una simile scoperta può in un futuro essere sfruttata per sviluppare trattamenti contro l’Huntington e altre malattie neurodegenerative. La ricerca proseguirà dunque sia esplorando possibili applicazioni terapeutiche, sia approfondendo l’analisi del rimanente 99 percento delle cellule cerebrali.

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