I metodi principali si possono suddividere in due grandi classi: l’assorbimento fisico e l’assorbimento chimico.
di Luca Longo
“Houston, we have a problem”. Ricordiamo tutti, anche grazie al film portato sul grande schermo da Tom Hanks, l’allarme lanciato nell’aprile 1970 dagli astronauti James Lovell, John Swigert e Fred Haise quando scoppiò il modulo di servizio dell’Apollo 13 che li stava portando sulla Luna.
Per tornare sulla Terra, i tre furono costretti a fare fronte a tanti imprevisti e a risolvere un sacco di problemi. Uno dei più gravi fu quello di fare funzionare il sistema di eliminazione dell’anidride carbonica dall’aria del modulo lunare che i tre dovettero usare come scialuppa di salvataggio per ritornare sul nostro pianeta.
Adesso, sulla Terra, abbiamo un problema simile, ma molto più grosso. L’anidride carbonica che si sta accumulando, non è prodotta dalla respirazione dei 7 miliardi e mezzo di persone che abitano la terra, ma dall’uso dei combustibili utilizzati per scaldarci, muoverci e costruire tutto quello che ci serve.
Tutte le autorità scientifiche internazionali hanno riconosciuto che l’eccesso di anidride carbonica nell’atmosfera è il principale responsabile del cambiamento climatico. Per questo i centri ricerche di tutto il mondo stanno sviluppando sistemi per catturarla.
Abbiamo già raccontato delle tecnologie CCS (Carbon Capture and Storage) che permettono di sequestrare la CO₂ in modo permanente bloccandola da qualche parte. E abbiamo parlato di quelle basate sulla trasformazione della CO₂ in qualche sostanza utile, raccolte sotto la sigla CCU (Carbon Capture and Utilization). Ma c’è anche chi pensa di catturare questo gas serra direttamente dall’atmosfera.
Il metodo più noto è quello di sfruttare le proprietà acide dell’anidride carbonica facendola reagire con una base. Il principio per cui le molecole di CO₂ reagiscono con idrossido di litio (LiOH) per formare il relativo carbonato Li2CO3 è stato applicato durante la missione Apollo 13. In questo modo la CO₂ si fissa chimicamente producendo un sale solido che rimane intrappolato nel filtro.
Un successivo trattamento termico permette di liberarla, nel caso della missione spaziale fuori dalla navicella, rigenerando il filtro. Lo stesso meccanismo di reazione è stato sfruttato nei sistemi di filtraggio degli space shuttle e ancora in uso nelle cosmonavi russe Soyuz usando rispettivamente ossidi metallici e idrossido di potassio (KOH).
Oggi numerosi centri ricerche stanno studiando come diminuire la quantità di anidride carbonica presente in atmosfera. I metodi principali si possono suddividere in due grandi classi: quella dell’assorbimento fisico che prevede il temporaneo intrappolamento delle molecole di CO₂ all’interno di strutture porose come zeoliti, carboni attivi o microscopiche spugne metallo-organiche, e dell’assorbimento chimico per cui la CO₂ forma dei veri e propri legami con un apposito substrato.
In entrambi i casi l’anidride carbonica può essere recuperata in maniera concentrata tramite trattamento termico ripristinando così la matrice attiva per un altro ciclo di cattura.
Ce n’è troppa di CO₂ in atmosfera… ma in realtà è pochissima. O meglio, è estremamente diluita: 400 parti per milione significa che solo lo 0,04% dell’aria è costituita da anidride carbonica. E meno male, perché se superasse lo 0,2% cominceremmo ad avere difficoltà a respirare. Purtroppo, questa bassa concentrazione è il principale ostacolo alla cattura diretta dall’aria. Infatti, per fare passare un litro di CO₂ attraverso i nostri filtri, chimici o fisici, dobbiamo farli attraversare da 2500 litri di aria. Per questo motivo non è stato ancora costruito alcun vero impianto industriale ma la ricerca è ancora ferma a esperimenti di laboratorio o su piccolissima scala.
Nel 2011, uno studio della American Physical Society ha stimato in una media di 530 € il costo per rimuovere una sola tonnellata di CO₂ dall’aria. I progetti attualmente in fase di valutazione stimano che questi costi siano inizialmente di 900 € con la speranza che si assestino sui 90€, sempre per tonnellata di anidride carbonica sequestrata. Costi che non sono competitivi con quelli necessari per catturare la CO₂ direttamente dai camini e dai tubi di scappamento, dove questa è del 15% circa. Circa altrettanta è l’acqua, o meglio il vapore, mentre il 71% è azoto, che passa attraverso i motori senza partecipare alle reazioni.
Per questo, buona parte della ricerca per la decarbonizzazione non si orienta sulla cattura diretta del carbonio dall’aria ma su un approccio congiunto. Non esiste una semplice formula magica per impedire il cambiamento climatico: dobbiamo lavorare su più fronti.
Prima di tutto, dobbiamo promuovere ricerca, sviluppo e diffusione delle fonti rinnovabili e, nella transizione verso un futuro basato su queste tecnologie energetiche pulite, dobbiamo sfruttare in modo più efficiente le fonti energetiche fossili, privilegiando quelle che producono meno CO₂ a parità di energia sviluppata (primo fra tutti il gas naturale).
In parallelo, dobbiamo allungare la vita utile dei prodotti anche attraverso una loro progettazione che consenta un facile recupero, riciclo e riuso dei materiali. Infine, dobbiamo difendere le foreste e le aree verdi che, per il momento, sono i sistemi più efficienti e economici che abbiamo a bordo per la cattura diretta della CO₂ dall’aria si chiamano… alberi.