Le due missioni spaziali DAVINCI+ e VERITAS potrebbero dirci molto sul destino empio di Venere e aiutarci a capire quanto siano rare le condizioni necessarie a ospitare la vita in questo universo.
di Neel V. Patel
Quando la scorsa settimana la NASA ha dato il via libera alle missioni DAVINCI+ e VERITAS su Venere, la comunità scientifica è rimasta sbalordita. La maggior parte si aspettava che la NASA, che non aveva lanciato una missione dedicata a Venere da 30 anni, avrebbe inviato almeno una missione verso il secondo pianeta dal Sole entro la fine del decennio. Due missioni, tuttavia, hanno sorpreso tutti.
La NASA non è interessata solo all’esplorazione di Venere e del sistema solare, ma ha l’obiettivo di migliorare la nostra comprensione dei mondi abitabili all’interno e al di fuori del nostro sistema solare. Mentre le nostre scoperte sugli esopianeti continuano ad accumularsi (finora abbiamo individuato oltre 11.000 possibili esopianeti) dobbiamo capire se è più probabile che un pianeta delle dimensioni della Terra assomigli al nostro pianeta o a Venere. “Non sappiamo cosa sia più probabile”, afferma Paul Byrne, scienziato planetario presso la North Carolina State University. E per scoprirlo dobbiamo capire molto meglio Venere.
La maggior parte degli scienziati è d’accordo sul fatto che qualsiasi esopianeta abitabile ha bisogno di acqua. Con temperature superficiali di 471 °C e pressioni superficiali 89 volte più sostenute di quella terrestre, sembra impossibile che l’acqua possa essere esistita una volta su Venere. Ma Venere e la Terra hanno più o meno le stesse dimensioni, la stessa età, e la nostra ipotesi migliore è che siano fatti di materiali comparabili e siano nati con condizioni di partenza molto simili. Venere è il 30 per cento più vicino al Sole rispetto alla Terra, il che è significativo, ma non determinante. Eppure, dopo 4,5 miliardi di anni, questi due pianeti sono andati in direzioni modo molto diverse.
In effetti, ci sono prove crescenti che Venere potrebbe aver ospitato acqua molto tempo fa. Le missioni Pioneer Venus lanciate nel 1978 hanno effettuato alcune misurazioni promettenti del rapporto deuterio-idrogeno nell’atmosfera, suggerendo che Venere aveva perso una tonnellata di acqua nel tempo. Ma non abbiamo mai avuto una vera missione che approfondisse questo aspetto, alla ricerca di antiche caratteristiche del flusso d’acqua sulla superficie o del tipo di condizioni geologiche e climatologiche che sono essenziali per l’acqua e per le condizioni abitabili.
“Potrebbero esserci stati due mondi abitabili fianco a fianco per un periodo di tempo sconosciuto nel nostro sistema solare”, afferma Giada Arney, ricercatrice della missione DAVINCI+. Sebbene Venere sia oggi inabitabile, il fatto che possa essere stata abitabile in una certa fase significa che non è stata sempre destinata a un destino così infernale. E questa è una buona notizia per il modo in cui valutiamo gli esopianeti distanti. “Guardando oltre il sistema solare, potrebbe voler dire che i pianeti abitabili sono più comuni di quanto previsto in precedenza”, afferma Arney.
Esistono due teorie principali su ciò che è successo a Venere, ed entrambe hanno implicazioni su ciò che potremmo aspettarci su altri esopianeti. La prima, coerente con le nostre osservazioni attuali ma limitate, è che Venere è sempre stata così. Più un pianeta è vicino all’orbita della sua stella ospite, più è probabile che ruoti lentamente, ossia in rotazione sincrona con un lato rivolto permanentemente alla stella, come la Luna è intorno alla Terra.
I rotatori lenti come Venere generalmente hanno difficoltà a mantenere un clima globale fresco e confortevole, e per un po’ si è pensato che questo fosse probabilmente ciò che ha portato Venere a diventare caldo e insopportabile. I raggi del Sole hanno bombardato il pianeta di calore e un’atmosfera ricca di vapore non si è mai condensata in acqua liquida sulla superficie. Nel frattempo, i gas di anidride carbonica, acqua e anidride solforosa nell’aria funzionavano come gas serra che hanno intrappolato tutto quel calore. Questa situazione sta andando avanti da 4 miliardi di anni, più o meno.
Poi c’è una nuova teoria che è stata recentemente sviluppata da Michael Way e altri al Goddard Institute for Space Studies della NASA. Questo modello mostra che se si apportano alcune piccole modifiche ai climi di questi pianeti, possono sviluppare forme di nubi lunghe un emisfero che si ritrovano costantemente faccia a faccia con la stella ospite, riflettendo molto calore stellare.
Di conseguenza, un pianeta come Venere rimane temperato e il vapore atmosferico si condensa in oceani liquidi sulla superficie. Il lavoro di Way mostra che una volta raggiunto questo punto, il pianeta può autoregolare la sua temperatura finché altri processi simili a quelli avvenuti sulla Terra, come la tettonica delle placche (che aiuta a rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera), possono mitigare l’accumulo di gas serra.
È un’ipotesi da verificare attentamente. Se Venere è la prova che i rotatori lenti possono sviluppare condizioni più abitabili, è anche la prova che queste condizioni sono fragili e potenzialmente fugaci. Le persone che credono nel modello di Way pensano che su Venere un’enorme quantità di attività vulcanica abbia riempito il pianeta di carbonio, fino al 96 per cento dell’atmosfera, vanificando l’azione della tettonica a placche.
Eppure, è un’ipotesi che vale la pena testare attraverso DAVINCI+ e VERITAS, perché come sottolinea Arney, molti degli esopianeti potenzialmente abitabili che abbiamo scoperto sono rotatori lenti che orbitano attorno a stelle di piccola massa. Poiché queste stelle sono meno potenti, i pianeti devono di solito orbitare vicino a loro per ricevere abbastanza calore da consentire la formazione di acqua liquida. Se formano nuvole lunghe un emisfero, potrebbero essere in grado di preservare climi abitabili. L’unico modo in cui attualmente possiamo sondare se questa ipotesi ha senso è capire se questo sia successo su Venere.
DAVINCI+ scenderà su Venere e sonderà direttamente la chimica e la composizione dell’atmosfera, oltre a registrare un’immagine della superficie del pianeta durante la discesa. Dovrebbe essere in grado di raccogliere il tipo di dati che ci aiutano a stabilire se su Venere era presente acqua all’inizio della sua vita e se una nuvola lunga un emisfero si sarebbe davvero formata.
L’orbiter VERITAS interrogherà la geologia del pianeta, prendendo immagini ad alta risoluzione attraverso osservazioni radar che potrebbero essere in grado di rilevare prove di terreno o morfologie create da flussi d’acqua o la tettonica passata. L’obiettivo dovrebbero essere regioni montuose fortemente deformate che si pensa rappresentino le più antiche caratteristiche geologiche del pianeta. Se VERITAS individua prove di antichi oceani, o per lo meno, del tipo di attività geologica che avrebbe potuto mantenere il pianeta più temperato molto tempo fa, verrà rafforzata l’idea che altri esopianeti a rotazione lenta potrebbero raggiungere le stesse condizioni.
“Eseguire in due missioni la mappatura geologica e l’esplorazione atmosferica è il modo giusto per indagare su Venere”, afferma Lauren Jozwiak, una scienziata planetaria del Laboratorio di fisica applicata Johns Hopkins che sta lavorando alla missione VERITAS. In definitiva, se Venere è sempre stata inabitabile, allora la ragione probabilmente ha a che fare con la sua vicinanza al Sole, quindi qualsiasi esopianeta di dimensioni simili che è proporzionalmente vicino alla propria stella sarà probabilmente come Venere. E faremmo meglio a concentrare le nostre ricerche sugli esopianeti che sono più lontani dalle loro stelle.
D’altra parte, se Venere non è sempre stata un forno permanente, significa che dovremmo prendere sul serio gli esopianeti della “zona di Venere”, dal momento che potrebbero essere ancora abitabili. L’ipotesi indica anche che fattori come la tettonica a zolle e il vulcanismo giocano un ruolo fondamentale nella mediazione delle condizioni abitabili, e dobbiamo trovare modi per indagare questi aspetti anche su mondi lontani. Queste prossime missioni “cambieranno completamente il modo in cui pensiamo sia a Venere che alla formazione planetaria in generale”, conclude Jozwiak.
(rp)