L’automazione di determinate attività negli ospedali e nei grandi magazzini aiuta indubbiamente a difendere la salute del personale, ma potrebbe avere delle ricadute negative sull’occupazione.
di Wade Roush
In genere vengono assegnati ai robot lavori spaventosi e stressanti: ripulire i siti nucleari, ispezionare le condutture dall’interno, esplorare i rifiuti ghiacciati di Marte. L’arrivo del coronavirus ha trasformato anche ambienti più familiari, come negozi di alimentari e ospedali, in ambienti potenzialmente pericolosi. Erika Hayasaki, scrittrice e insegnante di giornalismo in California, ha descritto in un articolo su “MIT Technology Review” come la pandemia stia portando alcune organizzazioni ad accelerare i loro piani di automazione per aiutare i lavoratori in prima linea.
In questo episodio di Deep Tech, intervistata da Wade Roush, descrive i suoi rapporti sulle aziende in California e Texas che si stanno affrettando a soddisfare la domanda e si chiede se la nuova ondata di automazione basata sulla sicurezza potrebbe alla fine costringere più lavoratori umani a programmi di riqualificazione.
Wade Roush: Il giorno in cui i robot ci sostituiranno sul posto di lavoro potrebbe essere più vicino di quanto si pensa.
BBC Business News: I robot stanno arrivando. Fino a 20 milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero in tutto il mondo potrebbero essere sostituiti dai robot entro il 2030. Questa è la previsione di Oxford Economics, azienda leader nelle previsioni economiche.
W. R.: Questa è una clip della BBC News del 2019, su uno dei tanti studi che sostengono che i robot potrebbero presto togliere milioni di posti di lavoro agli operai poco qualificati. Ma i robot stanno anche iniziando a comparire in nuovi tipi di luoghi di lavoro che non hanno nulla a che fare con la produzione, come ospedali e negozi di alimentari. E quando il coronavirus ha colpito, la giornalista Erika Hayasaki ha iniziato a chiedersi come la pandemia potrebbe accelerare l’intero processo, specialmente se i robot possono aiutare gli operatori sanitari in prima linea o ridurre le possibilità che gli esseri umani siano esposti al virus.
Erika Hayasaki: La pandemia ha velocizzato questi processi. Per esempio, il robot Moxi è già presente negli ospedali. Ma l’automazione, rafforzata dalle lezioni apprese con il covid, incombe sul nostro futuro. Penso che la domanda centrale sia: quando arriveranno i robot, saranno la normalità sui posti di lavoro?
W. R.: In un tuo articolo apparso sulla nostra rivista, hai riferito di aziende in tutto il paese che lavorano per espandere i tipi di attività che possono essere affidate ai robot.
E. H.: La pandemia ha in qualche modo aperto la strada a nuove ipotesi su come utilizzare i robot per tenerci più al sicuro nel mezzo di un’epidemia di covid, dalla sanificazione allo svolgere certe mansioni negli ospedali o nelle grandi catene alimentari. E poi, ovviamente, ci sono anche domande sul lavoro e su cosa accadrà al futuro dell’occupazione.
W. R.: Come ti sei avvicinata a questa tematica?
E.H.: In realtà ho fatto ricerche sulla robotica per un periodo prima della pandemia e ho avuto la possibilità di visitare alcuni magazzini di Amazon, che è parte integrante della storia. Sono stata in grado di vedere alcuni dei loro robot e capire quanto sofisticati. Mi sono chiesta se rappresentavano una vera minaccia per i posti di lavoro se fossero diventati ancora più avanzati. Ma poi è esploso il covid. A quel punto mi sono interessata a come funziona l’assistenza infermieristica negli ospedali e la situazione relativa alla sicurezza degli infermieri.
W.R.: Ma ovviamente gli ospedali non sono l’unico luogo in cui il virus può diffondersi. Anche andare al supermercato può comportare dei rischi. E ormai i robot sono una realtà.
Videoclip HEC Science and Technology: Cosa sono? Questa è la domanda che si sente fare da molti acquirenti, in un numero crescente di negozi di alimentari Schnuck’s. I robot sono nei negozi sotto casa.
W.R.: Un robot di nome Tally controlla le scorte sugli scaffali dei negozi di alimentari. È realizzato da una startup di San Francisco chiamata SimBe Robotics.
E. H.: Mi sono incontrata con Tally nel supermercato Schnucks, a St. Louis. Questo robot una specie di altoparlante su ruote, a forma di torre, c’era già prima della pandemia. Non ha braccia o alcun tipo di testa rotante o qualcosa del genere, e si muove attraverso il negozio di alimentari, scansionando l’inventario. Quando i clienti occasionali ci si imbattono, non sanno bene cosa fare. Ma i clienti abituali sono abituati. Non è lì per parlare con loro, ma solo per prendere nota delle scorte.
W.R.: Sei andata anche nella regione dell’Inland Empire della California, dove hai visitato un magazzino automatizzato di Amazon. All’interno di questo tipo di strutture, il suono principale che si sente è il ronzio di una flotta di robot con ruote tozze con nomi come Kiva, Pegasus e Xanthus. I robot affiancano gli operatori umani che prelevano i prodotti dagli scaffali e li assemblano nelle confezioni in uscita per i clienti.
E.H.: Mi sembravano una specie di Roomba giganti con delle scaffalature sopra, che si muovevano. Ho parlato con alcuni lavoratori che erano entusiasti di lavorare con i robot, come se amassero l’idea di andare in un magazzino robotizzato. Ma abbastanza rapidamente, la novità svanisce. Quelli che ho osservato, erano al centro del magazzino, separati da un recinto, con una specie di nastro giallo che proteggeva le persone. Non si può entrare in quella zona dove ci sono i robot, il cosiddetto campo.
W.R.: i robot di Amazon devono stare lontani dagli umani che entrano nel campo per ripararli o raccogliere le cose che cadono. Ma in genere si tratta di una zona libera dall’uomo. Haianche parlato di un robot assistente ospedaliero di nome Moxi, di Diligent Robotics, una startup di Austin, in Texas. Hanno già un paio di questi robot che lavorano all’interno degli ospedali. Che tipo di compiti svolgono?
E.H.: Stanno aiutando principalmente con la consegna dei materiali. Si tratta di un aiuto fondamentale per le infermiere. Il tempo che si risparmia per compiti pratici, lo si può passare con i pazienti. Ora Moxi non è nel reparto covid, ma la soglia di attenzione è ancora alta, quindi hanno aumentato le responsabilità del robot, facendogli consegnare molti DPI e abbigliamento protettivo per il personale. Ma ci si interroga continuamente su cosa potrebbe fare Moxi dopo il covid.
Lo hanno progettato per non sembrare una specie di “tostapane”, che sposta solo le cose. Moxi ha degli occhi che si illuminano con tenui colori blu o rosa chiaro, che a un certo punto si trasformano in cuori. Può muovere il collo e ha una faccia. Il suo corpo non assomiglia a quello umano. Emette suoni nitidi e piacevoli. Non conversa, ma dice alcune frasi. L’obiettivo è di renderlo compatibile con l’ambiente di lavoro e non di renderlo simile all’uomo.
W.R.: Molti ascoltatori potrebbero aver sentito parlare delle tre D della robotica (dull, dirty, dangerous). Ci puoi dire qualcosa al riguardo?
E.H.: Ottuso, sudicio e pericoloso. Ma ricordiamoci che molti lavori che svolgono sono rischiosi per le persone.
W. R.: Come diresti che la pandemia ha cambiato questi tre paradigmi della robotica all’interno di un luogo di lavoro?
E.H.: I germi sono l’esempio giusto. Le persone pensano a come possono usare i robot per disinfettare, come possono usare i robot per pulire le strutture, smaltire i rifiuti, pulire i reparti degli ospedali.
W.R.: A prima vista, si ha l’idea che tutto è positivo, soprattutto perché si proteggono le persone dall’infezione e si aiuta a rallentare la diffusione della pandemia. Ma il tuo articolo in realtà va più in profondità e pone la domanda se l’automazione è davvero una buona cosa e se dobbiamo iniziare a preoccuparci della distruzione dei posti di lavoro. Da quello che hai detto, sembra che i creatori di Moxi siano molto consapevoli dei timori che la loro tecnologia possa avere dei prezzi in termini di occupazione.
E.H.: Mi hanno detto che, quando hanno iniziato a fare le loro ricerche, hanno passato molto tempo a intervistare gli operatori sanitari, chiedendo di cosa avevano bisogno. E’ abbastanza evidente che Moxi non può sostituire il lavoro degli infermieri. Non tiene le mani dei pazienti covid che non possono vedere le loro famiglie come è successo nei reparti covid. Quindi è abbastanza ovvio, e questo anche prima del covid, che il robot in quell’ambiente non può sostituire le capacità relazionali umane.
W.R.: Mi sembra giusto, ma mi chiedo se nel lungo periodo con Moxi che si occupa di fare la spola avanti e indietro, consegnare pillole da un piano all’altro, spostare i materiali in giro per l’ospedale, si avrà inevitabilmente bisogno di meno infermieri.
E.H.: La riflessione è vera, ma per gli infermieri il discorso è più complesso. Non fanno solo un lavoro intenso, ma intrecciano relazioni umane. Quando invece entriamo in un grande magazzino, alcuni di questi lavori potrebbero essere svolti da un robot molto avanzato. I bidelli che puliscono i pavimenti, potrebbero temere uno scenario in cui i robot diventano gli addetti alle pulizie delle aule e dei bagni. E questo sta già accadendo negli hotel. Succedeva già prima del covid. I robot vengono inseriti nei grandi hotel e svolgono gran parte del lavoro di pulizia. Quindi, voglio dire, penso che dipenda dal tipo di lavoro.
W.R.: Allora, se la pandemia accelera la transizione all’automazione, ciò dovrebbe anche velocizzare le risposte politiche per aiutare quei lavoratori che potrebbero essere licenziati. Sta succedendo? E se sì, dove?
E.H.: Assolutamente sì. Le regione dell’Inland Empire in California, ospita molti magazzini Amazon. L’azienda è il datore di lavoro numero uno. Questa zona è stata davvero devastata dalla crisi degli alloggi, dalla recessione, e ha visto una grande crescita di posti di lavoro grazie ai magazzini. Molte persone dipendono da questi lavori per dare da mangiare alle loro famiglie. In un grande edificio c’è una scuola con numerose classi che sta addestrando le persone a programmare e a riparare i robot. All’interno si trovano delle macchine in grado di rilevare la differenza tra un cocomero o un mattone o tra qualunque cosa si muova sul nastro trasportatore.
Gli studenti imparano a capire il funzionamento e l’assemblaggio del macchinario e come programmarlo per fare cose diverse. La situazione quindi è piuttosto interessante. Molte aziende fanno in modo che i loro dipendenti entrino in questi programmi e apprendano alcune di queste abilità.
W.R.: Un’ultima domanda. Credi che ci sarà un numero di lavori di questo tipo, per esempio programmare i robot, tali da recuperare i lavori che potrebbero essere persi a causa dell’automazione?
E.H.: Questa è la domanda che continuo a fare a chi lavora nel settore. A oggi la risposta sembra negativa. Cosa accadrà, per esempio, ai 20.000 dipendenti di Amazon dell’Inland Empire. Se si creasse un esubero di 10.000 lavoratori, le persone potrebbero essere addestrate per diventare riparatori di robot e programmatori? Con numeri così alti, la risposta non c’è ancora.
(rp)