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    Batterie al litio: lasciamo perdere il petrolio

    Nella seconda di tre puntate scopriremo come la crisi petrolifera degli anni ’70 ha fatto nascere … le batterie al Litio, anche grazie ad un pizzico di fortuna.

    di Luca Longo

    Nella scorsa puntata abbiamo descritto quanto avviene in una normale batteria, ovvero come l’energia elettrica viene immagazzinata sotto forma di energia chimica per poi essere rilasciata nuovamente in forma di energia a richiesta.

    Nelle batterie al litio, in fase di scarica della batteria, gli elettroni vengono portati via dall’elettrodo positivo, fatto di ossido di litio e cobalto. Intanto, ioni di litio carichi positivamente e accumulati sull’anodo (fatto di carbonio) si staccano e si muovono all’interno della batteria passando attraverso la membrana, arrivando al catodo e rimangono qui sotto forma di litio legato all’ossido di cobalto in attesa che noi carichiamo la batteria.

    Quando possiamo finalmente collegare la batteria a una presa di corrente, stacchiamo il litio dall’ossido di cobalto del catodo e lo portiamo attraverso la membrana semipermeabile fino all’anodo dove si lega di nuovo con il carbonio. A questo punto, tutto il dispositivo è pronto per un altro giro, cioè un altro ciclo di carica e scarica.

    È stato proprio Stanley Whittingham, che la Exxon aveva assunto per lavorare sulle batterie durante la crisi petrolifera, a pensare di usare il litio per la facilità con cui dona gli elettroni. Anzi, in realtà, è lui stesso ad ammettere che ci è arrivato per caso mentre stava studiando nuovi materiali per superconduttori a base di disolfuro di tantalio.

    Batteria di Whittingham, The Royal Swedish Academy of Sciences

    Fra il 1972 ed il 1976, Whittingham inventa una batteria dove il polo negativo è fatto di litio metallico. Mentre per il polo positivo sceglie disolfuro di titanio, un composto che all’interno del suo reticolo cristallino può ospitare comodamente proprio gli ioni litio come il disolfuro di tantalio ma che risulta molto più leggero e soprattutto … molto meno costoso.

    Trovate qui di fianco lo schema della batteria di Whittingham tratto (come gli schemi successivi) dal sito dell’Accademia Reale delle Scienze svedese.

    A questo punto, la storia delle batterie al litio rallenta per due motivi. Il primo è che la crisi petrolifera termina, il prezzo del barile torna a scendere e la Exxon torna a concentrarsi soprattutto sul petrolio.

    Il secondo motivo è più… tecnico. Infatti, durante i cicli di ricarica, gli atomi di litio che tornano all’anodo dopo aver felicemente riconquistato il proprio elettrone al catodo, non hanno nessun motivo per tornare esattamente nello stesso posto che prima avevano occupato sull’anodo. Gli basta depositarsi sulla sua superficie esterna.

    Gli atomi successivi, ancora più pigri, invece di arrivare fino all’anodo si depositano sui primi e poi quelli che vengono dopo si attaccano sui precedenti fino a creare dei filamenti metallici che i ricercatori chiamano vibrisse di gatto.

    Vibrisse di gatto, The Royal Swedish Academy of Sciences

    Quando queste vibrisse, diventando sempre più lunghe, arrivano a toccare il catodo, la batteria va in cortocircuito e il litio metallico… esplode. Cosa molto poco gradevole se capitasse dentro il nostro smartphone o, peggio, sotto il tappetino della nostra auto elettrica.

    Le ricerche di Whittingham vengono interrotte quando la locale stazione dei pompieri – dopo essere stata chiamata decine di volte a fermare gli incendi – minaccia il laboratorio di addebitare le spese per gli speciali estinguenti necessari per spegnere il litio metallico.

    Ecco che nella nostra storia entra in scena John B. Goodenough. Pensate che da bambino aveva problemi ad imparare a leggere, per questo decise di concentrarsi sui numeri … e da qui a diventare professore di fisica a Oxford il passo è stato breve. Almeno per lui.

    Batteria di Goodenough, The Royal Swedish Academy of Sciences

    Con il suo gruppo di ricerca, Goodenough riprende le ricerche abbandonate da Whittingham e nel 1980 sostituisce il disolfuro di titanio nel catodo con l’ossido di cobalto. In questo modo, non solo è possibile costruire batterie nel loro stato scarico e poi caricarle, mentre il modello Exxon doveva essere realizzato già nello stato carico, ma soprattutto aumenta la differenza di potenziale fra i due poli della batteria, raddoppiandola dai 2 Volt del modello di Whittingham a ben 4 Volt.

    Ma a questo punto della nostra storia il prezzo del petrolio torna a diminuire e in occidente cala anche l’interesse per l’elettricità.

    Nella prossima, ed ultima, puntata: come sono stati risolti gli ultimi guai (soprattutto le esplosioni…) e siamo arrivati alla produzione di massa?

    (lo)

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